L’inclusione è un diritto
Tappe verso l’inclusione: un percorso lungo oltre 50 anni
Oggi si appiattisce verso il basso il livello di tutti gli studenti, anche di quelli più bravi. E invece la scuola dovrebbe essere come lo sport, dove si mettono insieme le persone con prestazioni simili.
Un disabile, però, non lo metterei di certo a correre con uno che fa il record dei cento metri. Gli puoi far fare una lezione insieme, per spirito di appartenenza, ma poi ha bisogno di un aiuto specifico. La stessa cosa vale per la scuola.
La scuola sarebbe migliore se i disabili fossero messi in classi separate, come già accade nello sport, dove c’è la categoria paralimpica. Delle classi con ‘caratteristiche separate’ aiuterebbero i ragazzi con grandi potenzialità a esprimersi al massimo, e anche quelli con più difficoltà verrebbero aiutati in modo peculiare. Non è discriminatorio. Nessuno rimane indietro, ma liberiamo ali e cervelli di chi sa o vuole volare!
Chi ha un grave ritardo di apprendimento si sente più o meno discriminato in una classe dove tutti capiscono al volo? Non sono esperto di disabilità, ma sono convito che la scuola debba essere dura e selettiva, perché così sarà poi la vita. O almeno, così è stata la mia vita.
Così parlò il generale Roberto Vannacci, secondo quanto riportato negli ultimi giorni dai quotidiani.
E’ proprio un mondo al contrario quello dove con un colpo di spugna si pensa di cancellare un percorso verso un approccio alla diversa abilità – da separazione a inclusione – in cui l’Italia può vantare, per una volta, un primato e che si è svolto in oltre 50 anni per tappe successive e con provvedimenti normativi di peso e spessore, che forse vale la pena in questa sede di ripercorrere e riassumere.
Nel panorama normativo italiano la fase dell’inserimento comincia negli anni Settanta, con il superamento delle classi speciali e degli istituti differenziali. La Legge 118 del 30 marzo 1971 sancisce con l’articolo 28 l’inserimento degli alunni con handicap nella scuola dell’obbligo e l’accesso alla scuola mediante il superamento delle barriere architettoniche che ne impediscono la frequenza, ad eccezione degli invalidi più gravi per forme di deficit intellettivo e menomazioni fisiche.
Questo primo passo verso l’inserimento viene completato nel 1975 con il cosiddetto “documento Falcucci” della Commissione parlamentare sull’integrazione scolastica degli alunni handicappati (questo era il termine che si usava allora), ritenuto la magna charta dell’integrazione.
Il documento promuove il superamento di qualsiasi forma di emarginazione degli alunni con handicap attraverso un nuovo modo di concepire e di attuare la scuola, così da poter veramente accogliere ogni bambino ed ogni adolescente per favorirne lo sviluppo personale, precisando peraltro che la frequenza di scuole comuni non implica il raggiungimento di mete culturali minime comuni. Orgogliosa la senatrice Falcucci ricordò in un’intervista: “Non ricordo nessuna battaglia campale. Certo era cominciata che gli handicappati in classe nessuno li voleva, c?erano molte resistenze. Il problema non era dentro il mondo della scuola, ma fuori: culturale, nelle famiglie. Però ci abbiamo lavorato molto, prima di fare la legge abbiamo preparato a lungo il terreno, quindi alla fine siamo riusciti a farla passare. Ci fu un clima positivo, anche nella fase attuativa, che poi ho vissuto direttamente, da ministro”.
Questo documento viene recepito a livello legislativo dalla Legge 517 del 1977, art 2 e 7, vero punto di svolta decisivo per l’abolizione delle classi differenziali e delle scuole speciali e per l’introduzione della nuova figura insegnante sostegno per la scuola dell’obbligo. Con la Legge 104 del 1992 per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate si entra finalmente nella fase della integrazione dall’asilo nido all’università, non esistono più eccezioni e a tutti viene riconosciuto il diritto a essere educati nelle classi comuni. Negli anni seguenti il concetto di persona handicappata si evolve da un presupposto biomedico verso una prospettiva biopsicosociale di classificazione individuale del funzionamento, che parte dalle potenzialità della persona e non riduce l’individuo alla sua mancanza.
La Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità del 2006 sancisce il diritto alla piena inclusione e raccomanda il rispetto per la differenza e l’accettazione delle persone con disabilità come parte della diversità umana e dell’umanità stessa. Negli anni Duemila si susseguono nel nostro Paese ulteriori interventi legislativi: la Legge 18 del 2009, che ratifica la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità e istituisce l’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità; le nuove linee guida del MIUR del 2009, che ripercorrono le tappe degli interventi realizzati nella pratica operativa, allo scopo di fornire agli operatori scolastici una visione organica della materia che possa orientarne i comportamenti nella direzione di una più piena conformità ai principi dell’integrazione; la Legge107 del 2015 e il Decreto legislativo 66 del 2017, che ridefiniscono molte delle procedure previste per gli alunni con disabilità, riformando non pochi aspetti della Legge n. 104/92, a partire dal livello di inclusività del Piano triennale dell’offerta formativa delle scuole, ai percorsi per la personalizzazione e individualizzazione, alla rete territoriale per l’attuazione dei processi di inclusione, alle iniziative di formazione delle competenze professionali del personale. Diviene norma, inoltre, la compilazione del profilo di funzionamento, che va a sostituire la diagnosi funzionale.
