Insegnante di sostegno: diritto o dovere? (2)
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La richiesta dell’insegnante di sostegno sembra ormai essere l’esito di un processo acritico e automatico, una prassi ormai consolidata ma poco “pensata”: diritto all’inclusione uguale diagnosi funzionale uguale insegnante di sostegno. La scuola lo dà per scontato. I servizi lo danno per scontato. Le famiglie pure. L’ipotesi di non richiederlo sembra assurda: com’è pensabile rinunciare a un diritto così importante?
Di seguito, la seconda parte dell’articolo della signora Trombetta, che ci aggiorna sulle evoluzioni del suo “tentativo” (rinunciare all’insegnante di sostegno per la figlia che da settembre frequenterà la scuola dell’infanzia) e chiarisce alcuni punti che avevano, peraltro, suscitato (e stanno tuttora suscitando) un confronto molto aperto e interessante. Buona lettura.
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Sono di nuova la mamma di Irene, stupenda bimba con Sindrome di Down. E sono contenta. Finalmente abbiamo iscritto Irene alla Scuola dell’Infanzia, senza insegnante di sostegno, con l’accordo (ancora un pò timoroso, ma questo ci sta!) della Dirigente Scolastica.
Siamo contenti non tanto per quella che potrebbe sembrare una crociata contro la figura professionale dell’insegnante di sostegno (credo che chi legge attentamente le mie righe non corre il rischio di pensare questo), ma perché nella nostra città e nella nostra scuola si sta muovendo qualcosa che forse non ci sarebbe stato se avessimo fatto una scelta più “normale”. D’altra parte Irene ci ha insegnato a non affezionarci troppo alla normalità ed a cercare ciò che può essere molto istruttivo ed interessante in percorsi considerati anomali e fuori dagli schemi!
In questi mesi non appena comunicavamo il nostro desiderio di aiutare Irene nel suo percorso di vita rinunciando all’insegnante di sostegno, venivamo guardati con espressioni di stupore, curiosità, dubbio o sospetto. A volte le une, a volte le altre, a volte tutte insieme. Alle espressioni si associavano argomentazioni che, in modo esplicito o implicito, cercavano di convincerci a tornare “sulla retta via”.
Allora vorrei riprendere queste argomentazioni, che ci sono state rivolte così tante volte, da averci permesso di trovare degli antidoti sufficientemente efficaci!
Scherzi a parte, credo che a volte ci affidiamo a pensieri ai quali siamo affezionati perché ci sembrano belli, buoni, generosi, magari anche indice di democrazia e giustizia. Forse in passato lo sono anche stati, hanno svolto la loro funzione per smuovere le idee di un tempo e giungere ad avere tutto ciò che abbiamo oggi.
Ora però, forse, dobbiamo fare un altro salto di qualità. Rivisitare alcune idee che rischiano di diventare sterili ideologie poco curanti dei tempi, della specificità delle situazioni e della diversità dei bambini.
I) L’INSEGNANTE DI SOSTEGNO È UN DIRITTO DEL BAMBINO, PERCHÈ VOLETE RINUNCIARVI?!
Mi sono trovata spesso a dire che il vero diritto di Irene, quello che voglio garantirle, è quello all’inclusione scolastica, che non coincide con l’usufruire dell’insegnante di sostegno. Perché continuiamo a confondere il fine con il mezzo? L’inclusione scolastica è un’ambizione molto più articolata e complessa, si compone di molti pensieri ed azioni sinergiche tra cui, in alcuni casi, l’insegnante di sostegno.
Di fronte a questa considerazione, i nostri interlocutori hanno riconosciuto la bontà della nostra riflessione, ma immediatamente si è affacciata una seconda questione: perché la scuola dovrebbe rinunciare ad una risorsa in più? In questo periodo poi, in cui si assiste ad una progressiva riduzione delle risorse a disposizione della scuola? “State attenti, la scuola si opporà categoricamente”.
Beh, innanzitutto vorrei dire che questa strenua opposizione non si è verificata e, per questo, ringrazio la nostra Dirigente: certo c’è e c’è stato un pò di stupore, timore e fors’anche confusione, ma opposizione aprioristica e manipolatoria assolutamente no.
Poi, però mi chiedo: se è un diritto di Irene dovrebbe essere a vantaggio di Irene, giusto?
Se gli specialisti che conoscono Irene (neuropsichiatra, pedagogista…) ritengono che la nostra richiesta sia utile e valida per Irene in questo momento, perché allora la scuola dovrebbe richiedere con forza ciò di cui la bambina sembra non aver particolare bisogno?
Si è un po’ invertita la questione: l’insegnante di sostegno è un diritto del bambino o della scuola? Non lo dico con intento polemico, comprendo le fatiche della scuola e le rispetto. Capisco che la scuola possa e debba esprimere le proprie necessità.
Ma come mamma, nel scegliere se usufruire o meno di un diritto, potrei mettere al primo posto le esigenze della scuola anziché quelle di mia figlia?
