La laurea ad honorem di Claudio Imprudente
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Non è semplicemente, quella per Claudio Imprudente, una Laurea ad honorem a una vita, ma alle proposte che da questa ne derivano e quindi anche alla capacità di formulare, anche la propria – perché no? – esperienza; proposte perché altri possano sviluppare, non in fotocopia, ma sviluppando le proprie originalità.
Quando iniziai il lavoro che ho poi fatto fino a oggi, senza premeditazioni, ovvero: non avendolo mai pensato come un lavoro, ma cogliendo un’occasione che mi si era presentata attraverso Piero Bertolini, Claudio Imprudente (che è del 1960) era bambino. C’erano istituti, classi speciali, classi differenziali. Piero Bertolini cercava di insegnarmi a vivere una dimensione responsabile: “concepirsi all’origine dei propri comportamenti, ossia rispondere, per così dire, di sé e di tutto ciò in cui [una persona è] direttamente implicata. […Responsabilità] non soltanto individuale [ma] un fatto sociale che implica ed esige l’alterità e l’intersoggettività” (P. Bertolini, 1958, p. 41).
Claudio Imprudente riceve la Laurea ad honorem dalla nostra Università; attorno a lui non ci sono più tanti istituti – ne sono rimasti pochissimi –, non ci sono più classi differenziali – non dovrebbero essercene più –, non ci sono classi speciali –, non ne dovrebbero essere rimaste. Erano gli anni in cui si scopriva che non sempre l’obbedienza è una virtù. Lo diceva Don Lorenzo Milani. Lo scopriva sperimentalmente Stanley Milgram. E siamo arrivati a Svetlana Broz, al “coraggio civile” che è “disobbedienza attiva”. E a Claudio Imprudente.
Erano anche gli anni in cui Frantz Fanon faceva scoprire “i dannati della terra”, e noi, che avevamo contribuito a quella dannazione, speravamo, o pretendevamo, che quei dannati ci liberassero dalle nostre angosce…
È cambiato quindi molto, o anche, apparentemente, tutto! Ma non siamo in un momento felice per quanto riguarda l’integrazione. Perché? È difficile dire che si torna indietro. Nessuno è capace di farlo e quindi nessuno, apparentemente, manifesta l’intenzione di farlo. Ma la possibilità di non procedere, dimenticando o ignorando il percorso fatto, è già un modo per sabotare l’integrazione e questo viene fatto in modo molto efficace. In che modo? Cercando di rendere ingovernabile il sistema inclusivo per non restaurare ma creare le condizioni dell’emergenza. L’emergenza continua permette di prendere misure eccezionali: scardinare le abitudini, renderle difficili da governare anche per il singolo e nel singolo, che vuol dire anche nella singola scuola.
La deresponsabilizzazione del centro politico-amministrativo dell’organizzazione della scuola e la responsabilizzazione delle periferie amministrative è uno dei modi con cui, magari parlando di autonomia, si demolisce un sistema molto complesso in cui si colloca non solo l’integrazione ma anche l’integrazione. Che diventerà un elemento sempre più difficile, motivato da forti condizioni economiche – delle singole famiglie per esempio – e incapace di essere una procedura per tutti. E noi siamo qui per dare la Laurea ad honorem a una persona come Claudio Imprudente. Vorremmo fare in modo che non sia considerato come persona eccezionale – casomai originale come ciascuno di noi è una persona originale –; non è l’handicappato eccezionale, non stiamo celebrando l’eccezionalità: stiamo cercando di capire la possibilità. Contrappongo in maniera solo schematica, e solamente per intenderci, eccezionalità e possibilità. Facendo questa cerimonia, dovremmo cercare di capire le possibilità che Claudio Imprudente ci offre per capire come gli sia stato possibile organizzarsi attorno ai propri limiti per superarli, non tanto con operazioni miracolose, quanto con operazioni organizzative dovute anche e non solo al suo ingegno.
Claudio Imprudente nasce – come dicevo – nel 1960, ha un percorso scolastico con le strutture dell’epoca e comincia a uscire da quella sorta di nuova prigionia che è l’organizzazione della diade alunno/insegnante di sostegno, una sorta di coping diadico che mette in dubbio la possibilità che l’integrazione possa evolvere e maturare in inclusione.
