Il brand italiano migliore è nel connubio fra lingua e cultura
Sostegno e apertura all'iniziativa della Fondazione Di Vittorio e della CGIL sullo sviluppo della lingua e della cultura italiana nel mondo. La sintesi fra lingua e produzione culturale può dare forza all'Italia.
Nel corso della mia carriera ho potuto constatare di persona l’acuto bisogno di una presenza culturale italiana fra i nostri emigrati e l’ammirazione di cui gode il nostro Paese all’estero, per la sua cultura, il suo paesaggio, le sue tradizioni.
Ho conosciuto emigranti che, per quanto assimilati ai Paesi ospiti o perfettamente integrati, coltivano con cura la nostalgia, il ricordo, il legame con le proprie origini. Certo le caratteristiche del fenomeno migratorio cambiano, a seconda che si tratti d’immigrati di prima, seconda o terza generazione, ma l’attitudine verso il Paese d’origine non cambia. Ho conosciuto immigrati di terza generazione che, pur non conoscendo talvolta l’Italia, ne parlavano con amore e devozione, attraverso il ricordo dei propri genitori, o nonni e che sentono fortemente l’esigenza di riappropriarsi, se non addirittura di appropriarsi di un patrimonio non solo linguistico, ma culturale per il quale esprimono un forte bisogno.
Le iniziative del governo in questo campo sono drammaticamente insufficienti, a maggior ragione oggi che la globalizzazione e l’intensificarsi della mobilità aprono nuovi scenari migratori, caratterizzati da connazionali con elevate competenze, non solo linguistiche, che ben possono essere considerati portavoce di un Paese moderno, liberando il campo dagli stereotipi che nel tempo si sono stratificati sulla nostra immagine nel mondo.
E, infatti, forse occorre riflettere sul perché si continui a sentirsi italiani nell’era della globalizzazione e, soprattutto, quale densità ci sia nel cuore di questo fenomeno e perché sia importante difendere la funzione educativa del coltivare nostra lingua e cultura.
Trovo di grande rilievo culturale e politico l’iniziativa della CGIL e della Fondazione Di Vittorio. Proprio perché propone una visione moderna della cultura. Come pure vorrei sottolineare la validità non solo culturale ma anche economica del promuovere la lingua e la cultura italiana all’estero, non solo perché i nostri migliori prodotti continuano a esercitare all’estero una forte attrattività – perché percepiti come in grado di far vivere, in forme nuove e moderne, i caratteri antichi della cultura e dell’arte italiana – ma anche per la necessità di rendere il nostro Paese sempre più appetibile per gli investimenti esteri.
È auspicabile che il rilancio della lingua e della cultura italiana, proprio per la densità dell’iniziativa, voglia superare la triste tradizione neo-idealistica degli studi in materia nel nostro Paese, consegnata quasi totalmente al valore della grammatica, della morfologia: il passo da compiere è cogliere l’Anima della lingua, essa stessa cultura, ben lungi dal suo mero carattere strumentale di forma comunicativa.
Nelle considerazioni che accompagnano la proposta in oggetto si affronta anche il tema degli istituti culturali all’estero e del difetto opposto a quello accennato: quello cioè di promuovere la “cultura italiana” separata dalla lingua. Tanto errato è ridurre la lingua a grammatica, quanto ridurre la promozione culturale al solo momento letterario o artistico. È nell’integrazione fra lingua e cultura che questa iniziativa acquista la sua valenza moderna e generale.
Il nostro brand, il brand italiano più efficace, è proprio nella sintesi di lingua e produzione culturale.
Tuttavia vorrei cogliere l’ulteriore valore nella forza formativa dell’insegnamento di lingua e cultura all’estero nella società del plurilinguismo e dell’interculturalità.
Un’educazione moderna non può non cogliere il valore formativo dell’appropriarsi di una seconda lingua, se non di più lingue. E, quindi, della ferace contaminazione reciproca offerta da lingue diverse nel patrimonio di base del cittadino di oggi.
Il grande poeta latino Ennio diceva di avere tria corda (tre anime), perché conosceva tre lingue: il greco, la lingua dei colti, il latino, quella dell’amministrazione e, insieme, l’osco, la lingua della sua terra d’origine.
Penetrare la ricchezza espressiva, le molteplici regole linguistiche, le diverse efficacie comunicative e i diversi sostrati storico-culturali e formarne un unico patrimonio educativo, interculturale, è certamente un arricchimento da non perdere.
La filosofia dell’oggi vive all’insegna dell’inter-connessione, della forte interrelazione e, insieme, dell’integrazione fra i diversi, non della monocultura. E l’Europa è sicuramente il crogiuolo più efficace in tutto questo.
L’iniziativa che stiamo presentando intende dare autonomia alle istituzioni educative italiane all’estero, in modo che possano operare gli adattamenti più idonei a corrispondere alle specifiche esigenze locali. Ed è auspicabile che l’iniziativa di promozione della lingua italiana agli stranieri si svolga all’insegna della novità, di una base autonomistica molto robusta, che anche nel nostro Paese abbiamo voluto introdurre con la scuola dell’autonomia, seppure oggi così depotenziata, e che, anzi, ha bisogno di un vigoroso rilancio poiché la base strutturale di un apprendimento moderno non può essere che l’autonomia dei sistemi educativi.
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Immagine in testata di Knerger
Luigi Berlinguer