Politiche e strategie per l’integrazione degli immigrati nel sistema di istruzione statunitense: ep.4 Hyattsville
La municipalità di Washington ha circa 700 mila abitanti, ma la sua area metropolitana – che si estende nei territori confinanti fino all’interno della Virginia e del Maryland – arriva a quasi 6 milioni. Proprio verso una delle zone periferiche ci dirigiamo la mattina del 2 giugno per incontrare un’organizzazione non-profit che si occupa di assistenza ai migranti, in particolare di origine sudamericana, chiamata Casa de Maryland.
Dopo un’ora di viaggio raggiungiamo Hyattsville, un sobborgo che appare molto diverso dai grandi viali ordinati della capitale. Qui, al centro di un quartiere popolare con un alta densità abitativa, sviluppato tutto con edifici in orizzontale, si trova la sede di Casa. Ci accoglie Maritza Solano, direttore del settore educazione.
Casa promuove l’idea di comunità territoriale in tutte le nove sedi in cui opera in vari stati del nordest. La scelta dei luoghi dove aprire gli uffici si fonda su un’accurata ricerca demografica e socio-economica del contesto. Utilizzano i fondi raccolti per intervenire quindi in quelle che ritengono essere le maggiori necessità di un quartiere. Sono finanziati dal governo federale, dallo stato e da alcune fondazioni. Negli anni hanno attivato forti collaborazioni con il mondo associativo, con imprese e sindacati. Svolgono servizi legali e attività di ricerca, ma una parte fondamentale è dedicata al supporto educativo ai migranti e ai loro figli: dai dopo scuola ai corsi per la patente (in Virginia, per fare un esempio, la guida senza patente può portare all’espulsione) fino al supporto per l’inserimento nei percorsi lavorativi. Aiutano i genitori ad assumersi la responsabilità del loro ruolo e promuovono anche attività per la prima infanzia. Scopriamo così che negli Stati Uniti ogni tassa viene proposta in modo preciso per coprire un settore di spesa pubblica. In Maryland, ad esempio, per finanziare la scuola dell’infanzia adoperano i fondi ricavati dalla tassa sulle bevande gassate.
Gli uffici di Casa finanziano corsi mirati all’interno delle scuole di educazione familiare per figli e genitori, promuovono la mediazione culturale concentrandosi sul supporto pratico e linguistico: realizzano una vera e propria alfabetizzazione dei propri diritti ma anche delle relazioni, spiegano come prendere un autobus o come comportarsi in un negozio, perché ritengono che spesso il gap di conoscenza di alcune regole basilari da parte dei migranti finisca per creare dei problemi di più ampio respiro nel rapporto con la popolazione autoctona. Investono nelle potenzialità delle persone cercando di valorizzare le attitudini individuali, credendo fermamente che questo abbia una ripercussione positiva sulla vivibilità dei quartieri di residenza.
A Casa si mescolano lingue, culture, esperienze, ma è forte da parte delle nuove generazioni la volontà di riscoperta delle origini culturali e delle appartenenze. Nel contesto nel quale opera la sede del Maryland più del 50% degli studenti non sono di lingua madre inglese e in molti casi non viene insegnata loro la sola lingua inglese, ma ad esempio anche lo spagnolo visto, che una parte di loro parla solo uno dei tanti dialetti sudamericani.
Fatte le debite proporzioni mi suona piacevolmente familiare il rapporto di questa organizzazione con le comunità locali. Somiglia a quello del Tavolo territoriale della Stanga a Padova. Anche se è evidente la sproporzione di mezzi, che nell’esperienza italiana sono di gran lunga più modesti. Resto altresì colpito da una pubblicazione che si chiama Jovenes Guerreros: un piccolo libro di immagini e testi fatto dai ragazzi della comunità locale che nei contenuti mi ricorda tanto le edizioni cartonere Fogli di Viaggio e Viaggiare sui Muri.
Di ritorno dal Maryland ci fermiamo alla Theodore Roosevelt High School. Il coordinatore degli studi di questa scuola statale, Julian Hipkins, ci invita passare i tornelli con metal detector per entrare a scuola. Fa molto effetto, non solo perché è la prima volta, ma perché ci chiediamo perché la stessa Costituzione che non garantisce il diritto all’istruzione, da il diritto di possedere armi da fuoco.
La scuola ha strutture per noi inimmaginabili: grandi e nuove. Per la prima volta entriamo in una scuola a diretto contatto con le classi. Assistiamo alla lezione di storia sulla rivoluzione francese della prof. Cara Slotkin. Il sistema della Roosevelt, prevede di raggruppare in alcune classi gli alunni neo-arrivati che non conoscono la lingua inglese, chiamati EL (English Learners). Lo aveva detto anche Margie McHugh che “dopo decenni di esperienza, portare fuori bambini da una classe per brevi periodi per cercare di insegnare la lingua è insufficiente, è preferibile rapporto tra pari perché meno gli studenti si sentono meno segregati”.
Alla Roosevelt gli alunni non anglofoni fanno lezione classi apposite, che svolgono unità di apprendimento specifiche nei contenuti. Investono molto sull’apprendimento cooperativo affiancando ai neoinseriti coetanei che hanno maggiori competenze linguistiche in inglese, gli insegnanti parlano pochissimo durante le lezioni, accompagnano semplicemente il percorso dei ragazzi, usano testi facilitati e la tecnologia per supportare l’apprendimento. Ogni anno svolgono un test di inglese: se passano vanno frequentare le classi regolari.
Julian e Cara spiegano con passione che in adolescenza gli alunni che non conoscono la lingua rischiano di faticare a inserirsi, perché si sentono diversi e stigmatizzati. Il sistema della Roosevelt invece permette loro stringere relazioni positive e aiutarsi a vicenda per arrivare a superare il test.
Il giorno successivo prima di prendere l’aereo ci concediamo una passeggiata ad Alexandria, una cittadina sul fiume Potomac. Nelle strade stanno facendo i preparativi per festeggiare il D-Day, la data del 6 giugno, anniversario dello sbarco in Normandia. É tutto molto tranquillo. Pochi giorni dopo il nostro ritorno in Italia, la cittadina balzerà agli onori delle cronache mondiali per il ferimento da arma da fuoco subito dal capogruppo repubblicano alla Camera durante una partita di baseball.
Cosa cova sotto la polvere in queste città?
Sicuramente a Salt Lake City, dove ci stiamo dirigendo, per fortuna la polvere è solo quella che porta il vento.
Fabio Rocco