Cervello umano e coscienza di sé
La realtà che ci circonda può apparire complessa e imperscrutabile tanto da disorientare colui che osserva con attenzione. “Non ci si deve mai sentire disarmati: la natura è immensa e complessa, ma non impermeabile all’intelligenza; devi girarle intorno, pungere, sondare, cercare il varco o fartelo” (Primo Levi).
Molti problemi possono sembrare senza soluzione alcuna, per affrontarli e risolverli, è necessario solo cercare la giusta connessione tra il noto e l’ignoto, fattori costantemente tenuti presenti nell’organizzazione del presente percorso. Per insegnare al meglio i nuclei fondanti delle scienze, bisogna adottare un insegnamento di tipo problematico, privilegiando un metodo basato sulla didattica interdisciplinare e laboratoriale, per rendere i discenti protagonisti del proprio processo di apprendimento. Gli obiettivi definiti sono addestrativi, comportamentali e formativi. Addestrativi perché in laboratorio lo studente impara a fare, manipolare, misurare; usare strumenti di misura; registrare le misure, rappresentarle graficamente. Comportamentali, in quanto in laboratorio l’allievo impara a lavorare in gruppo, a rispettare le consegne, si impegna a eseguire gli esperimenti in modo attivo e con coinvolgimento personale, si confronta con i compagni. Formativi perché, se il laboratorio è lo strumento attraverso il quale si perviene alla costruzione condivisa della teoria, lo studente acquisisce idee, metodi e atteggiamenti affinando il senso critico e le capacità razionali. Lo sviluppo dell’attività laboratoriale e cognitiva promuove atteggiamenti positivi, educa all’operatività mentale e manuale, costruisce la conoscenza come compromesso tra la realtà e modelli statistico-matematici, contribuendo allo sviluppo di competenze scientifiche. Nel caso specifico, nella III C1 del Liceo Classico quadriennale dell’IIS Telesi@, è stato implementato un percorso che mira a far comprendere la diversità nella percezione, nell’elaborazione delle informazioni e nelle loro conseguenze, sebbene la medesima esperienza fosse vissuta tra più individui, per giungere poi ad analizzare la complessità strutturale e funzionale del sistema nervoso centrale.
L’errore di Cartesio di Ludovica Amore
“E notando che questa verità: io penso dunque sono, era così e sicura che tutte le più stravaganti supposizioni degli scettici non erano capaci di scuoterla, giudicai di poterla solidarizzare senza scrupolo come il primo principio della filosofia che cercavo […] Pervenni in tal modo a conoscere che io ero una sostanza, la cui intera essenza o natura consiste nel pensare, e che per esistere non ha bisogno di alcun luogo, né dipende da alcuna cosa materiale. opera della quale io sono quel che sono, è interamente distinta dal corpo, ed è anzi più facile a conoscere di questo; e anche se questo non fosse affatto, essa non cesserebbe di essere tutto quello che è.”
Cartesio, partendo da questo celebre enunciato, concepisce la mente e il corpo come due cose conciliabili seppur separate. Fautore del celebre dualismo, chiamava la mente res cogitans (cosa pensante) ovvero il pensiero, l’ambito delle idee, il contenuto vero del pensato, che priva di estensione, di dimensione temporale e spaziale, vive in uno spazio definito e in un tempo, e il corpo res extensa (cosa estesa), non pensante, che è preciso il mondo materiale, finito e determinato. Egli non vedeva alcuna relazione tra il corpo, materiale e meccanico, cioè dotato di dimensione e divisibile infinitamente, e la mente che non è misurabile, non è divisibile e non è influenzabile meccanicamente. Per cui Cartesio immagina il pensare come un processo autonomo che agisce in maniera completamente indipendente rispetto al corpo. Nonostante Cartesio divida la res cogitans dalla res extensa, non spiega in maniera esaustiva come queste possano coesistere contemporaneamente nell’uomo. Per risolvere questo dilemma, egli spiega come il punto di unione e di comunicazione, nell’uomo, di mente e corpo, risieda nella ghiandola pineale – oggi ipofisi. Ci sono autori moderni, come Antonio Damasio, che hanno criticato e contestato questa famosa dicotomia. Damasio sostiene di provare profondo disagio non solo di fronte all’antico dualismo che divide la mente dal corpo ma anche di fronte alle teorie più recenti, come l’idea che mente e cervello siano strettamente legati tra loro ma solo nel senso in cui la mente è il programma (software) che dà il via a tutti i processi e che gira all’interno del cervello (hardware) il quale rappresenta appunto il calcolatore. L’errore di Cartesio risiede proprio in questa netta separazione, questo distacco, questo operare in maniera scissa ed indipendente e nell’aver ritenuto che la logica abbia escluso, anche per definizione, le emozioni, nel non essere riuscito a manifestare che dietro ogni emozione manifestata entrino in gioco sistemi regolatori di natura somatica (“marcatori somatici”) i quali entrano in contatto con la nostra sfera cognitiva presentandosi in forma di messaggi corporei. Così Damasio capovolge il cogito cartesiano e dimostra che la coscienza di sé emerge dalla coscienza che si ha del proprio corpo; noi siamo e, quindi, pensiamo: il pensiero è allora causato dalle strutture e dalle attività dell’essere.
L’organizzazione del cervello è estremamente complicata, ma le sue componenti strutturali sono cellule, ovvero entità analoghe a quelle che si trovano in ogni altra parte del corpo. Tali cellule, i neuroni, interagiscono esattamente come in tutti gli altri organi del corpo, ma nel cervello l’interazione produce qualcosa di straordinario: la visione, la memoria e tutte le altre funzioni mentali.
Le nostre attività mentali non solo sono il frutto di processi fisici che avvengono nel cervello, in quanto questi plasmano l’intera nostra esperienza, e viceversa. È infatti l’estrema plasticità delle connessioni sinaptiche, delle trasmissioni degli impulsi da un neurone all’altro, che costituisce la base dell’apprendimento, della memoria e permette di chiarire l’emergere di quel senso di continuità necessario alla costituzione del sé e della personalità. Molti dei nostri pensieri, sentimenti e azioni hanno luogo in maniera automatica e, solo dopo che sono accaduti, forse, diventano accessibili alla coscienza. La comprensione del mistero della personalità dipende in maniera cruciale dalla comprensione delle funzioni inconsce del cervello. Una giusta definizione dell’inconscio è data dalle azioni che compiamo anche i processi più semplici e banali dei quali fatichiamo a prendere coscienza o a capire i funzionamenti da cui questi prendono le mosse. Quando qualcuno ci parla, per esempio, noi decodifichiamo il significato della frase sulla base del suono delle parole (fonologia), del significato delle parole (semantica), dei nessi grammaticali tra le parole (sintassi), e della nostra conoscenza sul mondo (pragmatica). Generalmente, non siamo consapevoli di eseguire queste operazioni, ma semplicemente le facciamo. Mentre capiamo coscientemente ciò che la persona ha detto, non abbiamo però un accesso cosciente ai processi che ci hanno permesso di capire la frase. Le nostre capacità di percepire il mondo, prestare attenzione a oggetti ed eventi, ricordare, immaginare e pensare, si riconnettono inevitabilmente alla forza inconscia del nostro cervello che definisce il nostro essere.
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Filomena Rapuano IIS Telesi@