L’integrazione è un passaggio nobile, importante nella nostra storia, ma certamente non è un modo di realizzare l’inclusione, per cui dichiaro che vi è un’enorme differenza tra integrazione e inclusione. Schematicamente possiamo dire che c’è stato un inserimento, un passaggio da strutture separate a strutture aperte. Vi è stato poi il bisogno di adattare la singola classe, il singolo contesto e di adattare il soggetto al singolo contesto – di integrazione quindi – con l’insegnante di sostegno. Vorremmo avviarci verso l’inclusione: un ecosistema più vasto. La diade “insegnante di sostegno/soggetto con bisogni speciali”, dovrebbe rompersi per aprirsi alla rete sociale.
Un aspetto interessante del percorso di Claudio Imprudente è proprio quello di avere lui stesso provocato la nascita di una rete sociale, di aver rotto la diade, avendo bisogno degli altri (chi non ha tale bisogno?), ma di capire come il mondo è fatto di individui, ciascuno dei quali, per quanto forte atleticamente, per quanto organizzato, ricco, famoso, ha sempre bisogno degli altri. È la rete sociale. È utile mettere in luce con particolare attenzione il passaggio dalla diade di aiuto alla rete sociale. Claudio Imprudente lo ha vissuto, e lo ha provocato anche in altri, con molta intelligenza. Le sue pubblicazioni sono sempre legate al passaggio da una considerazione, che altri potrebbero fare nei suoi confronti, di tipo vittimistico, a una possibilità di considerarsi parte di una rete sociale e – nel caso suo – di esserne punto di riferimento, leader. È possibilità e non eccezionalità. Possono essere utili due riflessioni. Una nasce da un testo di Merleau-Ponty “[…] in ciò consiste il valore: nell’essere, cioè, attivamente quello che siamo per caso, nello stabilire con gli altri e con noi stessi quella comunicazione resaci possibile dalla nostra struttura temporale e di cui la nostra libertà è solo l’abbozzo” (M. Merleau-Ponty, 1962, p. 60). Non è tanto importante ritenere di dovere e poter fare delle scelte, quanto imparare a scegliere continuamente mettendosi nelle condizioni mentali per cui quello che viviamo sia elaborato e diventi scelta. Claudio Imprudente, che non ha scelto di essere come è, ma ha fatto in modo che quello che è diventi adesione di una scelta. Spieghiamoci. Questo è il contrario dell’accettazione passiva. È l’“accettazione attiva”.
Pensiamo a quante energie vengono bruciate in individui che sono sempre alla ricerca di qualcosa che dovrebbero fare e non che fanno in modo che quello che fanno diventi la loro scelta; trascurano quello che fanno, lo considerano un elemento non nobile, non degno, non all’altezza delle loro possibilità. Ma “le possibilità si rivelano in quello che stanno vivendo e non in quello che vorrebbero vivere”, e questo è un elemento importante da considerare per Claudio Imprudente, per la sua capacità di organizzare e di proporre agli altri. L’“accettazione attiva” fa vivere ciò che si vive animandolo di ciò che si vorrebbe vivere. L’accettazione passiva vive l’inerzia di un’attesa, che il soggetto sovente motiva, a se stesso e agli altri, con le ragioni del “pretendente deluso”: “vorrei ma non mi è permesso”, “gli altri non capiscono”, “il mondo non mi è amico”… e la vita passa nell’attesa inerte. Non è semplicemente, quella per Claudio Imprudente, una Laurea ad honorem a una vita, ma alle proposte che da questa ne derivano e quindi anche alla capacità di formulare, anche la propria – perché no? – esperienza; proposte perché altri possano sviluppare, non in fotocopia, ma sviluppando le proprie originalità. Per la didattica si tratta di passare da una richiesta riproduttiva, che viene interrotta se chi deve riprodurre non ha la stessa attrezzatura fisiologica di chi richiede; a una “didattica creativa”, che prevede come metro di valutazione “la creatività e l’inventiva” (C. Imprudente, L. Giommi, R. Parmeggiani, 2009, p. 26).
