Dispositivi digitali a scuola. Non solo smartphone, ma un decalogo generale
La notizia sul via libera del Ministro all’uso degli smartphone a scuola è quasi una fake news. O almeno la solita semplificazione giornalistica che, con la scusa di far capire, spinge ad aprire la partita del pro-contro. Quello che il Ministro ha varato è un decalogo, scritto da un pool di consulenti, sull’uso dei dispositivi mobili a scuola. Il decalogo non li elenca, ma è evidente che li include tutti: personal computer, tablet, smartfhone. Dunque di questo si dovrebbe discutere.
Il decalogo parte con due affermazioni di principio:
1-ogni novità comporta cambiamenti
2-i cambiamenti non vanno rifiutati, ma compresi e utilizzati per il raggiungimento dei propri scopi
(riporto solo i titoli delle dieci regole e non le brevi spiegazioni).
Seguono due affermazioni che ribadiscono le politiche del Piano Nazionale per la Scuola Digitale:
3-la scuola promuove le condizioni strutturali per l’uso delle tecnologie digitali
4-la scuola accoglie e promuove lo sviluppo del digitale nella didattica
Ci sono le affermazioni di tipo culturale-metodologico-didattico
5-i dispositivi debbono essere un mezzo, non un fine
6-l’uso dei dispositivi promuove l’autonomia delle studentesse e degli studenti
8-il digitale trasforma gli ambienti di apprendimento
E infine le considerazioni socio-culturali
9-rafforzare la comunità scolastica e l’alleanza educativa con le famiglie
10-educare alla cittadinanza digitale è un dovere della scuola
C’è una sola indicazione procedurale:
7-il digitale nella didattica è una scelta: sta ai docenti introdurla e condurla in classe
E’ un decalogo pieno di buon senso e di affermazioni condivisibili. Le prime due, anzitutto. Le nuove tecnologie pongono un problema che riguarda la cultura e i comportamenti. E’ un problema difficile da affrontare, ma come fa la scuola a ignorarlo? Blindarsi non è la soluzione, anzi può essere un danno perché allarga la separazione fra scuola e vita. E’ comunque un’illusione perché quello che non viene elaborato dentro la scuola viene comunque assunto, in modo “grezzo” e distorto, fuori o ai margini di essa. L’emblema è il classico problema della copiatura, lamentata da molto docenti, che è possibile solo quando si fanno richieste banali o generiche che non richiedono un’indagine vera o almeno il rispetto di alcune regole di sintesi.
Sul piano metodologico-didattico le indicazioni sono altrettanto condivisibili. In sintesi l’uso delle tecnologie al servizio di autonomia, creatività, responsabilità e la versatilità, cioè la capacità di sfruttare la grande varietà di funzioni e ambienti, sono le chiavi di volta. Qui però c’è il vero scoglio: le tecnologie non regalano una buona didattica, ma la pretendono. Solo a questa condizione diventano una risorsa e possono contribuire ad alzare il livello intellettuale degli studenti. Vale sempre come esempio, il modo di accedere alle informazioni. Per chiarire ancora meglio, non si tratta di predicare o raccomandare comportamenti, ma di porre obiettivi alti. Lo scoglio consiste nel fatto che una cultura didattica di questo tipo è ancora tutta da costruire: non tutti i docenti l’accettano o l’hanno già elaborata. E non si tratta di un “semplice” problema di formazione intesa come trasmissione di regole o routine professionali. Serve un processo che unisca la pratica di riflessione-confronto-scambio (cioè ricerca) mescolata al lavoro in classe. L’istituzione degli animatori digitali vuole andare in questa direzione.
Sul versante della socializzazione di nuovo siamo di fronte a un problema circolare. Tocca alla scuola educare all’uso responsabile della comunicazione digitale. Ma per fare questo non bastano prediche e costrizioni. Ci vuole, si, informazione e consapevolezza, ma ci voglio soprattutto buone pratiche. Il che significa introdurre le tecnologie nei circuiti comunitari che già esistono e che possono dare loro un senso. Solo dopo le tecnologie possono restituire forza alle comunità stesse.
Anche qui non si può improvvisare: occorre grande voglia di inventare e sperimentare.
Sia la questione metodologico-didattica, sia quella della socializzazione postulano una forte mobilitazione organizzativa, non solo rivolta a fissare regole e condotte, ma a promuovere un clima di ricerca comune. Che è più o meno quello che chiede il punto 4.
La sfida delle tecnologie, come si vede, non è semplice. E purtroppo la promessa del punto 3 è lontana da essere mantenuta in pieno. Non si tratta tanto di dotazioni hardware, di cui pure ne servono alcune, ma di collegamenti in rete veloci e sufficienti per tutti i dispositivi individuali che oramai gli studenti si portano da casa o di cui possono essere dotati con opportune politiche delle scuole.
A fronte della complessità del problema pare dunque scontato che l’unica indicazione operativa, la numero 7, sia di rimandare alla responsabilità e alla decisione dei docenti secondo “i modi e i tempi che ritengono più opportuni”. Indicazione inevitabile, anche perché l’autonomia didattica è comunque una legge, ma che ha anche fatto tirare un sospiro di sollievo ai commentatori più scettici!
E lo smartphone? Abbiamo ampiamente visto che il problema è più grande, ma è inutile negare che, all’interno di esso, il sotto problema dei telefonini ha una sua specificità, per il fatto che essi sono i maggiori imputati in quanto veicoli di comportamenti dispersivi, compulsivi e talvolta socialmente pericolosi. Escluderne del tutto l’uso può essere, come per tutti gli altri mezzi, velleitario. Ma forse serve un surplus di fantasia. Si possono, come si sta facendo, porre limiti e regole. E la maniera migliore può essere quella di proporre modelli comportamentali “adulti”. In società, come si sa, esistono situazioni in cui il telefonino non si può usare per niente: a un concerto o a una conferenza, al cinema. Nelle riunioni di lavoro in genere è ammesso ricevere una chiamata silenziosa, ma rispondere con l’automatico “ora non posso”. Ma ci sono anche riunioni o situazioni di lavoro in cui lo smartphone è uno strumento utile o necessario: la ricerca di un’informazione, l’uso di un’applicazione (un calcolo rapido, una ricerca su mappa, la scrittura di un appunto o di un verbale, un collegamento a distanza con qualcuno che non è presente). Naturalmente i comportamenti fuori luogo, anche per gli adulti, comportano riprovazione e, al limite, sanzioni. Se il modello unico è quello della lezione non rimane che proibire l’uso del dispositivo. Anche se, però, sono possibili lezioni interattive che possono prevedere, ad esempio, rapide domande-ricerche. Lo stesso vale per molte pratiche di dialogo in classe. Ma se si attivano le pratiche di cooperazione, di progetto, di indagine in gruppo il modello è quello delle situazioni di lavoro “aperte” e allora si aprono molte possibilità.
Sono indicazioni sommarie, semplici spunti di riflessione. Quello che occorre è molta fantasia per creare e dominare situazioni credibili, interessanti e sensate.
Mario Fierli