Il nuovo PNRR per l’istruzione
Cambiamenti importanti e significativi ci sono nella versione finale del Recovery Plan per la scuola e la formazione inviato a Bruxelles. Sono scomparse alcune delle proposte più discutibili, come la riforma della carriera del personale insegnante; proposta discutibile non perché non fosse condivisibile ma perché affrontava una tematica spinosa, sulla quale sono caduti in passato ministri e governi. Non era dunque opportuno che facesse parte di un Piano che deve avere scadenze certe e verificabili per accedere ai finanziamenti europei. Viene inoltre molto ridimensionato il numero di nuove assunzioni (si passa da 675.000 a 250.000 per le nuove scuole per l’infanzia), ma anche per questi numeri ridotti bisognerà tener conto che dopo i 5 anni di finanziamento europeo i nuovi assunti andranno a pesare sui bilanci nazionali.
Purtroppo sono scomparsi i riferimenti ai Centri per l’educazione degli adulti, che invece dovrebbero costituire una risorsa importante per un Paese nel quale gli indici di partecipazione degli adulti alle attività formative sono tra i più bassi in Europa, nonostante gli inadeguati livelli di competenze rilevati dalle indagini internazionali. Mancano inoltre riferimenti all’IeFP (Istruzione e Formazione professionale), che, nonostante i buoni risultati raggiunti, soffre di una cronica mancanza e incostanza di finanziamento, così come scarsi sono i finanziamenti destinati alla Formazione duale.
Molto interessante è il capitolo destinato all’Intervento straordinario finalizzato alla riduzione dei divari territoriali nei cicli I e II della scuola secondaria di secondo grado. L’intervento, recita il PNRR, ha un triplice obiettivo.
- Misurare e monitorare i divari territoriali, anche attraverso il consolidamento e la generalizzazione dei test PISA/INVALSI.
- Ridurre i divari territoriali in Italia per quanto concerne il livello delle competenze di base (italiano, matematica e inglese), inferiore alla media OCSE, in particolare, nel Mezzogiorno.
- Sviluppare una strategia per contrastare in modo strutturale l’abbandono scolastico.
Si tratta di un impegno quanto mai importante, perché il nostro Paese soffre per il grande divario che ne separa le diverse aree: mentre nell’Italia centro-settentrionale i livelli degli apprendimenti, misurati dalle rilevazioni nazionali e internazionali, sono su livelli simili, o superiori a quelli medi europei, in alcune Regioni del Sud si registrano risultati molto bassi. È dunque essenziale ridurre questo divario, portando anche i livelli delle Regioni meridionali su valori in linea con quelli delle altre Regioni. È un obiettivo fondamentale, per garantire a tutti i giovani medesime opportunità formative e per innalzare il livello medio delle competenze acquisite al termine del percorso formativo.
Per ottenere questo risultato il Piano mette in campo diversi strumenti:
- Personalizzazione dei percorsi per quelle scuole che hanno riportato livelli prestazionali critici;
- azioni di supporto mirate per i relativi dirigenti scolastici, a cura di tutor esterni e docenti di supporto (per italiano, matematica e inglese) per almeno un biennio;
- mentoring e formazione (anche da remoto) per almeno il 50 per cento dei docenti;
- potenziamento del tempo scuola con progettualità mirate, incremento delle ore di docenza e presenza di esperti per almeno 2000 scuole;
- programmi e iniziative specifiche di mentoring, counseling e orientamento professionale attivo.
Quello che non si evince dal Piano è la strategia, ovvero attraverso quali modalità e processi verranno utilizzate queste risorse. Come verranno individuate le scuole destinatarie? Quali presìdi verranno creati sul territorio? Come si dispiegheranno le diverse azioni?
Per realizzare un intervento perequativo del genere, destinato innanzitutto alle aree e alle scuole in maggiore difficoltà, il primo passo dovrebbe essere la verifica di quali sono queste scuole e di cosa hanno effettivamente bisogno. L’utilizzo dei risultati delle prove Invalsi potrà fornire prime importanti indicazioni, ma questo non basterà, perché i dati delle rilevazioni Invalsi vanno approfonditi e contestualizzati, in modo da individuare strategie specifiche di intervento per ciascuna scuola. Sotto questo aspetto, fondamentali elementi di giudizio potrebbero pervenire dai Rapporti di Autovalutazione (RAV) e dai Rapporti di Valutazione Esterna; dalla lettura incrociata dei due documenti potrebbe scaturire una strategia mirata di supporto alla scuola da attivare utilizzando le risorse europee.
Il problema è che non solo le visite di valutazione esterna sono praticamente ferme, ma anche che nel PNRR questo strumento fondamentale per impostare una strategia mirata di supporto alle scuole non è neppure menzionato. Si tratta invece di un passaggio assolutamente necessario: l’alternativa è distribuire un’ennesima volta le risorse a pioggia, senza entrare nel merito di cosa serva effettivamente alle singole scuole. Dunque se si vogliono ottenere risultati significativi occorre contestualizzare gli interventi, partendo dai RAV e dalla valutazione esterna per impostare azioni mirate, concordate con le scuole, nel rispetto della loro autonomia, e possibilmente anche con le rappresentanze del territorio, perché le difficoltà delle scuole nascono anche, e soprattutto, dalle difficoltà dell’ambiente circostante.
Giorgio Allulli Vicepresidente della Rete europea della qualità dell’Istruzione e formazione professionale (EQAVET); già direttore delle aree sistemi formativi del Censis, dell’Isfol e della Conferenza dei Rettori.