Il dialogo è un’arte
“Stimolare la vita, lasciandola però libera di svilupparsi, gettare un raggio di luce e passare oltre – scriveva Maria Montessori – è la missione di un educatore”.
Usare una didattica che riesca a trovare questo raggio di luce è la sfida di noi insegnanti, che passa da un ripensamento della didattica.
In quest’ottica ho studiato e sperimentato l’applicazione del dialogo socratico all’interno della didattica tradizionale. Socrate ci ha lasciato in eredità un metodo che si basa sul continuo interrogarsi.
Dopo aver visto la sua realizzazione in una classe di quarta elementare, ho deciso che dall’entusiasmo dei bambini si poteva solo imparare.
Insegno latino e greco e mi è venuto naturale provare dei laboratori di metodo socratico nel Liceo classico con la collaborazione di alcuni colleghi, ma possono essere svolti in qualunque ordine di scuola superiore: essi mettono lo studente al centro della didattica. Questo solo conta.
Sono le stesse competenze chiave europee per l’apprendimento permanente a suggerirci la strada di una didattica partecipata.
Il metodo socratico è stato applicato a percorsi pluridisciplinari e si prefigge “obiettivi” alti:
– creare momenti in cui si mettono i ragazzi in condizione di “leggere” insieme e ad alta voce e promuovere la “lettura e con essa il potenziamento della lingua madre”;
– affinare la capacità di “ascolto”, di “argomentazione” e di “rispetto” dell’interlocutore;
– guidare nella formulazione di “riflessioni” che abbiano il sapore di una “conquista personale”;
– lavorare sulla formazione di “un’apertura mentale” tale da creare una predisposizione alla flessibilità;
– saper comunicare in modo efficace. Obiettivo da non sottovalutare se si considera che è persino in atto una campagna contro il “phubbing”, (crasi tra phone, nel senso di fissare visivamente il proprio telefono, e “snubbing”, snobbare le persone che ci circondano per fissare il telefono), con cui alcuni sociologi promuovono l’idea che si comunica guardando l’interlocutore negli occhi!
“Tempi e risorse”: chiunque lavori nella scuola sa che il problema del tempo e delle risorse sono i nostri capestri.
“Il dialogo è un’arte” è un progetto partito sulla valorizzazione dell’esistente, le “risorse umane” che animano la scuola: “gutta cavat lapidem”.
In un mondo possibile avremo a disposizione risorse e scuole aperte, nel frattempo ritagliamo 15 ore all’interno del monte ore annuo. Sono sufficienti per mettersi in gioco: il metodo si basa sul ruolo centrale del docente che rende il materiale di lavoro condivisibile con i ragazzi via LIM, iPad o smartphone.
Particolare cura va posta nella “scelta dei testi” su cui articolare il dialogo: il criterio è quello della “contaminazione” tra tipologie di discipline, testi (opere letterarie, dipinti, musica classica e web), generi ed epoche, giocando tra l’antico e il moderno, “proponendo ai ragazzi quanto di più bello ha prodotto e produce la mente umana: le humanitates”.
La “bellezza” parla ai ragazzi in modo sorprendente e crea bellezza, ordine, riflessione.
I brani sono da leggere direttamente con gli studenti. “Il gusto per la lettura” di un testo, un brano musicale o un dipinto s’insegnano con l’esempio.
Tra i “temi” su cui è possibile strutturare un seminario socratico propongo il “Potere della parola” (3°o 4° anno, 5 ore). “Conoscere la parola, entrarci, capirla è lo strumento fondamentale che la scuola può dare ai ragazzi, sin da bambini, per avviarli alla lettura e alla scrittura”[1].
Il percorso parte da tre brani, con relative domande per impostare il dialogo, centrati sul valore della parola e tratti dal “Fedone” (Platone), “Le parole non le portano le cicogne” (R. Vecchioni) e “La manomissione delle parole” (G. Carofiglio)[2].
Poi una riflessione sui linguaggi non verbali:
a) Arte: confronto tra “Afrodite di Cnido” in una copia di Canova e “Afrodite blu su tela” di Luca Pignatelli. “Il piacere geometrico” suscitato da un’opera d’arte è lo stesso che ci evoca una parola ben utilizzata.
b) Musica: prima la musica e poi le parole. Guida all’ascolto di G. Rossini, “Nella testa ho un campanello”. Il percorso termina con le “riflessioni conclusive” a opera degli studenti: testo scritto, filmato, dipinto e/o, perché no, cinguettii su Twitter.
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Note:
[1] L’esempio è tratto da “Il dialogo è un’arte” e-book che sarà a disposizione a breve. Il testo, con i contributi di altri colleghi, contiene dettagli sull’organizzazione e la valutazione dei seminari socratici.
[2] R. Vecchioni, “Le parole non le portano le cicogne”, Einaudi, 2000; G. Carofiglio, “La manomissione delle parole”, RCS libri, 2010.
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Immagine in testata del Institutnationaldhistoiredelart / Flickr (licenza free to share)
Cristina dell’Acqua