Il ‘nuovo’ profilo dell’insegnante di sostegno

La riforma che ha reso il nostro sistema scolastico più equo ed inclusivo in tutta la storia del novecento è stata sicuramente l’integrazione dei soggetti disabili nelle classi assieme a tutti gli altri allievi, impegnandoli a seconda delle loro specifiche capacità in percorsi di apprendimento ed in efficaci modalità di relazione educativa. Si è trattato di un cambiamento epocale per la scuola della formazione generale, ma anche negli indirizzi professionalizzanti si sono poste le basi per diversi avviamenti lavorativi. 

E se ancora oggi c’è qualcuno che preferirebbe tornare a forme di separazione, la pubblica opinione conferma il principio e sostiene gli sforzi della politica per migliorarne continuamente l’efficacia, sia sul piano delle strutture che sulla qualità della formazione.

Nonostante le difficoltà che si incontrano nella sua realizzazione una tale scelta ha posto l’Italia come riferimento in ambito internazionale, proprio per l’impegno della società ai diversi livelli, prima ancora che l’efficienza organizzativa, a porre l’inclusione come principio educativo di base per l’azione didattica e l’uguaglianza tra le persone.

Nel processo formativo è stato inserito un docente, così detto di sostegno, con il compito di facilitatore del lavoro del soggetto disabile nello sviluppo complessivo del curricolo della classe; il suo profilo rimane nell’ambito della docenza con una preparazione specifica in quelle aree di apprendimento nelle quali è avviato il soggetto stesso.

Fin dall’inizio di questa esperienza però si sono manifestate due scuole di pensiero, una di carattere più clinico, che faceva leva sulle caratteristiche del disturbo dell’individuo e l’altra centrata sulla comunità classe nella quale era inserito. Per gli uni si correva il rischio di diluire i bisogni specifici della persona in difficoltà, per gli altri di rinunciare alla solitudine degli insegnamenti speciali per privilegiare un apprendimento sociale. L’insegnante di sostegno si trovò in mezzo, a volte un po’ disorientato, nonostante fosse previsto il supporto di equipe specialistiche per conoscere meglio i vari casi dal punto di vista dei loro bisogni particolari.

La prima formazione di questi insegnanti era riferita a persone con esperienza nell’attività didattica che cercavano di assumere le necessarie specializzazioni, in seguito però la preparazione universitaria era carente sul versante della conoscenza specifica degli alunni in tale condizione o del necessario tirocinio, per cui prevalse la dimensione più legata all’handicap che alla persona andicappata e questo fece mancare un efficace collegamento tra gli studi e l’esperienza.

Sarebbe stato bello che a scuola si fosse creata una comunità professionale che comprendesse l’insegnante di sostegno ed un funzionamento del team docente con una maggiore autonomia per poter intervenire in base alle esigenze dalla realtà classe, ma la rigida distribuzione degli organici e gli orari preordinati spesso dovevano adeguare soggetti in difficoltà al funzionamento istituzionale, con disagio, soprattutto per quanto riguardava la continuità didattica.

L’ingresso nell’esperienza educativa dell’aspetto civilistico, legato cioè alla difesa dei diritti soggettivi, fece concentrare l’attenzione, soprattutto delle famiglie, sulla dimensione burocratica delle promozioni e bocciature e sui titoli di studio, più che sull’efficacia della dimensione educativa, con tutto il necessario contenzioso, facendo sì che il docente di sostegno finisse per concentrarsi sul singolo individuo e sulle sue necessità specifiche piuttosto che sulla relazione con i compagni di classe e di scuola.

L’aumento di questi soggetti ha richiesto un maggiore investimento in termini di docenti di sostegno e spesso il calo delle risorse economiche per il personale ha penalizzato proprio loro, i pronunciamenti dei tribunali, in accoglimento a doglianze delle famiglie, per la mancata assegnazione, nonché gli interventi in ordine sparso delle diverse università per quanto riguarda la preparazione remota, avevano reso il sostegno didattico una condizione sempre più difficile da garantire, nonostante l’affermazione del diritto allo studio anche per i soggetti disabili.