L’inclusione è un processo, una strada che dobbiamo impegnarci a rinforzare, perché non resti uno slogan, una formula da usare nei discorsi politicamente corretti, una bandiera di cui appropriarsi – come ha ribadito anche Papa Francesco: Generare e sostenere comunità inclusive significa eliminare ogni discriminazione e soddisfare concretamente l’esigenza di ogni persona di sentirsi riconosciuta e di sentirsi parte. Non c’è inclusione se manca una conversione nelle pratiche della convivenza e delle relazioni.
Ogni altro commento è superfluo.
“Fare inclusione. Sfide e strumenti operativi per la scuola”
Il Comitato provinciale di Milano di UNICEF per la Scuola ha promosso da pochi giorni, in collaborazione con il Garante dei Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza e con l’Università Cattolica, il seminario di studio “Fare inclusione. Sfide e strumenti operativi per la scuola”.
L’appuntamento ha costituito la tappa conclusiva del percorso di approfondimento proposto alle scuole nel periodo da marzo 2023 ad aprile 2024 per realizzare un’iniziativa di libera espressione sul tema della scuola non discriminante, inclusiva e accogliente: : “La nostra scuola e’ inclusiva se…”.
Il percorso si è sviluppato attraverso webinar e Officine con docenti e educatori, marcia per i diritti in occasione del 20 novembre, laboratori didattici, proposte di letture e kit di materiale per approfondimento, e occasioni di incontro con i pubblici decisori per dare un riscontro alle scuole sulle questioni emerse dai lavori e per valutare a che punto si posiziona Milano in materia di scuola inclusiva e accogliente.
Tutti gli interventi del seminario hanno sottolineato l’importanza di abbattere gli stereotipi e i pregiudizi, mettendo al centro la persona e riformulando il concetto di inclusione. “Inclusività” e “inclusione” non sono le parole migliori da usare, come afferma la sociolinguista Vera Gheno, citando lo studioso Fabrizio Acanfora, in quanto alludono a un processo che conserva dinamiche di potere sbilanciate e discriminatorie: chi include e chi viene incluso?
Meglio senz’altro parlare di “convivenza delle differenze, delle varietà”. Tale cambio di prospettiva invita innanzitutto a riconsiderare l’idea di normalità come dato statistico e non valoriale, scardinando la presunzione che esista un “consesso dei giusti” capace di accogliere paternalisticamente i “diversi”.
Pensare la differenza come normalità, riformulare il concetto di inclusione, mettendo al centro la persona, e affrontare le criticità strutturali di un sistema basato sulla disuguaglianza sono le reali questioni su cui ci invita ripetutamente a riflettere Acanfora nei suoi saggi[1].
La diversità è una cifra che accomuna l’umanità, è una ricchezza, e non un disvalore, e la vera uguaglianza può avvenire esclusivamente attraverso il riconoscimento e la valorizzazione delle differenze e delle caratteristiche uniche di ciascun individuo.
E’ stato inoltre presentato il Manifesto della comunicazione non ostile e inclusiva, dieci principi di stile a cui ispirarsi per scegliere parole giuste, parole che sappiano superare le differenze, oltrepassare i pregiudizi e abbattere i muri dell’incomprensione. Parole che ci liberino dalle etichette, che non ci isolino, che non ci facciano sentire sbagliati. È il Manifesto di chi quotidianamente rischia di restare ai margini.
Per declinare il tema dell’inclusione a scuola ci si è messi in ascolto anche della voce di bambini e bambine, ragazzi e ragazze, che con i loro slogan colorati hanno concorso a dare forma a un Manifesto dell’inclusione “La nostra scuola è inclusiva se…”. Di seguito potete leggere la raccolta di questi slogan:
- Tutti noi ci aiutiamo e stiamo uniti
- Accoglie e valorizza la diversità di ogni studente
- Ci sono maestri gentili, compagni inclusivi, ambienti ordinati e colorati
- Sei come sei
- Siamo tutti uguali, ma diversi
- La parola discriminazione viene cancellata dal dizionario
- Credi in te stesso
- Ognuno è se stesso
- Ognuno ha la propria diversità
- Aiutiamo i compagni e le compagne
- Ci rispettiamo a vicenda
- Le persone sono gentili
- Dentro di te ci vive l’allegria e la voglia di imparare
- Ci fanno esprimere le nostre opinioni
- Non disprezza, ma accetta
- Non discriminiamo, ma aiutiamo
- Non giudichiamo ciò che non conosciamo
- Non escludiamo e con i nostri amici ci divertiamo
- Non c’è il bullismo
- La diversità è un’opportunità non un ostacolo
- Tutti si sentono speciali
Anche la voce degli studenti della scuola secondaria di secondo grado eletti nella Consulta Provinciale ha offerto spunti ulteriori di osservazione e aperto piste di lavoro per il futuro, sui quali si sono soffermati i rappresentanti delle Istituzioni milanesi, Anna Scavuzzo, Vicesindaco e Assessora all’Istruzione, Marcella Manis, referente per UST Ambito di Milano, e il Garante dei Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza Silvio Premoli a cui sono state affidate le conclusioni.
Per ricevere la registrazione dei lavori del Seminario è possibile scrivere a: comitato.milano@unicef.it
[1] F. ACANFORA, Eccentrico. L’autismo in un saggio autobiografico, effequ, 2018; In altre parole, dizionario minimo di diversità, effequ, 2021; Di pari passo. Il lavoro oltre l’idea di inclusione, Louis University Press, 2022.
Rita Bramante Già Dirigente scolastica, membro del Comitato Nazionale per l’apprendimento pratico della Musica