Politiche e strategie per l’integrazione degli immigrati nel sistema di istruzione statunitense – parte 3
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DIARIO DI VIAGGIO di Fabio Rocco: Una scuola rivolta ad almeno due generazioni
Cara Sklar è la direttrice della Briya Public Charter School, che esiste dal 2005 e si trova a pochi metri dalla White-Meyer House, nel mezzo di un quartiere residenziale di Washington. Ma cos’è una Charter School? Si tratta di una struttura educativa pubblica che è dotata di autonomia didattica e finanziaria. Le Charter ono quindi svincolate dai distretti educativi territoriali e possono gestire le proprie risorse rendendo conto ad un autonomo consiglio elettivo. Spesso fanno attività specifiche rivolte ai migranti, ai rifugiati o si situano in quartieri problematici, mettendo in campo sia pratiche che standard educativi specifici per un territorio o per un certo tipo di utenza, anche se non devono rispondere ad un criterio meramente territoriale, può accedere chiunque anche da quartieri diversi.
Nate da circa 20 anni come esperienze sperimentali d’avanguardia, oggi sono oggetto di pareri controversi. Rispetto alle scuole pubbliche tradizionali che vivono di finanziamenti statali, le Charter accedono facilmente a fondi privati, costituititi oggi anche da grosse Corporations. Queste investono negli edifici scolastici e, nel caso in cui le scuole non funzionino, una volta chiuse, possono riutilizzarli per scopi commerciali, facendo diventare quindi l’istruzione un business come un altro.
Vengono vissute come competitors dalle scuole pubbliche tradizionali, sia perché hanno migliori strutture sia perché i test delle Charter richiedono standard di profitto più bassi agli studenti, quindi portano più alunni alla conclusione del percorso formativo, questo influisce sul piano delle iscrizioni (che determinano i conseguenti finanziamenti).
La Briya è solo la prima delle Charter School che vedremo nel corso del viaggio e tra queste abbiamo trovato esperienze d’avanguardia molto interessanti sul piano didattico ed educativo.
Cara ci spiega che in questa scuola dell’infanzia, non obbligatoria, che copre la fascia dai 6 mesi ai 6 anni, adulti e bambini fanno scuola assieme. Spesso si tratta di adulti e genitori migranti o non anglofoni, il 97% dei quali vive sotto la soglia di povertà. Qui i genitori imparano l’inglese insieme ai figli, facendo lezione con loro una volta la settimana e svolgendo assieme i compiti per casa. La lingua serve ai figli per proseguire gli studi, ai genitori per trovare più facilmente lavoro. È l’educazione familiare, con 6 fasce di partenza per gli adulti, basate sulla scolarizzazione nei paesi d’origine. Ai genitori viene fornita anche un’alfabetizzazione digitale e un supporto alla genitorialità. Alla fine gli adulti conseguono un documento che è equiparato ad un diploma di scuola secondaria di secondo grado.
Tenendo presente che in nessuno stato americano la scuola dell’infanzia gode di investimenti diretti del governo locale, questa scuola vive di una buona fetta di finanziamenti federali o privati, ma spesso l’utenza si trova costretta a muoversi come gruppo di pressione per ottenere risorse dal consiglio comunale. Anche perchè il Distretto di Columbia, dove insiste la capitale americana, non è uno stato, non c’è il governatore e quindi le risorse per le scuole di Washington arrivano direttamente dal comune e dal governo federale, a differenza di tutti gli altri stati.
Alla Briya svolgono molti corsi solo per adulti, infatti su 700 utenti della scuola solo 150 sono minori. Si tratta di un’esperienza scolastica molto apprezzata a Washington.
Cara Sklar snocciola i risultati conseguiti facendoci capire che sia per gli adulti che per i bambini il passaggio alla Briya fornisce solide basi.
Poco dopo ci spostiamo, con la fretta che caratterizzerà tutti i nostri trasferimenti, presso la sede del Migration Policy Institute, un moderno palazzo in una delle vie più importanti della città. Ci accoglie Margie McHugh direttrice del National Immigrant Policy Center. A questo Centro Studi si rivolgono governo federale, stati, università e comunità d’affari per avere dati sulle sfide legate alla migrazione. La visione internazionale dell’MPI lo ha reso protagonista anche del Forum transatlantico sull’inclusione dei bambini e delle famiglie migranti, in vista di un lavoro maggiormente coordinato con i paesi europei. In particolare Margie McHugh è specializzata nella ricerca sul successo dei migranti nel sistema formativo e si impegna affinché ci sia un maggior coordinamento federale nelle politiche educative di integrazione.
Margie ci fornisce i dati. Scopriamo così che, a parte gli stati di più antica immigrazione, come la California o New York, fino agli anni ’90 nessuno aveva focalizzato l’attenzione sugli studenti che avevano origini non statunitensi. Da quel momento in poi la media nazionale di presenze è balzata dal 14 al 25% su tutto il territorio nazionale con un numero complessivo di quasi 5 milioni di bambini. Il problema è che solo 62% di questi si diploma contro il complessivo 82%.
È migrante il 23% dei genitori dei bambini americani tra gli zero e gli otto anni e metà di loro vivono sotto la soglia di povertà e sono privi di assistenza sanitaria. Il 42% delle madri nate all’estero fa molta fatica a trovare lavoro. Per questo tendono a costruire programmi che riguardino almeno due generazioni e negli anni passati sono nati i programmi di pre-kindergarden.
Margie rileva un feedback positivo sugli interventi del governo federale nella primaria e nella secondaria. Il riscontro è assolutamente quantitativo e legato all’acquisizione delle competenze linguistiche: la modalità di rilevazione dei risultati scolastici tipicamente americana ci lascerà spesso perplessi, perché sembra che l’approfondimento dei contenuti didattici e la componente educativa dell’insegnamento siano marginali. Nelle nostre scuole invece sono tenuti in grande considerazione, anche come strumento d’integrazione.
Un altro intervento messo in campo dal governo federale è quello di favorire l’insegnamento in due lingue, non solo per i migranti, ma per tutti. Spesso la lingua della comunità originaria resta la lingua madre anche per la seconda o terza generazione, perché vivono in quartieri etnicamente omogenei.
Margie conclude indicando i temi significativi nell’agenda americana sulla scuola per gli studenti migranti: armonizzazione dei curriculum, reclutamento e stipendio degli insegnanti, che non vengono pagati di più anche se lavorano nelle classi multiculturali.
La giornata si chiude qui, ma sarà solo la prima di tante. Ora la domanda che ci facciamo tutti è una sola…quando (e cosa) si mangia?
Fabio Rocco