Che fare con i test? Riflessioni a margine di un convegno dell’Invalsi
Sono stati recentemente presentati dall’Invalsi i risultati dell’Indagine Iea PIRLS 2021, indagine internazionale cui hanno partecipato 57 Paesi al mondo. L’indagine, curata per l’Italia dall’Invalsi, riguarda la comprensione della lettura degli studenti al quarto anno di scuola primaria (circa 9 anni di età).
Come è stato riportato da varie testate specialistiche i risultati del nostro Paese sono complessivamente discreti; gli alunni italiani si piazzano infatti nella parte alta della graduatoria europea, superati solo da Finlandia, Polonia e Svezia, anche se si nota una lieve flessione nei punteggi dal 2016 (anno della precedente rilevazione) al 2021. Per il resto restano purtroppo confermati gli ormai noti divari tra le diverse aree geografiche del nostro Paese.
La lettura di questi dati suscita alcune questioni: la prima, più volte posta e mai risolta, è che cosa succede tra la scuola elementare e la scuole media: infatti, ormai da quasi 50 anni, quando vennero pubblicati i primi risultati delle indagini internazionali IEA, ai buoni risultati conseguiti dagli alunni italiani nella nella scuola primaria si contrappongono quelli mediocri conseguiti nella scuola media e quelli ancora peggiori conseguiti nella scuola secondaria superiore; è una questione che andrebbe affrontata mediante una capacità di indagine più analitica, mettendo a confronto i risultati dei singoli alunni nei due ordini di scuola ed esaminandoli alla luce dei diversi contesti educativi nei quali avviene il passaggio da una scuola all’altra.
La seconda questione riguarda l’utilizzo di questi dati; qui non mi riferisco tanto ai dati delle indagini internazionali, ma soprattutto ai dati delle rilevazioni annuali che puntualmente l’Invalsi compie sulla totalità degli studenti italiani su 4 classi della scuola primaria e secondaria di primo e secondo grado. L’impressione è che, tranne lodevoli eccezioni, l’interesse, sia pubblico che degli addetti ai lavori, si esaurisca per lo più nella lettura delle graduatorie, con la verifica delle posizioni dell’Italia e delle diverse circoscrizioni, creando perfino un senso di stanchezza rispetto ad una rilevazione che rischia di sembrare ripetitiva, dato che, anno dopo anno, i risultati sono abbastanza simili con lievi variazioni tra una circoscrizione e l’altra. La domanda di fondo è: queste rilevazioni e questi dati vengono effettivamente utilizzati per il miglioramento del sistema scolastico italiano? Purtroppo la risposta non può essere del tutto positiva, ed è un grave peccato, perché questi dati, a parte il grande impegno che richiede la loro preparazione, raccolta, elaborazione e diffusione annuale, hanno un elevatissimo potenziale informativo, che se propriamente utilizzato permetterebbe un significativo salto di qualità alle singole scuole ed all’intero sistema scolastico italiano. Una significativa dimostrazione se ne è avuta durante lo stesso incontro PIRLS quando Maria Teresa Siniscalco ha presentato i risultati di un’indagine internazionale che ha messo in relazione le pratiche didattiche dei docenti di 6 Paesi con i risultati PIRLS. Da questo confronto sono emerse le pratiche didattiche più efficaci per promuovere la comprensione della lettura degli alunni; la condivisione di questi risultati, che forniscono indicazioni molto concrete ed operative riguardo alla didattica, sarebbe utilissima tra i docenti per promuovere il miglioramento nella scuola primaria.
Va chiarito e sottolineato che non si può addebitare all’Invalsi la responsabilità dell’uso limitato delle informazioni che raccoglie ai fini del miglioramento del sistema e delle scuole. Anzi occorre ricordare le numerose iniziative che l’Invalsi ha avviato per diffondere la conoscenza e l’utilizzazione sia tra i docenti che tra i ricercatori dei dati raccolti, attraverso i corsi di formazione, attraverso il sito e la sua sezione Invalsi Open (molto chiara e ben fatta), attraverso la newsletter statistica ed ovviamente attraverso la diffusione dei dati a livello di singola scuola, opportunamente corretti alla luce dei dati di contesto.
Il problema riguarda invece le attività condotte e le iniziative promosse dall’Amministrazione scolastica nel suo insieme ed in particolare da coloro che maggiori responsabilità hanno riguardo la formazione del personale, che invece di disperdere le loro energie su una miriade di attività dai titoli anche accattivanti dovrebbero concentrare gli sforzi sul miglioramento di alcune competenze fondamentali degli studenti italiani nel campo dell’Italiano, della Matematica e della Lingua straniera che sono ben individuate dalle prove Invalsi. Ed il problema riguarda anche la messa finalmente a sistema di una valutazione esterna che, lungi dal voler rappresentare una verifica fiscale del funzionamento delle singole scuole, potrebbe costituire un fondamentale strumento di dialogo tra il centro e la periferia per promuovere il miglioramento della scuola italiana.
Giorgio Allulli Vicepresidente della Rete europea della qualità dell’Istruzione e formazione professionale (EQAVET); già direttore delle aree sistemi formativi del Censis, dell’Isfol e della Conferenza dei Rettori.