L’apprendimento attraverso il fare per combattere la pandemia
Tra le preoccupazioni sulla riapertura della scuola – la più acuta riguarda lo stress e la demotivazione degli studenti che potrebbero derivare da un suo funzionamento a singhiozzo – c’è il timore di un rattrappirsi, in attesa di tempi migliori, della creatività didattica. Di una scuola congelata in regole e precauzioni, di pratiche di insegnamento tese solo a recuperare quello che si è perso e a puntellare l’essenziale (ma cos’è che si è perso di più, nella lunga chiusura, e che cos’è l’essenziale?), del disseccarsi per le tante difficoltà di una fase non si sa quanto lunga degli incontri, degli stimoli, delle alleanze con i territori ‘esterni’, il lavoro, il sociale, l’associazionismo, la cultura. Il timore si alimenta delle voci che media e politica fanno prevalere in questi giorni.
Da un lato un allarme che si ingigantisce e si articola in sempre nuovi allarmismi, dall’altro un dare per scontato che la crisi produrrà inevitabilmente profonde e radicali trasformazioni (‘non lasciare mai che la crisi passi inutilmente senza utilizzarla per l’innovazione’: già, ma quale, come, e chi la innesca?). Non si sa granché, in verità, dell’attuale ‘temperatura riformista’ del mondo della scuola, e il recente passato non permette facili ottimismi. È certo, comunque, che non da oggi sembra essere precipitata sotto zero quella della politica in ambito scolastico e formativo, e che non appare probabile che a riaccendere rapidamente i fuochi possano bastare le pur convincenti riflessioni di Mario Draghi su giovani, istruzione, lavoro. Anche per questo, perché la riapertura della scuola non sia solo ritorno alla normalità (prova di ‘resilienza’,si dice), è indispensabile curare la pianta della creatività didattica delle scuole. E dell’ottimismo pedagogico che necessariamente la accompagna.
Perciò rincuorano le voci delle scuole che, nonostante tutto, questo filo sanno da subito riavvolgerlo. Per esempio quella di un grande istituto tecnico con indirizzo chimico di Bolzano, riaperto fin dal 7 settembre (neppure Covid-19 ce l’ha fatta a scalfire la tradizionale puntualità altoatesina), dove dirigente e insegnanti, tagliando corto sulle solite domande ansiogene del giornalista di turno, ci hanno tenuto a raccontare tre cose. La prima è che gli studenti del quinto anno di chimica ambientale spiegheranno ai più giovani perché e come sanificare le aule dopo ogni utilizzo (lì sono le classi a spostarsi secondo le lezioni nelle aule dedicate alle diverse discipline), e per una fase iniziale di tre giorni gli mostreranno come si fa per passare poi a loro il compito vigilandone l’impegno e la qualità esecutiva. La seconda è che gli studenti del laboratorio di microbiologia sono in grado di produrre autonomamente, in base alle prescrizioni definite dall’OMS, i gel igienizzanti (gradazione alcolica al 70%) distribuiti dai dispenser all’ingresso e negli altri locali della scuola, e di essere anche in grado di rispondere alle richieste di altre scuole. La terza è che la scuola produrrà i tamponi con cui gli studenti potranno misurare, attraverso apposite colture, la carica batterica presente sulle superfici (non l’eventuale contaminazione SARS-Cov-2, ovviamente, ma è proprio l’allarme pandemia, si precisa, che renderà di sicuro più appassionanti le attività di laboratorio). Un programma di coinvolgimento e di responsabilizzazione degli studenti ( «è così che si risponde al panico»),in cui c’è molto di più della sola produzione di amuchina cui si sono dedicati con prontezza, tra l’ultima settimana di febbraio e i giorni di marzo immediatamente precedenti al lockdown, quando il prodotto non si trovava più se non a prezzi da mercato nero, tantissimi istituti tecnici del Paese. Un ricco elenco di scuole ad indirizzo chimico, biologico, agrario che va da Vibo Valentia, Andria, Sant’Agata di Militello, Avezzano, Termoli fino a Milano (e anche di tante università e politecnici), impegnate a produrre, imbottigliare, distribuire il gel ad uso delle proprie scuole ma distribuendolo gratuitamente ad altre, in qualche caso anche a Comuni, Prefetture, RSA e perfino, curiosamente, alla Protezione civile. Per dirla in breve, nelle tre mosse dell’istituto di Bolzano ci sono i tratti essenziali, declinabili in ogni comparto scolastico, di un programma educativo intelligente, c’è l’apprendimento che passa attraverso il fare, il sapere che trae stimolo e che si misura con i problemi concreti e attuali, la peer education, l’educazione civica. E, quello che più importa, i processi didattici che svelano i significati più autentici dell’imparare, restituendo il senso profondo della scuola.
Quanti sono, quanti saranno gli istituti a muoversi in questa direzione ? Dipende anche dalla loro diffusione, e dal supporto che riceveranno, come si uscirà da questa fase.