“Non ho tempo”: intervista ad Ansano Giannarelli (seconda parte)
D. La struttura della sceneggiatura di “Non ho tempo” lascia trasparire un evidente interesse per le vicende politico scientifiche di Galois e per il contesto storico nel quale queste si inserirono. Perché era così importante rappresentare in modo così dettagliato il clima che si respirava a Parigi nel 1830?
R. La storia dei processi produttivi a volte fornisce elementi utili anche a una conoscenza di aspetti che comunque riguardano la valutazione di un prodotto che ambiva anche essere opera. Io presentai il progetto alla Rai – in una versione tranquillizzante, come ritratto di un giovane genio incompreso – alla fine di dicembre del 1969, proprio qualche giorno dopo la strage di piazza Fontana, di esecuzione fascista ma concepita in altri ambiti, servizi segreti stranieri e italiani deviati (in quello stesso anno Gelli cominciava a riorganizzare la loggia P2). Il biennio ’68-’69 è uno dei più straordinari momenti, a mio parere, della storia italiana. Non è un caso che sia anche oggi continuamente sotto attacco dalla destra come origine dei mali che affliggono il nostro Paese. Era apparso un nuovo soggetto protagonista, il movimento degli studenti. C’era stata la straordinaria esperienza della lotta contrattuale dei metalmeccanici, densa di innovazioni profonde di democrazia non soltanto sindacale. Semplificando, Galois mi parve un personaggio simbolico.
Lombardo Radice lo definiva rivoluzionario nella scienza, rivoluzionario nella politica. Simbolico delle tensioni sociali e politiche, ma anche culturali, che si svilupparono nella Francia post-napoleonica. Uno studente del ’68, del 1968, più di un secolo prima. Di qui l’importanza data nel film al contesto socio-politico in Francia del 1830, l’anno della cosiddetta Rivoluzione di luglio, che chiuse la restaurazione monarchica, dette l’avvio a un’ondata di movimenti popolari in tutta l’Europa, con una diffusione crescente delle idee rivoluzionarie, democratiche, socialiste, liberali, e preannunciando gli eventi del 1848 e il declino della restaurazione che aveva dominato in Europa.
D. Lei chiese a Lucio Lombardo Radice di aiutarla nella stesura della sceneggiatura del film “Non ho tempo” attribuendogli il ruolo di consulente scientifico. Fin dall’inizio aveva pensato di impiegarlo anche come attore nel ruolo del Prof. Richard?
R. All’inizio fu una battuta, quando in una seduta di sceneggiatura discutemmo della diversità del prof. Richard verso Galois, rispetto agli altri insegnanti: “Potresti interpretarlo tu”. Poi, approfondendo la sperimentalità della previsione/pre-visione della sceneggiatura, ipotizzammo anche la presenza di interpreti che fossero quasi se stessi nei rispettivi ruoli, e che quindi avessero quante più competenze possibili rispetto al ruolo, quella battuta iniziale divenne una proposta concreta, che Lombardo Radice accettò volentieri, certamente divertito ma anche lusingato.
D. Le riflessioni del Prof. Richard, sulla didattica della matematica e sui matematici, rappresentano effettivamente il punto di vista di Lucio Lombardo Radice?
R. Esprimono l’idea che Lombardo Radice si era fatta di Richard, lavorando sui documenti. Certamente Lucio apprezzava e condivideva l’attenzione di Richard verso gli studenti, così diversa dall’altezzosità degli altri: e quindi direi che c’è una sintesi felice tra verità storica e interpretazione moderna.
D. Secondo lei, il materiale audiovisivo reperibile sul web, veicolato dagli attuali strumenti informatici, può aiutare a integrare e approfondire i contenuti disciplinari che i docenti presentano ai loro studenti? Quali sono gli errori più comuni che compie il neofita quando introduce materiale audiovisivo a supporto di una comunicazione didattica tradizionale?
