La scienza, la tecnica (e la filosofia?) negli Istituti tecnici
La necessità di un atteggiamento razionale-critico e di una cultura complessa è già largamente recepita, negli ordinamenti scolastici, non solo per i licei, ma anche per gli Istituti Tecnici almeno dagli anni’80. Nel profilo formativo dell’ultimo riordino si immaginano diplomati tecnici capaci di:
- «utilizzare gli strumenti culturali e metodologici acquisiti per porsi con atteggiamento razionale, critico e responsabile di fronte alla realta?, ai suoi fenomeni e ai suoi problemi, anche ai fini dell’apprendimento permanente;
- riconoscere le linee essenziali della storia delle idee [….] con riferimento soprattutto a tematiche di tipo scientifico, tecnologico ed economico;
- collocare le scoperte scientifiche e le innovazioni tecnologiche in una dimensione storico- culturale ed etica, nella consapevolezza della storicita? dei saperi;
- analizzare criticamente il contributo apportato dalla scienza e dalla tecnologia allo sviluppo dei saperi e dei valori, al cambiamento delle condizioni di vita e dei modi di fruizione»
Niente male come disegno culturale. Ma come si proietta questo disegno nel curricolo degli IT? Cominciamo da quello formale: se si vanno a leggere le indicazioni per le discipline si scopre che i profili sopra ricordati sono integralmente recepiti nelle discipline comuni, Italiano e Storia, e totalmente assenti in tutte le discipline scientifiche e tecniche di indirizzo, salvo un cenno in Economia. È la mappatura curricolare della separazione fra la cultura del progettare/applicare e quella dell’esprimersi, riflettere, interpretare. Il problema è che questa separazione può funzionare per preparare tecnici competenti e anche mediamente colti, ma non per raggiungere gli obiettivi che abbiamo visto. Difficile dire, inoltre, quanto il curricolo formale diventa reale nella pratica didattica: probabilmente non molto. C’è comunque un elemento rivelatore: la complessità dei rapporti fra tecnica e gli altri ambiti di conoscenza e di pensiero è sempre espressa in termini generali di conoscenza e consapevolezza, ma quando si va alle indicazioni disciplinari non viene mai tradotta in competenze. Nonostante che tutto l’apparato delle indicazioni sia impostato sul concetto di competenza.
Ragionare e porsi domande: prerogativa dei Licei?
Spostiamoci un momento nei licei. Nel Profilo relativo all’area logico-argomentativa, che include quale ovviamente la filosofia, si legge:
«Saper sostenere una propria tesi e saper ascoltare e valutare criticamente le argomentazioni altrui. Acquisire l’abitudine a ragionare con rigore logico, ad identificare i problemi e a individuare possibili soluzioni. Essere in grado di leggere e interpretare criticamente i contenuti delle diverse forme di comunicazione.»
È davvero curioso che, dopo la strenua lotta contro il concetto di competenza promossa dalla commissione che ne definì i profili, proprio nei Licei si raccomandi una vera competenza, una techné[1]. Si pensa quindi a una sorta di filosofia applicata. In effetti il dibattito è una delle pratiche didattiche usate anche nel mondo anglosassone. Ma, per fugare ogni velleità di sostituire, con un approccio naif, la pratica alla teoria, nelle indicazioni si precisa che:
«Grazie alla conoscenza degli autori e dei problemi filosofici fondamentali lo studente ha sviluppato la riflessione personale, il giudizio critico, l’attitudine all’approfondimento e alla discussione razionale, la capacita? di argomentare una tesi, anche in forma scritta, riconoscendo la diversita? dei metodi con cui la ragione giunge a conoscere il reale.»
Dunque, secondo il profilo scritto per i licei, la speculazione e la discussione razionale possono entrare nel patrimonio intellettuale degli studenti, ma solo sulla base di un approccio storico-teorico, quello della filosofia. La speculazione e la discussione razionale consistono nel fare e farsi domande cercando di trovare risposte.
