Emergenza non solo sanitaria: tessere legami tra servizi educativi e famiglie
Bambini e bambine sono dotati di risorse e potenzialità straordinarie che prendono forma e si nutrono grazie a un’incessante interazione con l’ambiente materiale e relazionale, nel quale, per ciascun soggetto, protagonista attivo dei propri itinerari conoscitivi, l’incontro con i pari (insieme a quello con gli adulti) è fonte primaria di riconoscimento, sperimentazione e sviluppo. Il bambino è al centro di una trama densa di relazioni nelle quali si pone come costruttore delle proprie interpretazioni del mondo, attribuendo senso e significato attorno agli accadimenti che via via elabora, sempre comunque in una dimensione dialogica aperta e in continuo divenire.
Queste riflessioni legate all’idea di un bambino precocemente predisposto ad apprendere e di un’infanzia portatrice di diritti stanno alla base di una cornice pedagogica progettuale di riferimento che, per lo “zero-sei”, connette cura, educazione e apprendimento dentro a sistemi relazionali complessi e interrelati, dove l’educatore/insegnante si pone come “regista” e facilitatore dei contesti intenzionalmente predisposti per promuovere e favorire l’ascolto di ogni soggettività, lo sviluppo delle autonomie e delle competenze emergenti.
Quali valori e quali idee di educazione devono allora continuare a orientare le scelte educative in un periodo che, scardinando certezze, prassi e modalità di lavoro ordinarie, sta offrendo la possibilità di rileggere il proprio agire e di sperimentare pratiche e nuovi stili di relazione tra educatori/insegnanti, bambini e famiglie? Il breve contributo che porto nasce da riflessioni e confronti emersi nel lavoro quotidiano di educatori e insegnanti di nidi e scuole dell’infanzia, riletture costruite anche grazie al confronto con le famiglie.
Da subito abbiamo interpretato il nostro mandato nella direzione di individuare strategie per mantenere vicinanza, legame affettivo e un “sentimento di presenza” (pur nella lontananza). Era essenziale continuare a condividere il senso di un’esperienza, comunque collettiva, che non aveva strutture organizzative e stili codificati, ma che giorno dopo giorno trovava aggiustamenti, nuove direzioni, rinnovate consapevolezze. In questo le restituzioni dei bambini e la collaborazione dei genitori sono state fondamentali per continuare a fare ricerca attorno a ciò che via via prendeva forma e andava ad allargare il repertorio di prassi condivise nel nostro sistema educativo.
Le opportunità offerte, rese possibili anche grazie all’utilizzo di alcune tecnologie della comunicazione, con uno sguardo attento a garantire la massima inclusione possibile, hanno rappresentato un panorama ampio e in continua evoluzione: file audio e video con narrazioni, video ambientati all’interno delle strutture educative, proposte legate ai percorsi progettuali in corso, inviti a esplorazioni domestiche e nei giardini, semine di fiori e piantine, invenzione di storie e giochi tesi a promuovere il pensiero creativo, inviti a preparare ricette di cucina e messaggi per gli amici e le educatrici, telefonate e videochiamate a piccolo e grande gruppo. Abbiamo cercato il più possibile di rendere sistematico il lavoro di restituzione per riconoscere e valorizzare i rimandi dei bambini e, al contempo, continuare ad alimentare la dinamica comunicativa in corso.
Dentro a una generale situazione di insicurezza e a un diffuso senso di smarrimento che ha rischiato di minare alcune certezze professionali, non è stato facile modificare, e in modo repentino, le pratiche lavorative e aprirsi a un nuovo cambiamento: ora prevaleva un lavoro più solitario in gran parte da ripensare, ogni condivisione con i colleghi necessitava di uno strumento mediatore, dal cellulare alle call di gruppo, i contatti giornalieri tra coordinatore e operatori e tra operatori stessi (e tra questi e le famiglie) erano frequentissimi, senza più un confine netto tra i tempi di vita personali e quelli lavorativi.