Paradossalmente – e Claudio Imprudente ne è la dimostrazione – la creatività e l’inventiva sono produttive. Ed è, appunto, un paradosso, perché la didattica riproduttiva è ritenuta invece la sola produttiva. “Vivere nel mondo e con il mondo, lasciarsi percorrere dalle cose reali e farsi toccare dalle persone. Sentire la presenza del tempo, non cercare di comprimerlo il più possibile. Ragionare per minuti, non per nanosecondi. Stiamo vivendo alla velocità delle scariche elettriche, stiamo parlando come stessimo compiendo un movimento involontario. Così rinunciamo a lasciare un segno agli altri, e a ricevere i loro. Comunicare è segnarsi, è condividere dei segni. Essere segnati e segnare, essere macchiati e macchiare, richiedono tempo…” (C. Imprudente, L. Giommi, R. Parmeggiani, 2009, p. 39).
Ed è questo uno degli elementi che fa pensare che la Laurea ad honorem a Claudio Imprudente sia a un singolo che rappresenta, non gli handicappati: non è così; rappresenta una rete sociale che si è creata e che è fatta di handicappati e di non handicappati. Per esempio, per citare una persona che ha fatto parte della rete sociale di Claudio Imprudente: Padre Michele Casali, domenicano, coordinatore e anima del Centro San Domenico a Bologna fino al momento in cui ha lasciato questa terra, è parte della rete sociale e diciamo “è parte” perché la rete sociale non è costituita unicamente dalle persone rintracciabili perché viventi; è fatta anche dei soggetti che hanno fatto storia, che sono nel passato, e anche nella nostra immaginazione. Il tema della “rete sociale” è molto interessante e da sviluppare e le proposte di Claudio Imprudente ci aiutano in questo senso. E il modo che ha di comunicare non è secondario nella creazione della rete: “La tavoletta elimina ogni timore verso la novità e il tentativo di ristabilire un rapporto con interlocutori dimenticati e secondo modi non praticati da tempo” (C. Imprudente, L. Giommi, R. Parmeggiani, 2009, p. 121).
L’altra riflessione che vorremmo fare cita non tanto uno studioso quanto un calciatore, che ha giocato anche in una squadra italiana e nella nazionale del suo paese, la Francia, e che ha raccontato sul giornale “Le Monde” come quando entrando in campo – essendo lui nero – aveva i cori che gli facevano il verso delle scimmie, additandolo come animale selvaggio. Lilian Thuram ha ricordato che per secoli i neri dell’Africa sono stati considerati per lo più come scimmie antropomorfe e sotto-umani; di conseguenza non poteva prendersela tanto con quei tifosi, che non avevano scusa, ma in quel giorno, quella domenica, allo stadio lo – come si dice – “ueggiavano”, rivelando che il solco della storia è molto profondo e che bisogna fare ancora un grande lavoro.
La Laurea ad honorem a Claudio Imprudente potrà sembrare a qualcuno – qualcuno la vivrà così – come una “laurea pietosa”, “buonista”, un premio/risarcimento alla disabilità, conferito grazie alla bontà di coloro che non sono disabili, ma saggi, forti e anche buoni. Certamente alcuni la vivranno così; non ce la dobbiamo prendere con i tifosi che quel giorno “ueggianno” col calciatore nero, non dobbiamo prendercela con coloro che la pensano così oggi. La storia è ancora lunga e alle nostre spalle abbiamo un lungo periodo in cui le persone come Claudio Imprudente sono state considerate come incapaci di pensare perché non potevano parlare. Per tanto tempo si è avuta questa convinzione, oggi pregiudizio: chi non parla non pensa. La lunga storia che ha preceduto e elaborato gli sterminii delle persone con disabilità, non cambia segno in pochi anni. Le tecnologie hanno superato in gran parte il pregiudizio assoluto, che però permane al di là del singolo caso, vissuto come eccezione che conferma la regola.
Abbiamo la possibilità di considerare Claudio Imprudente l’eccezionale che va in qualche modo risarcito per altri che eccezionali non sono, premiato per la sua eccezionalità che non cancella i nostri pregiudizi nei confronti di chi, simile a lui ma meno dotato di lui in intelligenza, consideriamo incapace. E nell’incapacità mettiamo la maggioranza dei soggetti che si presentano senza parola, in carrozzella, senza capacità di organizzarsi, con a volte dei modi che potrebbero sembrare presa in giro di noi che siamo intelligenti, che parliamo, che ci muoviamo ecc. Non capiamo. E il non capire non è tanto un’offesa per Claudio Imprudente quanto una perdita di occasione. Vorremmo fare in modo che la strutturazione di un incontro come questo, con la sua liturgia di attribuzione di Laurea ad honorem, fosse anche la possibilità di aprire uno squarcio nella nostra ignoranza presuntuosa. Dobbiamo ricordare che lo scenario con cui ho aperto questa piccola riflessione era quello “istituti, classi speciali, classi differenziali”, che funzionavano con la nostra collaborazione. Per “nostra” intendo dire di studiosi, di tecnici, che avevano contribuito largamente e che molto probabilmente non si sono trasformati così da non rifare operazioni del genere, magari con nuovi nomi. Siamo ancora quelli che possono permettersi di dire che chi si presenta davanti a noi ha un quoziente intellettivo basso perché non risponde immediatamente secondo quelle che sono le nostre attese. Attenzione a non dimostrare, così facendo, non un quoziente intellettivo basso, ma una mentalità distorta.
