Un sistema non si può costruire su un insieme di progetti
Non era mai successo, in un Paese notoriamente poco interessato ai problemi della scuola, che uno specifico segmento di offerta scolastica ricevesse l’onore di una lunga citazione da parte del Presidente del Consiglio incaricato nel suo discorso programmatico di insediamento alle Camere. Il fatto che questo onore sia capitato agli Istituti tecnici superiori (ITS) la dice lunga sulla grande importanza del segmento educativo cui si rivolge e sull’altrettanto grande inadeguatezza della risposta che è stata data finora. Gli ITS, a 10 anni dalla loro istituzione, non sono ancora riusciti a decollare, tanto che contano appena 18.000 iscritti, mentre in Francia gli iscritti al biennio scolastico post- secondario dei Brevet de technicien supérieur (BTS) sono 240.000 e gli iscritti agli Instituts universitaire de technologie (IUT) sono 120.000, mentre in Germania gli iscritti alle Fachhochschulen sono 880.000.
La necessità universalmente riconosciuta di superare lo scarto tra l’esigenza di sviluppare una offerta post-secondaria non accademica e la realtà ha fatto porre la questione ITS come uno dei punti centrali del Piano Next generation per la scuola. Il Piano intende potenziare gli Istituti Tecnici Superiori (ITS) con l’obiettivo di decuplicarne in 5 anni gli studenti e creando una maggiore osmosi fra ITS e percorsi universitari. Si tratta di un obiettivo molto importante, e per raggiungerlo il Piano mette sul piatto ben 2,25 miliardi di Euro. Purtroppo leggendo lo stesso Piano non si capisce in che modo l’obiettivo possa essere raggiunto; infatti si trova scritto che «La riforma rafforza il sistema degli ITS attraverso l’estensione del modello organizzativo e didattico in altri contesti formativi (potenziamento dell’offerta formativa, introduzione di premialità e ampliamento dei percorsi per lo sviluppo di competenze tecnologiche abilitanti – Impresa 4.0), il posizionamento degli ITS nel sistema ordinamentale dell’Istruzione Terziaria Professionalizzante e il riequilibrio qualità della connessione con il tessuto imprenditoriale nei territori». Si tratta, con tutta evidenza, di espressioni poco chiare, che certo non ci mettono in grado di comprendere la strategia che sarà messa in atto per raggiungere l’ambizioso traguardo che è stato prefissato.
Il problema della riforma dell’Istruzione Tecnica Superiore non è da poco, perché da quando questo ordine di istruzione è stato istituito si cerca di modificarne l’assetto per facilitarne la diffusione, con risultati molto modesti. Alla radice di queste difficoltà vi sono tanti problemi:
- la natura ibrida di questa offerta formativa, posizionata all’incrocio delle competenze statali e regionali, della scuola e dell’università;
- la sua struttura fondazionale, frutto di complessi accordi tra soggetti diversi (scuola, agenzie formative specializzate nella formazione professionale, università, aziende, associazioni ed enti locali);
- l’aleatorietà dei finanziamenti, erogati sia sulla base della attività svolte e di progetti specifici, sia sulla base delle risorse disponibili e messe in campo di anno in anno dalla legge finanziaria;
- la ristrettezza delle aree tematiche (appena 6) nelle quali gli Istituti tecnici superiori si possono istituire.
Dietro questa configurazione così particolare c’era l’evidente tentativo di mettere in piedi un’offerta formativa fondata su progetti strettamente collegati al mercato e ai fabbisogni del sistema produttivo, per superare una logica istituzionale di offerta autopropulsiva e staccata dai fabbisogni reali. Purtroppo questo approccio, che sarebbe di per sé condivisibile, può essere funzionale a creare una innovativa offerta di nicchia (come sono in effetti oggi gli ITS) ma non a mettere in piedi un sistema. Un sistema non si può costruire su un insieme di progetti. I progetti sono utili per introdurre innovazione all’interno di un sistema esistente, ma non possono ‘fare sistema’ essi stessi. Il rischio, che per gli ITS si è verificato in maniera evidente, è di produrre un’offerta minoritaria, perché non riesce a raggiungere adeguate dimensioni di scala, evanescente, perché non vi sono certezze sulla sua durata nel tempo, squilibrata, perché strettamente legata alla vitalità del territorio. Questa configurazione pregiudica la diffusione di questi Istituti, perché la loro realizzazione è sempre molto complessa e perché la loro visibilità presso la potenziale utenza è molto scarsa, mancando riferimenti solidi e garanzie di continuità.
Se osserviamo la realtà degli altri Paesi possiamo vedere che «tutte le esperienze straniere di istruzione tecnica postsecondaria o terziaria si collocano saldamente nel sistema istituzionale ordinario, di cui rappresentano un’articolazione ordinamentale, e non il risultato di aggregazioni più o meno estemporanee di enti, e possono godere di risorse stabili»[1]; l’offerta di istruzione post-secondaria e terziaria breve si appoggia, seppure con un forte grado di autonomia, su realtà istituzionali solide, ancorate agli Istituti tecnici, come è il caso delle Section de technicien supérieur francesi, o è comunque saldamente incardinata nell’ordinamento terziario, come è il caso degli Instituts Universitaires de Technologie francesi e delle Fachochoschulen tedesche.
Occorre dunque superare l’approccio puramente progettuale di questo segmento di istruzione per trovare il modo di fare innovazione di sistema, valorizzando gli aspetti positivi di questa offerta formativa (il forte collegamento con il sistema produttivo, l’impegno degli allievi in attività di tirocinio per almeno il 30% del tempo e l’utilizzazione di personale docente proveniente per il 50% dal mondo del lavoro e delle professioni), consolidando quanto di valido è stato realizzato finora e rendendo più flessibile la nascita di nuove istituzioni, rafforzando il ruolo degli Istituti tecnici più performanti, soprattutto al Sud, come motore di sviluppo di nuove opportunità.
Per realizzare questo obiettivo è necessario però rivedere i rapporti tra Stato e Regioni, depositarie di questa competenza, le modalità di programmazione dell’offerta formativa, perché la scala regionale è troppo ridotta, il regime dei bandi e i sistemi di finanziamento, oggi del tutto episodici, e le modalità costitutive degli ITS. La Fondazione di partecipazione, attualmente prevista per creare un ITS, è complessa da realizzare; come ricorda Treellle-Fondazione Rocca: «La natura giuridica di Fondazioni di Partecipazione, divise tra diritto privato e diritto pubblico, costituisce un serio limite per lo sviluppo degli ITS, sottoposti ai vincoli propri degli organismi di natura pubblicistica e dovendo mantenere, al tempo stesso, la capacità di risposta alle variabili che connotano il mercato della formazione, propria di un soggetto di diritto privato».
[1] Associazione Treellle-Fondazione Rocca, Innovare l’istruzione tecnica secondaria e terziaria, per un sistema che connetta scuole, università e imprese, Collana i numeri da cambiare, n.3, 2015
Giorgio Allulli Vicepresidente della Rete europea della qualità dell’Istruzione e formazione professionale (EQAVET); già direttore delle aree sistemi formativi del Censis, dell’Isfol e della Conferenza dei Rettori.