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Imprudente e Parmeggiani, vedere le cose da un punto di vista originale

Pubblicato il: 04/07/2011 16:59:56 -


“L’identità aperta aggiunge e non sottrae. Aggiunge modi di essere, passioni che possono essere sostenute da competenze, nuove esplorazioni”. Necessità, libertà e identità nelle parole di Claudio Imprudente e Roberto Parmeggiani.
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Leggendo gli scritti di Claudio Imprudente e di Roberto Parmeggiani si può capire che ci sono in gioco due logiche: quella della necessità e quella della libertà. Una dipendenza – dal gioco, dall’automobile, da… – è una prigione nella necessità. Per uscirne a volte vengono utilizzate le proibizioni. Ma la dipendenza consiste nell’avere un solo punto di riferimento nella propria vita. Le proibizioni non spostano, non cambiano la struttura di questa costruzione. Possono portare a cercare di riconfermarla attraverso sotterfugi, menzogne… È l’identità bloccata.

La logica della libertà – vedere le cose da un punto di vista originale – va in un’altra direzione (identità aperta). Volendo è l’empowerment. Questo termine si riferisce all’accrescimento di una persona. Di competenze, di interessi, di passioni culturali, per raggiungere la gratificazione personale, l’acquisizione di potere, il controllo della propria vita, la conoscenza di se stesso e quindi la capacità di essere “in grado” di produrre eventi desiderati, prevenire quelli indesiderati e l’attuazione di comportamenti adeguati al contesto lavorativo. Per paradosso, il male nasce tanto dalla “scelta” del male che dall’imposizione del bene. Il bene si colloca nella libertà. Allargare gli orizzonti e non restringerli. È anche l’idea delle capability, che tendono a promuovere la libertà – dalla schiavitù di una dipendenza, che è tale anche quando si tenta di impedirla con le proibizioni – di promuovere o raggiungere altre possibilità e valori.

L’identità aperta aggiunge e non sottrae. Aggiunge modi di essere, passioni che possono essere sostenute da competenze, nuove esplorazioni.

Questo quadro può valere anche per le differenze dovute a deficit. Ma la pluralità delle differenze – tutti noi – può essere coinvolta. Questo approccio permette di non focalizzare tutto sulla differenza (identità bloccata), che risulta così isolata e totalizzante (etichetta immutabile in cui si ritiene di vivere la propria identità). Se l’identità si chiude nella specificità della propria differenza, viviamo la stessa identità in una continua dipendenza. Incontriamo queste situazioni in occasione di eventi che fanno vittime. La vittima, se ritiene che tutta la sua identità sia unicamente nell’essere vittima, trasforma la condizione in cui si è trovata in una necessità di continuare a esserlo. È il vittimismo. Se la diversità si salda al vittimismo, i nodi si moltiplicano. La libertà scioglie i nodi. Ed è difficile.

Il vittimismo. Esige che la vittima non evolva (identità bloccata), non aggiunga (identità aperta), o lo faccia in modo quasi clandestino: mantenendo lo status di vittima può continuare a esigere risarcimenti. Questa parola, “risarcimento”, è importante: legittima gli aiuti, offerti o conquistati magari con sotterfugi. E gratifica chi li offre, o a ogni modo legittima le punizioni, che sono una paradossale conferma dell’identità bloccata della vittima. Il vittimismo ha bisogno di un’azione combinata tra chi fa tutto il possibile per restare vittima, e chi ha gli atteggiamenti che a loro volta confermano nella condizione di vittima. Spezzare questa azione combinata è difficile ma indispensabile.

La “vittima” si è abituata a essere trattata come tale. E si sente maltrattata se non viene considerata vittima. È diventata la principale collaboratrice del suo stato. È una situazione paradossale. Un modo per uscirne può essere il coinvolgimento di chi si sente vittima in una realtà – un’azione, un progetto – che colloca “oggettivamente” in un altro status. È importante che il coinvolgimento non sia accompagnato dal tacito invito ad abbandonare una volta per tutte la condizione che ha reso quella persona vittima. Quella persona non è un’altra persona. È la stessa, con un aspetto diverso della sua identità, e questo aspetto si aggiunge e non cancella. L’aggiunta dovrebbe essere accompagnata dalla legittimazione (accettazione) della sua storia, che comprende e non cancella la condizione che ha reso quella persona vittima.

In sostanza, bisogna partire, o ripartire, da dove l’altro è arrivato, e non azzerare il percorso della sua storia. Bisogna ridistribuire le parti, i ruoli. La storia va avanti e chi era dalla parte giusta affianca chi era dalla parte sbagliata in un nuovo percorso. Giusto/ingiusto, chi aiuta/chi è aiutato… nel nuovo percorso queste coppie che sembravano chiare e assolute diventano rivedibili e relative. Vanno ripensate attraverso l’esplorazione e le nuove esperienze.

Le difficoltà maggiori sono rappresentate dal fatto che ci si sente nella parte giusta vorrebbe rimanerci. Come chi si sente nella parte di vittima vorrebbe rimanerci. Diventa importante l’incontro con chi non conosce la storia precedente, ed è bene che non la conosca: porta uno sguardo nuovo. I rischi, però, non sono finiti. Ciascuno cercherà di mettere in moto i comportamenti capaci di confermare il suo ruolo precedente. Lo “schiavo” tenterà di rimanere tale di fatto, anche se il nuovo percorso lo vede “libero”. E analogamente il “padrone”. Ma i fatti possono realizzare qualcosa di più rispetto a ciò che ciascuno vorrebbe continuare a essere. Nei fatti entrano sguardi nuovi, nuove considerazioni. E anche se ciascuno “si racconta” come se nulla di nuovo fosse accaduto, in realtà potrebbe essere accaduto molto.

Claudio Imprudente e Roberto Parmeggiani aiutano a trovare la logica della libertà e a uscire dalla prigionia della necessità.

Andrea Canevaro

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