L’avvicinamento stesso a un uso così assiduo delle tecnologie, fondamentali per lavorare il più possibile in rete e per cercare di raggiungere il maggior numero di bambini e famiglie, è stato un processo che ha coinvolto in modo diverso i colleghi e non senza iniziali situazioni di tensione emotiva e criticità più operative, nel tempo superate. Criticità ritrovate anche nelle famiglie con possibilità di accesso alle tecnologie molto differenti tra loro per ragioni legate alla dotazione stessa degli strumenti, per la maggiore o minore familiarità con esse e, non ultimo, per la complessità vissuta nel coniugare gestione dei bambini a casa, lavoro e altre dinamiche familiari all’interno della medesima cornice spazio-temporale.
Eravamo consapevoli che, a distanza, sarebbero venute a mancare le qualità su cui si fonda una relazione educativa ricca e generativa, soprattutto in una fascia d’età come quella infantile: molti genitori ci hanno restituito la consapevolezza che il nido e la scuola rappresentano parti fondamentali della vita dei bambini, una sorta di seconda casa di cui se ne avvertiva forte la mancanza. E non soltanto per i bambini. Da un lato l’importanza di quella continuità di rapporto che nel tempo consente ai bambini di aprirsi positivamente all’incontro con l’altro e con il mondo e ai genitori di trovare altri adulti competenti con cui confrontarsi attorno alla crescita dei bambini e con cui condividere l’esperienza genitoriale passo a passo. Dall’altro la nuova modalità relazionale, mediata dai diversi strumenti tecnologici, privava di quell’incontro tra corpi che, soprattutto al nido, si nutre delle dimensioni non verbali della comunicazione. A quella danza relazionale, basata su un costante ascolto emotivo dell’altro, si stavano sostituendo modalità “altre” di tenuta del legame, strategie più visive e uditive, a tratti efficaci, altre volte ritenute non particolarmente significative.
Cercando di non tradire alcune idee di fondo del progetto pedagogico, le proposte hanno avuto l’intento di continuare a tenere alta la motivazione per la curiosità, per la ricerca e la scoperta dentro ambienti familiari o immaginari, grazie ad alcune provocazioni e domande offerte dalle educatrici/insegnanti che, continuando a promuovere il protagonismo del bambino, lo stimolassero a intraprendere esperienze di gioco e di relazione all’interno del proprio contesto di vita. «La rabbia la sento nelle gambe, mi fa arrabbiare non andare all’asilo, sono annoiato e mi fa arrabbiare» è ciò che dichiara all’insegnante un bambino di poco più di 3 anni. È stato importante dare spazio di “parola” ai bambini attraverso l’attenzione volta ad ascoltare la narrazione degli accadimenti in corso e l’espressione delle emozioni legate ai vissuti e ai possibili immaginari futuri, cercando di sostenerli nell’elaborare quel senso di continuità dell’esperienza tra ciò che accadeva prima al nido o alla scuola, e ciò che accadeva ora tra le mura domestiche.
Fondamentale il lavoro con i genitori, a volte più personalizzato per affrontare insieme alcuni disagi manifestati dai bambini (in particolare legati a difficoltà di natura emotiva: incremento di comportamenti oppositivi, perdita di alcune autonomie, forme di regressione, perdita dei ritmi della quotidianità), o per cercare di comprendere il senso e il significato di questa “discontinuità” nel vissuto stesso dei bambini; non per dare risposte ma per allargare gli sguardi e le prospettive interpretative. Altre volte le azioni intraprese sono state tese a favorire dialoghi e confronti in situazioni di gruppo per costruire una narrazione collettiva e un’attenzione condivisa e solidale nei confronti del futuro dei bambini cercando di cogliere, riprendendo un concetto espresso da James Hillman: «dentro a ogni ferita una feritoia di luce» (Hillman J., Il mito dell’analisi, Adelphi, Milano, 1991).
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Ilaria Mussini Servizi per l’Infanzia – Comune di Correggio (RE)