La possibilità di esaminare gli altri non ci permette di esaminare senza fare sforzi per capire. E quello che chiede questa Laurea ad honorem: riflettere sulla possibilità e non sull’eccezionalità. Cercare di capire. Questo è un elemento che dovremmo tenere aperto e non chiuderlo con questa cerimonia, che avrà una conclusione lieta, simpatica. Questa possibilità è data anche dal contributo agli studi fornito da Claudio Imprudente.
La Pedagogia Speciale è una delle tante discipline in cui i contributi non arrivano solo dagli addetti ai lavori, cioè dai professori universitari che insegnano Pedagogia Speciale, ma anche da persone come Claudio Imprudente. È necessario capire che la possibilità di avanzare negli studi è data dal contributo fornito da chi non è accademico. Potremmo anche, tra il malizioso e lo scherzoso, dire che vogliamo rendere accademico Claudio Imprudente proprio per evitare di dover riconoscere che fuori dal recinto accademico ci sono valori scientifici. Può essere la possibilità di indicare come in altri territori, fuori dall’accademia, ci siano valori scientifici importanti; e che l’ università può vivere e sviluppare meglio le sue qualità, la sua dignità, la sua missione – se si può usare questa parola così aulica – se tiene aperta la comunicazione con chi non ne è parte strutturata. È da lì che possono nascere delle spinte straordinarie e non tanto e solo perché scandalose.
Esiste lo scandalo dell’incuria – persone maltrattate. Ed esiste lo scandalo della riuscita. In questo caso noi celebriamo lo scandalo della riuscita. È uno scandalo che Claudio Imprudente sia laureato oggi e deve rimanere uno scandalo, non dovremmo chiuderlo rapidamente sistemandolo come il risarcimento dovuto a una sofferenza. Claudio Imprudente non è un sofferente. Che abbia avuto dei momenti di sofferenza, credo che sia umanamente comprensibile. Claudio e sua madre avevano una relazione molto intensa che non era però più quella della protezione. Claudio, cresciuto, partiva, andava, si allontanava e sua madre era fiera di questo. E sarebbe molto fiera se oggi potesse essere presente per questa laurea meritata non come risarcimento, ma come segno per far capire, e capire che da chi non ci aspettavamo di incontrare in un’università, dall’imprevisto, possono nascere occasioni, innovazioni, prospettive offerte ad altri, forse anche loro inaspettati. E anche a noi.
Claudio Imprudente, presidente dell’associazione Centro documentazione handicap, riceverà il prossimo 18 maggio a Rimini la laurea ad honorem in “Formazione e Cooperazione” dalla facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Bologna.
Indicazioni bibliografiche:
• P. BERTOLINI (1958), “Fenomenologia e pedagogia”, Malipiero, Bologna.
• S. BROZ (2008; 1999), “I giusti nel tempo del male. Testimonianze dal conflitto bosniaco”, Erickson, Trento. • F. FANON (1962; 1961), “I dannati della terra”, Einaudi, Torino.
• C. IMPRUDENTE, L. GIOMMI, R. PARMEGGIANI (2009), “Omino Macchino e la sfida della tavoletta. La comunicazione e la logica della lentezza”, Erickson, Trento. • M. MERLEAU-PONTY (1962; 1948), “Senso e non senso”, Il Saggiatore, Milano.
• L. MILANI (1968), “L’obbedienza non è più una virtù”, I.E.F., Firenze. S. MILGRAM 81975; 1974), “Obbedienza all’autorità. Il celebre esperimento di Yale sul conflitto tra disciplina e coscienza”, Bompiani, Milano.
Andrea Canevaro