Diritto di cittadinanza digitale per tutti
Un passo indietro nel tempo, anzi un flash back piuttosto ampio che ci riporta all’autunno di dieci anni fa. Protagonisti due italiani lungimiranti, animati non solo da consapevolezza del presente, ma anche, e soprattutto, da visione del futuro, dal desiderio di tradurre il proprio pensiero in azione pro sociale e dall’ambizione di ripensare in funzione di una nuova antropologia le categorie del nostro mondo in evoluzione continua.
Il primo – il professor Umberto Veronesi – l’uomo con il camice bianco, grande medico, eminente scienziato e anche cittadino dall’inesausto impegno pubblico. Il secondo il professore emerito di diritto civile, che per tutta la vita si è impegnato in prima persona, in modo diretto e franco, per contribuire a riaffermare la moralità delle regole e a rafforzare gli anticorpi democratici: il giurista professor Stefano Rodotà. Entrambi animati dalla convinzione che i temi etici, che riguardano la vita delle persone, devono essere oggetto di un grande dibattito pubblico e che i diritti umani sono troppo spesso proclamati, ma poi disconosciuti e violati.
Il primo congresso annuale Science for peace, voluto nel 2009 dal prof. Umberto Veronesi, ha portato sotto i riflettori il tema della pace e le soluzioni che la scienza può mettere al servizio dello sviluppo di processi di pace: dove hanno fallito politica, diplomazia e religione, può farcela la scienza, unica globalizzazione davvero riuscita, in quanto gli uomini di scienza si confrontano anche duramente nell’unica guerra consentita, la guerra delle idee, e vanno avanti verso gli obiettivi della loro ricerca. Se la scienza può vantare il record delle scoperte, la guerra invece porta con sé soltanto record di conflitti e di morti. E sono proprio gli scienziati a prendere l’iniziativa per la pace, in quanto riconoscono alla scienza una funzione civilizzatrice e un tratto di universalità, che le consente di trasmettere valori a tutto il mondo. Temi quanto mai attuali in questi giorni, in cui assistiamo a un’inedita alleanza tra scienza e politica nella battaglia contro la pandemia che ci affligge.
In quel contesto, dal palco di Science for peace, il prof Veronesi fu anche ambasciatore del movimento Internet for Peace e della petizione per il premio Nobel a Internet come strumento di pacifica convivenza, linguaggio universale, finestra aperta sulle barbarie del mondo, piattaforma di relazioni sociali forti e solidali. Un paradosso, se vogliamo dire così: nato per la rete militare del Pentagono, Internet è sfuggito di mano, diventando strumento di pace o arma di costruzione di massa.
«La Scienza, con la sua Lingua Universale, e Internet insieme propongono e portano la pace»– affermò il prof. Veronesi, insieme a Shirin Ebadi, avvocato e pacifista iraniana, dicendosi convinto che, per quanto possa apparire inusuale e sorprendente proporre il Nobel per la Pace a favore di un mezzo di comunicazione di massa, invece che di una o più persone, se il web avesse vinto il Nobel si sarebbe potuto dimostrare agli osservatori futuri di avere capito la portata della rivoluzione globale rappresentata dalla Rete e di essere determinati a volgerla al miglior utilizzo nell’interesse dell’umanità intera.
Nello stesso periodo, l’ormai lontano 2010, va segnalata una proposta di innovazione costituzionale, lanciata dal professor Stefano Rodotà in occasione dell’Internet Governance Forum, con l’obiettivo di sviluppare il dibattito sulle questioni di maggiore attualità e rilevanza di Internet. La proposta di Rodotà fu quella di inserire nella Costituzione italiana il ‘diritto alla rete’, attraverso un nuovo articolo della Costituzione. Questo articolo – il 21.bis – avrebbe la funzione di estendere e reinterpretare l’articolo 21, che già sancisce il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con qualsiasi mezzo di diffusione.
Rodotà diede solenne lettura del testo di questo articolo, due righe molto impegnative e sofferte («Scrivere due righe è molto più faticoso che scriverne trenta» sottolineò), che si prese la briga di scrivere proprio in ragione del fatto che ne avvertiva personalmente l’attualità e l’urgenza e anche perché sollecitato con giusta insistenza da molti che ne condividevano la necessità: «tutti hanno eguale diritto di accedere alla rete di Internet in condizione di parità con modalità tecnologicamente adeguate e che rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale». Nel dicembre di quell’anno iniziò l’iter parlamentare un disegno di legge che ebbe come primo firmatario lo stesso Rodotà e che recava disposizioni volte al riconoscimento del diritto di accedere a Internet come diritto costituzionale fondamentale per il pieno sviluppo della persona umana.
Il diritto di accesso a Internet è una libertà fondamentale il cui esercizio è strumento per l’esercizio di altri diritti e libertà costituzionali: non solo la libertà di manifestazione del pensiero di cui all’art. 21 ma anche il diritto al «pieno sviluppo della persona umana» e «all’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese» di cui all’art. 3 della Costituzione, o piuttosto la libertà di impresa di cui all’art. 41.
Nelle settimane di reclusione, a causa dell’epidemia di Coronavirus, questo patrimonio lungimirante di riflessioni, non sufficientemente ascoltato un decennio fa, è quanto mai attuale, dato che le nostre relazioni personali, culturali e di lavoro sono più che mai prima affidate alla rete. La democrazia elettronica sta consentendo alla scuola e al lavoro di continuare, al sapere e alla creatività di circolare. Proprio in questo momento non dobbiamo perdere di vista che è di primaria importanza incentivare la diffusione della banda larga nel nostro Paese, senza trascurare le aree di disagio e di marginalità, promuovendo pratiche e programmi di inclusione sociale per i segmenti di popolazione più svantaggiati e nei quartieri periferici più a rischio.
Oggi più che mai prima non avere accesso a Internet, significa vedersi precluso l’esercizio della più parte dei diritti di cittadinanza e l’agenda digitale del Paese non deve esaurirsi in uno spot o in un’operazione soltanto emergenziale. Ulteriori ritardi nella tutela della cittadinanza digitale per tutti non sarebbero comprensibili, né tollerabili.
Rita Bramante Dirigente scolastico dell’istituto comprensivo Cavalieri di Via Anco Marzio a Milano