R. Questa è una domanda molto complessa, che esigerebbe una risposta molto lunga. Anzi, le domande sono due.
Per la prima, sintetizzo al massimo. Internet è un’immensa banca-dati, in continua espansione, che offre documenti di ogni tipo, molti dei quali utilissimi anche nella didattica. Non solo, però. Internet è uno strumento al quale possono attingere, per quel che riguarda il mondo dell’istruzione e della formazione, sia i docenti che i discenti. In questo senso può intervenire nei rapporti gerarchici tradizionali, incidere sul rapporto individuo/collettività, rendere possibile una sempre più vasta diffusione del pensiero. Di tutti i pensieri.
Allora la diffusione di una metodologia corretta nel suo uso è forse un obiettivo primario: e per “corretta” intendo una metodologia che accentui la creatività e insieme difenda e diffonda sempre più spirito critico, consapevolezza, conoscenza non mitologica e insieme la creatività. Anche qui, l’attenzione dev’essere posta non soltanto sul contenuto, ma anche alle forme in cui i contenuti sono veicolati. E c’è poi tutta la questione dell’interattività, resa possibile dalle nuove tecnologie, che credo sia una procedura di straordinario valore anche didattico e formativo. Magari ci sono già esperimenti in questa direzione. Non li conosco.
Per la seconda, si apre invece un nuovo problema. Un grande personaggio della cultura e dell’audiovisivo italiano, Cesare Zavattini, auspicava la diffusione di strumenti come quelli cinematografici semplici e poco costosi per consentire a tutti di esprimersi. Era convinto che oggi domini il pensiero di pochi, anche grazie alla comunicazione e alla forza dell’audiovisivo; e che occorreva che invece tutti potessero proporre un pensiero che fosse di tutti, il risultato del lavoro di tutti. La sua “utopia” si è in sostanza realizzata.
Ma Zavattini sapeva che non basta spingere un bottone in una videocamera. Era convinto della complessità del linguaggio delle immagini, e come fosse necessario studiarle: come progettarle, come registrarle, come articolarle nel montaggio. Si rendeva anche conto che l’interattività e la multimedialità avrebbero sconvolto il montaggio tradizionale, che sarebbe stato sostituito da qualcos’altro, quella che oggi si chiama navigazione.
La maggior parte dei materiali filmici che i “neofiti” realizzano e poi diffondono sul web soffrono della mancanza in cui li realizza di una cultura audiovisiva approfondita. Spesso c’è un accumulo caotico che comunica non-senso. Rifiutare l’invito al consumismo sfrenato nella produzione di immagini è una delle prime regole di una ecologia della comunicazione, che comincia a diffondersi come esigenza. Acquistare un’autodisciplina è una condizione da perseguire fin dall’inizio. Probabilmente, l’unica sede, l’unica struttura, l’unico luogo collettivo di confronto, l’unico laboratorio possibile è proprio la scuola.
Il problema non si risolve con l’introduzione di qualche elemento di storia o di teoria del film. Oggi, educare alle immagini significa non soltanto imparare a valutare le immagini che ci propongono, ma anche a farne ciascuno di sue: è un compito che credo gigantesco, e che esigerebbe proposte ed elaborazioni anche radicali. Un po’ simili, se volete, a quelle che cominciano a manifestarsi a proposito di un altro aspetto centrale dell’economia politica del XXI secolo: la proprietà intellettuale come forma di dominio. Le alternative a volte sono anche presentate in modi paradossali, ma molto stimolanti, come il “partito pirata” (quello svedese ha un rappresentante al Parlamento europeo, eletto da 200.000 voti!).
La prima parte dell’intervista:
/racconti-ed-esperienze/non-ho-tempo-intervista-ad-ansano-giannarelli-prima-parte-3055505167.shtml
Per approfondire, i video di Ansano Giannarelli su Education 2.0:
• Cinema e matematica: “Non ho tempo” di Ansano Giannarelli (I estratto)
• Cinema e matematica: “Non ho tempo” di Ansano Giannarelli (II estratto)
• Giannarelli, il cinema e la divulgazione scientifica
• Il mestiere del regista
Carlo Nati e Linda Giannini