Riflessioni a margine del Rapporto Invalsi 2022

La scuola italiana sembra riconquistare la normalità dopo gli strappi dovuti alla Pandemia, ritmi e rituali si ricollocano in tempi e secondo modalità  consuete ( iscrizioni per il nuovo anno scolastico, scrutini conclusivi e svolgimento degli esami di terza media e  quinta superiore, rilevazioni Invalsi ecc.). La presentazione dei risultati delle  rilevazioni Invalsi 2022 ha avuto la solenne cornice dell’Aula Magna della università la Sapienza di Roma ed ha visto un’ampia partecipazione del mondo della scuola, Ministero dell’istruzione, rappresentanze dell’università, che anche in questo modo evidenzia l’impegno  nell’attivazione di   processi di interazione diretta  con la società civile, uffici Scolastici Regionali,  rappresentanti delle associazioni e della ricerca. L’intervento del ministro Bianchi ha illustrato i provvedimenti legislativi che proprio in questi giorni dovrebbero, conclusisi gli iter istituzionali,  avviare fasi nuove ( almeno così si auspica) nei percorsi di educazione e formazione rivolti ai bambini, ragazzi e giovani nel nostro paese. La solennità del tutto non ha dato poi spazio, dopo le presentazioni “ufficiali”, ad altri interventi che, finora, avevano sempre espresso reazioni a caldo, valutazioni, osservazioni, prese di posizione pubbliche, tuttavia, soprattutto sui giornali, subito  dopo  si è  avviato un animato dibattito che ha messo a fuoco  nodi  problematici  e ricorrenti criticità evidenziati ancora nel  rapporto 2022. 

 Se da un lato infatti si può verificare che il “crollo” di competenze provocato dal Covid si è arrestato, ma non tanto da raggiungere i pur modesti  risultati pre-covid. Al solito la scuola primaria appare adeguata a garantire in modo soddisfacente il raggiungimento delle competenze di base, mentre la scuola secondaria di primo e secondo grado evidenzia il dato, purtroppo consueto e aggravato dal Covid e dalla scarsa “presa” della didattica a distanza in situazioni difficili, relativo alle condizioni di svantaggio che pesano sulla formazione di giovani che vivono in realtà territoriali e sociali deprivate. Di fronte a un quadro che presenta ogni anno lo stesso gravissimo stato di una scuola che non riesce a garantire equità ed inclusione, che condanna di fatto ragazzi e giovani, appartenenti ad aree geografiche e/o a situazioni socio economiche svantaggiate, a non poter fruire del diritto all’istruzione, pur richiamato in Costituzione, la presentazione del rapporto Invalsi dovrebbe/potrebbe rappresentare il punto di partenza per incisive iniziative ed nuovi impegni. Non si tratta di immaginare solo processi di didattiche compensative, ma di dar vita a interventi strutturali capaci di evitare quel fenomeno che sembra descrivere in modo esaustivo i risultati di apprendimento di alunni e studenti italiani: basta “ guardare il Cap dell’indirizzo di un giovane di un ragazzo/a per avere un’ informazione sufficientemente realistica del suo risultato scolastico “. Il Rapporto evidenzia che ormai l’Istituto Nazionale di Valutazione è in grado di restituire, anno dopo anno, un quadro statisticamente rappresentativo della scuola. Le prove hanno coinvolto oltre 920 mila allievi della primaria (classe seconda e quinta), circa 545 mila di terza media e poco più di 953 mila delle superiori (quest’anno si sono tornate a svolgere anche in seconda superiore  e poi in quinta) e la risposta in termini di partecipazione è stata estremamente positiva.  In questo senso l’Istituto risponde al mandato previsto dalla legge (link ad articolo R. Bolletta)  di fornire al ministero e all’opinione pubblica una valutazione di sistema che permetta di produrre analisi all’interno del paese e di rispondere ad indagini comparative internazionali, ma quello che manca è pur sempre un piano di interventi di politica scolastica che risponda in modo efficace a questioni ormai drammaticamente presenti. Se è vero infatti che nel nostro paese è presente una riflessione   di tipo teorico metodologico sul merito dei processi di valutazione a scuola e che questo talora, non sempre, produce esercizi importanti e arricchenti,  non è l’istituto di valutazione nazionale  che ha il compito di elaborare politiche di indirizzo e linee di intervento, compiti che spettano piuttosto alla politica ed alle sedi istituzionali che hanno responsabilità di produrle. Ci si sarebbe aspettato che questo anno viale Trastevere indicasse in modo preciso contenuti e tempi degli interventi che il PNRR, ma non solo, dovrebbero garantire alla nostra scuola  e che, in questo senso, non tanto orientasse le rilevazioni del prossimo anno, ma  nominasse quali saranno i processi che si intendono attivare  ed in quali tempi, in modo da focalizzare nei prossimi mesi il lavoro su obiettivi precisi, che andranno seguiti e monitorati  secondo percorsi di “accompagnamento” e di attenta e continua valutazione. 

In una fase in cui la scuola potrebbe ricevere  ingenti risorse,  priorità, tempi, qualità degli interventi  e localizzazione di questi sui territori dovranno essere oggetto di una costante e continua attenzione  in termini  di registrazione degli esiti, evidenziabili  nei tempi brevi, e nella individuazione delle direzioni e delle  prospettive di lungo periodo. In questo senso il ruolo del sistema di valutazione diventa centrale come supporto allo sviluppo di politiche adeguatamente efficaci. Non si tratta di inventarsi un nuovo Invalsi,  ma di  seguire, con metodo, le azioni che via via verranno intraprese, a seguito  di quanto annunciato nel DL 170, assumendo  gli indicatori che le indagini comparative internazionali segnalano come tratti essenziali di sistemi educativi che meglio sembrano misurarsi con  obiettivi di equità ed efficacia: 

I)  adeguata spesa pubblica per l’istruzione; 

II) sostegno alla diffusione di metodologie didattica  basate sulla osservazione e su verifiche esperienziali, in ambienti di apprendimento in cui  gli studenti siano incoraggiati ad allenare  responsabilità personale, espressione di sé,  pensiero critico in situazioni in cui tutti siano coinvolti nelle produzione e verifica dei contenuti di studio 

III) attività educative in età pre-scolare  (0- 3 e 0-6 anni )

IV) opportunità formative  non formali ed informali,  capaci di coinvolgere  ragazzi e giovani in iniziative presenti nel territorio ecc. 

V) attenzione alla formazione del personale docente ai vari livelli, finalizzata alla sviluppo di forme didattiche innovative.  Tutto questo dovrebbe allora   suggerire  linee di rilevazione  di sistema  e di  verifica dei livelli di apprendimento su cui esercitare la valutazione nei prossimi anni.

 

Vittoria Gallina