Come ci spiega Floridi in un suo recente testo[2], ci sono due tipi di domande: le domande chiuse (scientifiche) alle quali si risponde con l’evidenza empirica o il procedimento logico-matematico e le domande aperte (filosofiche) a cui si risponde con un procedimento che rimanda ad altre domande fino a trovare un esito convincente. Nei dibattiti molto spesso i due tipo di domande si intrecciano e un aspetto della capacità dialogica è quello di servirsi di ambedue senza confondere le une con le altre. Tutto ciò è platealmente evidente nei pubblici dibattiti sulla pandemia Covid, nei quali prevale l’incapacità di usare in modo chiaro e distinto evidenze empiriche, calcoli e grafici, istanze di etica civile, filosofie della vita umana. Ma gli esempi si possono moltiplicare. E quindi nessun sapere specifico può pretendere l’esclusiva della speculazione e del dialogo razionale. Neanche la filosofia, almeno da quando si è separata dalla scienza, quasi tre secoli fa. Serve quindi la cooperazione fra filosofia, storia, scienza e anche tecnica, ma persino arte e letteratura.
Una scienza intrisa di filosofia
Vediamo ora le cose dal punto di vista della scienza e della tecnologia. Affinché possano partecipare a un dialogo critico e dialettico debbono esse stesse incorporare in qualche modo il pensiero critico. Le scienze sono oramai da tempo, almeno nelle intenzioni, propense a questo. Non solo i filosofi della scienza, ma gli stessi scienziati hanno da tempo accettato la non linearità dell’evoluzione delle idee, la presenza di teorie contrapposte e la complessità. Ma la didattica delle scienze spesso preferisce la linearità e il determinismo, specialmente negli Istituti tecnici a causa della sua collocazione all’inizio del ciclo e della sua funzione essenzialmente propedeutica.
Per la tecnica le cose sono più complicate. L’ingegneria moderna, che fornisce il modello anche all’istruzione tecnica, nasce con un programma deterministico e lineare. Eppure l’analisi della tecnica mostra la complessità delle sue pratiche e del suo sviluppo[3]. L’insegnamento delle discipline tecniche dovrebbe fare uno sforzo in due direzioni:
- La critica interna: mostrare con esempi pratici, che sia il progredire delle tecnologie sia il lavoro del tecnico sono frutto di scelte, intuizioni, imprevisti.
- La critica esterna: mettere in evidenza i limiti, le conseguenze sociali, i problemi etici, le implicazioni culturali delle scelte tecniche.
Si noti che queste forme di critica non sono solo un ampliamento culturale, ma un aspetto della professionalità.
Ma gli sforzi paralleli delle varie discipline non bastano: occorre creare occasioni e contesti in cui essi si integrano. Occorre trovare i modi e i tempi per una collaborazione. Un buon punto di partenza è quello di scegliere concetti-chiave su cui lavorare. Si prestano particolarmente bene i concetti di confine fra i vari ambiti del sapere. Un esempio è il concetto di incertezza e tutta l’area semantica a cui appartiene (complessità, non-determinismo, razionalità limitata, disorientamento), e che è oggi come non mai al centro di tutto: la matematica, la fisica, la biologia, le scelte tecnologiche, la società, l’etica.
Partire da un concetto può evocare un lavoro speculativo, di studio seminariale. Ma è forse meglio pensare a un’attività di progetto anche contestualizzata al rapporto scuola-lavoro. Proprio dalla realtà di un lavoro possono (e dovrebbero) scaturire le contraddizioni, i problemi, il dialogo, le scelte complesse. Quello che è certo, in ogni caso, è che per tutto questo occorre trovare nel curricolo spazi specifici a lato delle discipline.
Torniamo da capo: serve dunque portare l’insegnamento della filosofia-disciplina negli istituti tecnici? Se si pensa a un deus ex-machina che risolva di colpo il problema della ragione critica siamo, come si è visto, fuori strada. Se poi si vuole conservare l’intero impianto storico della disciplina si va incontro a una frustrazione sicura.
Quello che occorre è un ripensamento del modo di essere degli IT: curricoli più flessibili e dinamici con i quali forse potrebbero anche spuntare modelli nuovi. È suggestivo, su tutto un altro piano, il progetto sperimentale META del Politecnico di Milano che prevede non l’introduzione della filosofia nel curricolo, ma l’introduzione di filosofi in alcuni gruppi di ricerca tecnologica, come per esempio l’uso dell’Intelligenza Artificiale per la guida automatica.
[1] Nel Gorgia Socrate (alias Platone) chiarisce che non solo quella del meccanico, ma anche quella del retore è una techné.
[2] L. Floridi, Pensare l’infosfera. La filosofia come design concettuale, Raffaello Cortina Editore, 2020
[3] Si veda ad esempio W.B.Arthur La natura della tecnologia. Cosa è e come evolve, Codice Edizioni, 2011, dove si svela un quadro complesso del modo di essere della tecnica e del suo sviluppo storico.
Mario Fierli