Aggiornamento, Formazione, valorizzazione del merito nel Disegno di Legge del governo
Il governo ha trasmesso alle Camere il Disegno di Legge “sulla riforma del Sistema Nazionale di istruzione e formazione, con delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti”. Il testo, così è nelle intenzioni del governo, dovrà essere approvato in tempi ristretti, soprattutto per dare modo di assumere i docenti precari entro l’avvio del prossimo anno scolastico 2015/16.
Il testo presentato dal governo, che ha un’articolazione complessa e si basa su sette capitoli e su ventiquattro articoli, affronta il rilancio dell’autonomia scolastica e la valorizzazione dell’offerta formativa, le questioni dell’organico e l’assunzione dei docenti, le istituzioni scolastiche autonome, le agevolazioni fiscali, le questioni dell’edilizia scolastica e il riordino dell’intero sistema di istruzione e formazione, dando delega al governo su ben 13 tematiche di riforma.
Un Disegno di Legge, quindi, ampio e articolato con molti punti condivisibili, altri che richiedono di essere approfonditi e altri ancora che meritano di essere riproposti all’attenzione, perché non più presenti, essendo stranamente scomparsi nell’ultima stesura del testo presentato alle Camere rispetto alle precedenti versioni.
In particolare, si vuole evidenziare che nell’ultima stesura risulta fortemente ridimensionata la questione riguardante la centralità dei docenti, uno degli assi portanti della “Buona Scuola” e oggetto di un’ampia consultazione tra il mese di ottobre e novembre 2014, che per la prima volta veniva affrontata in quel documento in modo sistemico nei suoi diversi aspetti:
a) il reclutamento dei docenti, con la necessità di superare in modo definitivo il precariato eliminando così com’era detto chiaramente, una delle “emergenze” del nostro sistema scolastico, causata dalla discontinuità didattica e dalla “mobilità” dei docenti assunti a settembre e licenziati a giugno;
b) la formazione iniziale, con la proposta di abolire definitivamente la scandalosa forma di concorso per accedere all’abilitazione prevista dal Tirocinio Formativo Attivo, che ha un costo elevato (mediamente 2000/3000 euro per corsista) ed è basato su un percorso di formazione accademico, costituito essenzialmente da lezioni frontali, e da una formazione sul campo gestita in modo affrettato e frequentemente priva di un serio spessore didattico e professionale;
c) la formazione in servizio, resa obbligatoria e non più intesa come semplice diritto-dovere all’aggiornamento, ma come formazione incentrata sulla ricerca-azione, quindi spendibile subito per potenziare e sviluppare l’apprendimento e connessa alla crescita della professionalità del docente;
d) lo sviluppo di carriera dei docenti, legato a crediti didattici, formativi e professionali, che superava la logica della progressione di carriera unicamente legata all’anzianità di servizio, basandosi invece sul riconoscimento dell’impegno e della qualità professionale.
Di tutto questo impianto cosa rimane?
Quali elementi innovativi si possono desumere dalla lettura del disegno di legge che riguarda la politica sul personale docente?
In particolare, meritano attenzione l’art. 9 sul “periodo di formazione e prova”, l’art. 10 sulla “Carta per l’aggiornamento e la formazione del docente” e l’art. 11 sulla “Valorizzazione del merito del personale docente”.
Per quanto riguarda l’anno di prova del personale docente neo-assunto, non ci sono innovazioni significative rispetto all’attuale normativa che regola l’anno di formazione. Ci si domanda allora per quale motivo sia stato inserito l’art. 9, se questo non apporta nessuna novità rispetto all’attuale situazione; sarebbe stato maggiormente innovativo, e sicuramente più utile, legare il concorso a cattedra al successivo anno di prova, considerando quest’ultimo un percorso di formazione sul campo imprescindibile per il conseguimento del ruolo.
Nell’art. 10 sull’aggiornamento e la formazione si possono rintracciare in particolare due elementi di novità: da un lato l’introduzione della Carta elettronica per l’aggiornamento (dell’importo di 500 euro anni da spendere per varie attività di aggiornamento e l’acquisto di strumenti culturali), ma soprattutto, dall’altro lato, si ritiene fortemente innovativo che sia resa “obbligatoria la formazione in servizio dei docenti di ruolo”, che assume così un carattere “permanente e strutturale” e supera l’attuale definizione generica di diritto-dovere all’aggiornamento.
Rispetto a quanto presente nel comma 4 dell’art.10, è fondamentale che la formazione in servizio di tutti i docenti progettata dalle istituzioni scolastiche sia strettamente connessa con la normativa che ha introdotto i nuovi curricoli incentrati sulle competenze (con specifico riferimento alle Indicazioni Nazionali per il curricolo del primo ciclo di istruzione, alle Linee Guida per gli Istituti tecnici e professionali e alle Indicazioni Nazionali per i Licei). Proprio su questo deve essere centrata la formazione in servizio, È su questo aspetto, legato alle innovazioni normative, che nel Piano nazionale di formazione vanno destinate risorse maggiori rispetto all’attuale ripartizione prevista nell’art. 10.
Una particolare attenzione merita l’art. 11 sulla “Valorizzazione del merito del personale docente”, in cui, rispetto al dibattito promosso dalla “Buona Scuola”, si registra un riorientamento radicale. In quel documento la questione della progressione di carriera e di merito era affrontata attraverso la definizione di crediti articolati su tre parametri riferiti alla didattica, all’aggiornamento/formazione e alle professionalità di sistema.
Di tutto questo non vi è più traccia nel disegno di legge; nell’art. 11 non si parla più di crediti legati allo sviluppo di carriera, ma si punta a dare un potere decisionale e discrezionale al dirigente scolastico che può attribuire, sulla base di indicatori generici, l’assegnazione di bonus significativi sul piano economico destinati alla valorizzazione del merito. Questo articolo necessita di un’adeguata riflessione; in particolare sarebbe opportuno riprendere alcuni passaggi previsti nelle bozze dei decreti precedenti.
Innanzitutto, il rilancio dell’autonomia, come evidenziato in questo Disegno di legge, richiederebbe una piena attuazione dell’art. 21 della legge n. 59 del 1997, nel cui comma 16 era prevista, oltre alla valorizzazione della funzione dirigenziale, l’introduzione di nuove figure professionali docenti, funzionali alla gestione organizzativa e didattica della complessità del sistema dell’autonomia scolastica. Inoltre, andrebbero definiti con chiarezza i criteri per l’assegnazione del bonus, che nella formulazione dell’art. 11 risultano piuttosto vaghi, legandoli invece a precisi esiti di successo formativo raggiunti dall’istituto tenuto conto del contesto territoriale in cui opera.
Riguardo poi la premialità, nello stesso articolo è attribuito al dirigente scolastico un eccessivo peso di responsabilità che invece andrebbe condiviso, in una logica di leadership distribuita, non solo con il Consiglio di Istituto, ma anche avvalendosi del parere del Nucleo di Valutazione previsto dal dpr n. 80/13 per la definizione dei criteri di attribuzione, i quali dovrebbero essere comunque coerenti con gli indicatori previsti nel Rapporto di Autovalutazione.
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Immagine in testata di Grow Strategy
Bruna Ciabarri e Walter Moro