II) L’INSEGNANTE DI SOSTEGNO È SULLA SEZIONE, NON SULLA TUA BAMBINA!
Confesso che questa argomentazione è stata davvero un tormentone: non appena aprivamo il discorso, ecco che ci veniva prontamente offerta. Ad un certo punto, ogni volta che la sentivo mi ribolliva un po’ il sangue nelle vene! L’ho spesso vissuta come un’affermazione politicamente corretta con poca sostanza, dietro cui nascondere tutte le contraddizioni attualmente insite nella figura dell’insegnante di sostegno.
Molti forse volevano farci capire quello che, evidentemente, non sapevamo.
Ora permettetemi una nota polemica: come mai è così diffusa l’idea che l’insegnante di sostegno sia sul bambino tanto da dover essere prontamente smentita, senza neanche che noi menzionassimo la questione? Forse perché nella realtà è ciò che avviene più frequentemente?!
In effetti, trovo che la legislazione a proposito sia molto interessante. L’insegnante di sostegno, proprio perché specializzato, collabora con le insegnanti curriculari, per costruire una didattica inclusiva nella classe. Quindi niente di più lontano dall’essere l’angelo custode del bambino disabile! Una specie di consulente delle insegnanti curriculari, in quanto specializzato e quindi, si suppone, motivato. Stupendo.
Credo sia sotto gli occhi di tutti che le cose non stanno proprio così. Non importa, forse un giorno ci arriveremo. O forse capiremo che il tutto va impostato diversamente. Comunque, ad oggi, le cose non stanno proprio così.
Quanti insegnanti di sostegno non sono specializzati?
Quante scuole e quanti insegnanti curriculari riconoscono all’insegnante, anche specializzato, il ruolo che dovrebbe avere per legge? Quanti riescono ad esercitarlo per creare cultura inclusiva? Quante volte accade che l’insegnante di sostegno sia quello che si assume la “delega” del bambino disabile?
E, di conseguenza, non è forse estremamente facile e naturale che le insegnanti curriculari si sentano meno coinvolte da quel bambino? Meno curiose di conoscerlo? Meno responsabili? Se siamo sinceri, tutti noi lo faremmo se oberati da tanti impegni e fatiche.
Tutto ciò può essere sia comprensibile sia giustificabile, perché l’inclusione scolastica è una faccenda davvero complessa. Ritengo, però, poco corretto far passare come realtà ciò che, in pratica, è ancora poco diffuso. Ci sono indubbiamente esempi di buone prassi, ma appellandoci alla saggezza popolare, “una rondine non fa primavera”.
Allora diciamoci più onestamente che quanto sostenuto da questa argomentazione è un ambizioso traguardo che tutti vorremmo raggiungere.
III) QUESTI GENITORI NON VOGLIONO ACCETTARE LA DISABILITÀ DEL FIGLIO!
Beh, questo non ci è stato mai detto in modo diretto. Ma sicuramente è stato più volte pensato. E lo sento spesso dire da colleghi e docenti a proposito di altre famiglie.
Comunque, questa è vera! È proprio vera. Un’ insegnante di sostegno che stimo molto (come vedete, non nutro alcun pregiudizio ideologico nei confronti della figura professionale) mi racconta quanto rimane perplessa di fronte ai colleghi che si appellano a questa idea. Lei risponde: “Come fa un genitore ad accettare una disabilità, se noi genitori in genere non riusciamo ad accettare neanche i limiti dei nostri figli ‘normali’…? È normale non accettarla , per andare sempre oltre…”.
Aggiungo qualche mia considerazione.
Se accettare la disabilità di Irene significa contribuire a rendere più difficoltoso il suo già impegnativo cammino, rinunciando a credere nelle sue risorse e potenzialità, allora è vero, non accetto la sua disabilità.
Se accettare la sua disabilità è vedere prima la Sindrome di Down e poi Irene con i suoi bisogni di bambina, allora è vero, non accetto la sua disabilità.
Se accettare la sua disabilità significa credere che “dentro di lei”, e solo “dentro di lei”, ci sono limiti e deficit, mentre la società con i suoi pregiudizi e tutti noi con le nostre rigidità non abbiamo in questo nessuna responsabilità, allora è vero, non accetto la sua disabilità.
Mi piace molto un concetto di C. Magris : “Dietro le cose così come sono c’è anche una promessa, l’esigenza di come dovrebbero essere. C’è la potenzialità di un’altra realtà, che preme per venire alla luce, come la farfalla nella crisalide. Utopia e disincanto, anziché contrapporsi, devono sorreggersi e correggersi a vicenda”.
Perché allora fidarsi così poco delle speranze dei genitori verso i loro figli? In fondo, non è l’illusione e la speranza del genitore che trasforma una semplice lallazione “ma… ma… ma” di un bambino nella prima parola di senso compiuto, “mamma”, incoraggiandolo a ripeterla ed insegnandogli così a parlare?
Claudia Trombetta
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Claudio Imprudente