Sarebbe stato bello che anche per questi docenti si fosse creato un permanente raggruppamento, con un programma di formazione in servizio, come accade per le altre discipline, in modo che fossero loro stessi a consolidare una tradizione sul piano professionale, e diventassero interlocutori delle istituzioni, invece rimasero una categoria di serie B, con molti di loro in fuga verso le materie curriculari ed un reclutamento per tanti versi senza l’adeguata specializzazione. La complicata burocrazia per l’accesso a tali ruoli spesso non soddisfa le necessità o addirittura non accoglie un numero sufficiente di richieste.

Nel frattempo la normativa, anche a carattere internazionale, evolve sul piano delle diagnosi cliniche e dei conseguenti adempimenti per la scolarizzazione dei soggetti disabili, burocrazia che spesso viene scaricata sulle spalle dei docenti di sostegno sottraendo spazi all’impegno didattico. Vengono poi previsti interventi sui così detti bisogni specifici di apprendimento che non prevedono l’assegnazione di insegnanti di sostegno.

Sul piano organizzativo la precarietà di tali docenti crea instabilità nella continuità didattica di cui soggetti di questo tipo avrebbero estremamente bisogno per seguire uno sviluppo del tutto particolare; è questa situazione a far propendere il governo a porre in relazione diretta detto insegnante con la famiglia del disabile affidando a quest’ultima il potere di chiederne la riconferma anche trattandosi di personale non di ruolo e quindi facilmente soggetto a spostamenti. E’ ovvio che con la rigidità di assegnazione del personale questa modalità potrebbe prestarsi a scorciatoie piuttosto clientelari andando oltre alle effettive necessità di permanenza, ma d’altra parte l’estrema mobilità rischia di annullare l’efficacia dell’intervento; forse occorrerebbe un ripensamento generale sull’organico rendendo più flessibile la loro utilizzazione come time a livello di istituto, da distribuire secondo una programmazione interna, magari in collegamento con uno psicologo assegnato all’istituto stesso.

Non c’è dubbio che l’impegno su questo fronte al momento manifesti notevoli criticità e con la recente legge, che prevede diverse misure per la scuola, si indicano disposizioni in materia di tutela dei diritti delle persone con disabilità e di formazione dei docenti referenti per il sostegno. Con un decreto delegato il ministro definisce il profilo del docente specializzato, i contenuti dei crediti formativi dei percorsi da attivare, nonché dell’esame finale al quale partecipa un membro nominato dall’USR. I docenti referenti per il sostegno rientrano nella “valutazione multidimensionale” per la redazione dei “progetti di vita” delle persone disabili.

L’aspetto formativo rientra dunque nella più ampia valutazione sociale e quindi anche i docenti di sostegno saranno previsti secondo modalità decise non esclusivamente in ambito scolastico, ma coinvolgendo anche espressioni del terzo settore, così come il loro profilo professionale non sarà definito da un provvedimento legislativo, ma con un atto del ministro, sotto il diretto controllo dell’amministrazione scolastica. 

Parallelamente un gruppo di esperti mette a punto una proposta di legge il cui titolo ne esprime tutta l’impostazione: la “cattedra inclusiva”, un incarico polivalente per tutti i docenti con una parte di ore impiegate in attività disciplinari ed una parte nelle attività di sostegno, anche per l’ampliamento dell’offerta formativa, per lavorare con tutti gli alunni della classe e per rendere effettiva la corresponsabilità evitando malintese deleghe. Qui si tratta di riportate la scuola al centro delle politiche inclusive.

Il percorso universitario, continua la proposta, di formazione iniziale e di abilitazione all’insegnamento dei docenti di posto comune comprende la formazione volta a sviluppare e accertare le competenze culturali, pedagogiche, psico-pedagogiche, didattiche e metodologiche necessarie a promuovere l’inclusione scolastica ed in particolare l’inclusione degli alunni con disabilità.

C’è chi ancora crede che la scuola inclusiva sia l’unica realtà davvero capace di assolvere al compito ultimo di valorizzare le differenze e le potenzialità di ciascuno e chi non ci crede più.

Gian Carlo Sacchi  Esperto di politica scolastica. Ha fatto parte del Consiglio di amministrazione dell’INDIRE e ha fatto parte del comitato Scientifico della Regione Emilia Romagna per le esperienze di integrazione tra istruzione e formazione professionale.