Qualcosa si muove a Trento
Buone notizie, forse, da Trento. Qualche settimana fa la Provincia Autonoma ha approvato un disegno di legge che introduce nella scuola tre nuove figure professionali. Appartengono tutte all’area della docenza, insistono su tre ambiti funzionali ( il coordinamento della didattica, la qualificazione e lo sviluppo dell’offerta formativa, l’organizzazione: si chiamano “docente esperto”, “docente ricercatore”, “delegato all’organizzazione”), coinvolgeranno a regime il 40% degli organici docenti, l’accesso è tramite concorsi a cui accedono insegnanti di ruolo con cinque anni di servizio comprensivi del pre-ruolo. Sebbene il testo varato dalla Giunta illustri con chiarezza i campi di azione delle tre figure, mancano ancora dettagli importanti. Il ddl, che non è stato ancora approvato dal Consiglio provinciale, prevede infatti successivi regolamenti oggetto di confronto con i sindacati di categoria. Ma lo stanziamento finanziario necessario a retribuire in modo dignitoso il lavoro aggiuntivo delle nuove figure già c’è, e dalle dichiarazioni dell’assessore competente Mirko Bisesti ( Lega ) sembra di capire che ci sia stato anche un convinto via libera da parte del ministro Valditara. Ciò basta, secondo alcuni osservatori, a ritenere, o sperare, che quanto si sta decidendo a Trento possa aprire la strada al superamento, anche a livello nazionale, dello stallo in cui sono finite le cosiddette “figure di sistema” previste dalla legge sull’autonomia degli istituti scolastici. Finora mai attuate per contrarietà e veti delle organizzazioni sindacali e di gran parte della politica, ma anche per le forti e durature resistenze dell’amministrazione centrale a un investimento politico e finanziario così importante.
Ma in verità non ci sono segni apprezzabili di una svolta sensata su questo tema, che riguarda in primo luogo l’attuazione piena dell’autonomia scolastica ma che è strettamente correlato a un’altra questione. Quella della trasformazione della carriera docente da percorso identico per tutti perché fondato unicamente sull’anzianità di servizio – quindi indifferente all’articolazione che nei fatti già c’è tra le funzioni svolte da numerosi insegnanti in modalità pressoché volontaria, instabile e sottopagata, e ai diversi livelli di competenze e qualità professionale ( la cosiddetta “carriera piatta” ) – a un’evoluzione della carriera diversificata per retribuzione, formazione specifica, modalità di accesso e quant’altro. In ballo c’è dunque lo sviluppo professionale dell’area docente, una valorizzazione regolata e stabile in grado di riconoscerlo e incentivarlo, l’attrattività stessa dell’insegnamento per i migliori laureati, e per quelli con competenze culturali e professionali spendibili in comparti lavorativi che offrono migliori prospettive. Con non poche ricadute, ovviamente, anche sul contratto nazionale di lavoro e su uno stato giuridico che risale agli anni Settanta ( l’unicità della funzione docente, per esempio ). Figure di sistema e nuova carriera costituiscono dunque un tema interconnesso e cruciale, tanto più in una fase segnata dal tracollo del numero degli studenti per calo demografico che prima o poi imporrà anche un calo degli organici e che, anche per questo, spalanca nuovi spazi a politiche innovative del personale. Non a caso il tema è esplicitamente contemplato nel PNRR. Ma neppure la solennità dell’impegno con l’Europa ha finora smosso le pigre e confuse acque della politica scolastica nazionale che non sembra affatto disposta ad abbandonare gli approcci non sistemici, i ritocchi improvvisati, le invenzioni estemporanee che fanno spendere soldi senza lasciare segni importanti nel malmesso sistema scolastico italiano. Sarà anche perché, come scriveva Ennio Flaiano, in Italia la linea più diretta tra due punti è l’ arabesco.
Sia col governo Draghi e il ministro dell’istruzione Bianchi, sia col governo Meloni e il ministro dell’istruzione “e del merito” Valditara, infatti, ci sono stati, rispetto a quanto previsto nel PNRR, solo decisioni o indirizzi che il bersaglio lo aggirano, lo eludono, lo travisano ad altri scopi. E’ stato così nel primo caso, quando con il DL 36/2022 su reclutamento, formazione e carriera degli insegnanti si è introdotta una “formazione incentivata” che prevede, al termine di un percorso formativo incentrato sulla “progettazione didattica” e assurdamente lungo (tre cicli per complessivi nove anni ), una premialità retributiva una tantum di carattere accessorio da erogarsi solo in caso di valutazione positiva dei suoi risultati. A cui si è tardivamente aggiunto, ormai a fine mandato e per dare un contentino all’Europa, un provvedimento governativo che introduce in modo assolutamente asistematico e con funzioni tutte da inventare la figura del “docente esperto”. Ma anche col nuovo governo, e nonostante il “convinto via libera” di Valditara alla legge della Provincia di Trento, non pare che si stia andando meglio. Le due nuove figure che si è deciso di introdurre dal prossimo anno scolastico, quella del tutor per “la personalizzazione dell’istruzione“ e quella dell’orientatore, lasciano sbigottiti per l’evidente improvvisazione delle funzioni, le modalità di individuazione e di formazione, la collocazione solo nelle tre ultime classi della secondaria di II grado, la miseria delle retribuzioni aggiuntive previste ( tra 2.850 e 4750 Euro lordi annuali per i tutor e tra 1.000 e 2.000 per gli orientatori: a deciderne sarà comunque la contrattazione di istituto ). Non si può che concordare con quanti contestano la scelta di escludere il comparto in cui tutoring e orientamento sono della massima importanza, cioè la scuola media; lo squilibrio numerico tra tutor ( uno ogni una o due classi ) e orientatori ( uno per istituto scolastico), la brevità della formazione ( 20 ore, ma “con prova finale” ) e, più in generale, la siderale distanza dalla prospettiva di dotare la scuola di “figure di sistema” e la totale continuità, invece, con la vecchia logica del volontariato professionale instabile, non formato, malpagato. Assolutamente alternativa, in ogni modo, all’esigenza di valorizzare l’articolazione delle funzioni e la diversità delle competenze tramite un nuovo tipo di carriera docente. Ma ci sono anche altri aspetti di sostanza che occorrerebbe approfondire, in particolare il significato della “personalizzazione dell’istruzione” affidata ai nuovi tutor, una locuzione non sovrapponibile all’ individualizzazione della didattica che sembra alludere assai più banalmente, e forse anche pericolosamente, da un lato a percorsi di recupero per chi è in difficoltà, dall’altra a percorsi intensivi o non ordinari per i più talentuosi. Perché è lì alla fine che rischia di precipitare tutta la discussione di qualche mese fa sulla valorizzazione “del merito”. Quanto all’orientamento, tutto ciò che si prevede è lontano anni luce dai sistemi scolastici europei in cui da decenni viene preso sul serio, un altro tema su cui vale la pena di tornare.
Fiorella Farinelli Politica e saggista, docente esperta di istruzione e formazione, componente dell’Osservatorio nazionale per l’Integrazione degli alunni stranieri