Sport, educazione fisica e motoria a scuola, alcuni punti fondamentali – di Luigi Calcerano
Mi sono sempre domandato se lo sport moderno debba davvero essere per forza mero agonismo oppure sport di competizione rigorosamente selettiva che lo riserva ad una minoranza di soggetti fisicamente dotati, i più fisicamente dotati.
Ho sempre pensato fosse un fenomeno sociale che non deve sfuggire al dialogo con gli educatori, nella scuola sono prevalentemente i docenti che con lo sport si debbono confrontare. Passerà il tempo in cui le famiglie se la prendono coi docenti e giustificano le eventuali malefatte dei figli.
Ho rilevato che soprattutto lo sport è diventato una macchina commerciale che esclude protagonisti disinteressati, che fanno sport per il piacere di farlo e per crescere come esseri umani.
Ho tentato, quando ero Capo dell’Ispettorato, di contestare la prevalenza assoluta nella gestione dello sport degli organizzatori di spettacoli, mi ha sempre dato fastidio la prevalenza del potere dei mezzi di comunicazione e dei gruppi politici e finanziari.
Lo sport si snatura così, diventa così solo lavoro e non gioco, diventa un compito asfissiante, di dubbio valore educativo, in quanto esasperato solo ad ottener vittorie e/o record.
C’erano già allora ma adesso si moltiplicano i casi, (che devono essere esorcizzati dalla scuola) in cui lo sport è violento, sleale, truffaldino, corrotto dalle scommesse e dal doping, asservito al denaro, si tratta di uno sport che è il carceriere dell’atleta, una persona schiavizzata anche se in una gabbia d’oro.
Una soluzione è la scuola. Solo a scuola si può tentare di restituire allo sport un pizzico di fair play. Almeno fare un tentativo che risulterà sempre ostacolato dalla interessata sorveglianza dei tutori del profitto e dalle intoccabili, o apparentemente intoccabili leggi dello sport relegato ad essere solo impresa di tipo commerciale e redditizio.
Il concetto di fair play, seppure è ancora a parole lodato, è peraltro sminuito come principio debole e romantico, l’episodio del giovane che si rifiuta di calciare un rigore che riteneva ingiustamente previsto è appena appena non sanzionato dai regolamenti sportivi. Un episodio, quasi da libro Cuore, è stato bollato.
Come possa essere utile alla causa dell’educazione uno sport che presenta certe caratteristiche è il problema che si pongono gli educatori moderni e, quindi, gli operatori scolastici e i miei amici insegnanti di educazione motoria e di educazione fisica. Eppure sono ancora molti quelli che praticano negli enti promozionali o nelle società sportive uno sport ludico, leale e disinteressato. Un contrasto che si risolverà quasi sicuramente a danno di questi ultimi.
Dispiace e mi sono sempre battuto per contrastare questa tendenza. Perché lo sport è sempre stato uno spazio di sperimentazione per l’uomo. Mentre guidavo l’Ispettorato per l’educazione fisica e sportiva tutti tentavano di trattare lo sport come un ambito che favorisce l’evoluzione culturale degli uomini verso l’affinamento delle sensibilità e delle capacità simboliche, creative e artistiche.
Adesso non so come vanno le cose al Miur. Credo ancora ci siano spazi e principi su cui possono fondarsi con il contributo di tutti gli operatori scolastici e non solo, che siano di buona volontà, le basi per uno sport educativo.
A scuola, naturalmente, ripartendo dalla scuola, perché la scuola ha l’autonomia per aprirsi alle esigenze della società e del territorio, ma è, comunque, come ha detto Gianni Mura, per tutti i giovani, per gli studenti «la cittadella provvisoria, l’ambiente preservato dalle influenze nefaste della società, dalla dittatura del gruppo, l’ambiente nel quale l’adulto, in questo caso l’educatore, è al servizio del bambino per il suo progresso umano e sociale e le sue speranze di felicità futura”.
Una società che considera positive le attività motorie ha la responsabilità di portare il maggior numero possibile di cittadini (giovani, adulti e vecchi) a praticarle. Tutti! Con particolare riguardo alle fasce svantaggiate ed in particolare a chi è in situazione di handicap.
La nostra scuola che tuttora è a disposizione di tutti, finché lo è, deve avere la coscienza di intervenire sulla crescita dei ragazzi nel momento in cui sono più influenzabili e la sensibilità di proporre la sua offerta formativa con il necessario equilibrio e quella che Italo Calvino avrebbe definito “leggerezza”.
La scuola che non ha mai ristretto (e speriamo non lo faccia mai) la sua iniziativa alla valorizzazione dell’esistente o alla fotografia e celebrazione di alcune prassi sociali e modi di vivere attuali.
Abbiamo lavorato tanto al Miur e sono stato sempre convinto che se la scuola falliva nel creare una sana concezione dell’educazione fisica e delle attività sportive (anche agonistiche) e solide abitudini di pratica fisica non sarebbe stato un fallimento della sos scuola.
Sono ancora convinto che, se la scuola non costituisce un’alternativa culturale alla divisione, alla segregazione, alla violenza, alle rivalità, all’esasperazione del risultato, alla slealtà, alla truffa, alla corruzione, al doping, alla subordinazione dell’uomo agli altri uomini ed al denaro, pensateci, non sarà una sconfitta della sola scuola.
Fatemi dire questo. La lealtà, l’affermazione dei valori è sempre stata, e tanto più è oggi, la meta, l’obiettivo, non il punto di partenza. Ne deriva che gli insegnanti di educazione fisica (assieme alla scuola tutta, da essi mobilitata) dovranno sollecitare una corretta e libera pratica sportiva, l’innalzamento degli standard morali delle competizioni e predisporre per tali obiettivi tutti gli aiuti e i sostegni possibili.
Dobbiamo impedire che la malasportività penetri nel curricolo e tragga dal suo contagio alla scuola forze per
estendere la sua infezione culturale a tutta la società.
In fondo, come la democrazia, anche lo sport sano e leale è un fatto organizzativo.
La scuola rimane un terreno strategico di composizione di certi conflitti in una prospettiva corretta, perché vi si combatterà sempre la logica dell’atleta “oggetto”; se i giovani nella scuola sono protagonisti, non si potrà non pretendere che i giovani atleti siano protagonisti.
Concludendo provo a dire che :
– non si tratta solo di “giocare in difesa”, di guardare l’educazione fisica e l’attività motoria dal tecnicismo e dall’agonismo sfrenato o dalle proposte peregrine di alcune federazioni o di alcune agenzie sportive improvvisate e senza cultura;
– non sarà solo indispensabile elaborare a scuola i lineamenti che deve avere lo sport educativo e confrontarsi con tutte le agenzie sportive esistenti nel Paese, Coni in testa.
La scuola è chiamata ad intervenire con tutti i mezzi a disposizione anche fuori della scuola e dopo la scuola, per creare le condizioni che assicurino la continuità della pratica sportiva durante tutto l’arco della vita attiva. .
Mi piacerebbe, infine, che potesse ritornare la convinta mobilitazione di tutti gli operatori scolastici del settore che si è coagulata spontaneamente attorno al mio vecchio ma ancora utilizzabile Programma “Perseus”.
Luigi Calcerano