Diritto allo studio a Caivano

L’evasione scolastica da reato  amministrativo  punibile con la simbolica  ammenda di pochi  Euro diventa reato penale.  Le pene sono severe, fino a due anni di carcere, per i genitori inadempienti all’obbligo di istruzione, con in più il rischio di venire privati della potestà genitoriale. C’è anche questo nel decreto 15.9.2023 “Misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile“  all’esame del parlamento  per la conversione in legge. Più noto come decreto Caivano, perché nato dall’esigenza  di mostrare a chi non vede  altre soluzioni al degrado, alle violenze, alle illegalità del quartiere napoletano teatro dello stupro di due ragazzine e di tante altre zone del paese, che c’è finalmente un governo che  il pugno di ferro lo sa usare, e che “ci mette la faccia”.  E’  probabile che in parlamento ci saranno repliche della polarizzazione inscenata finora nei media. Da un lato gli indomiti sostenitori di uno Stato che si fa rispettare con i carabinieri e le manette, dall’altro il poco convincente buonismo di chi aspira ma difficilmente conosce e pratica  policies più miti e tuttavia capaci di fare i conti con la complessità del disagio sociale, le sole  in cui  scuola ed educazione possono giocare un ruolo.  L’esperienza dice che per ricostruire comunità e rispetto è la seconda  la via più promettente, ma oggi è  la faccia feroce, e l’immediatezza del colpo su colpo,  a piacere.   La verità è che la politica  è da tempo piuttosto analfabeta su cosa e come  fare nelle zone di profondo degrado sociale.  Le migliori esperienze in ambito locale, che tengono insieme tutti i pezzi –  abitazioni,  lavoro,  scuola,  servizi,  qualità urbana,  cultura,   spazi e  opportunità per ridare  ai giovani speranze e prospettive – sono troppo complesse per bucare lo schermo. I soldi pubblici ( e la testa ) se ne vanno  spesso in raffiche di bonus,  voucher, indennità, interventi stagionali come la politica,  nella logica dell’emergenza, l’unica che restituisce consenso.

 Ma il rischio delle grida manzoniane percorre tutto il testo. Emblematica, dal punto di vista della fattibilità, la parte sull’accertamento  dell’evasione scolastica e delle responsabilità dei genitori. Il decreto presenta uno stupefacente richiamo all’art. 114 del Testo Unico EE.LL del 1994, secondo cui sono i sindaci a dover  trasmettere ogni anno ai “direttori didattici” l’elenco dei “fanciulli”  soggetti all’obbligo, da comparare con quello degli iscritti effettivi per scoprire  eventuali inadempienze.   La procedura prosegue con l’affissione all’albo pretorio  dei  nominativi dei genitori, l’ammonizione del sindaco e,  se il mix tra pubblico ludibrio e persuasione non ha esito,  la multa. Non ha mai funzionato, se non in micro comunità territoriali, neppure nel 1994. Ma oggi che non c’è più il vincolo dei bacini territoriali che imponeva salvo deroghe l’iscrizione nella scuola di quartiere,  che l’obbligatorietà è entrata nella secondaria di II grado, che le  famiglie scelgono liberamente anche scuole  fuori dell’ambito di residenza, non si può più neppure pensare che si possa fare così.  Le scuole conoscono solo i loro iscritti, l’autonomia scolastica ha aperto le porte, forse eccessivamente considerando i diffusi effetti  di polarizzazione sociale ed etnica degli istituti scolastici, a una liberalizzazione del rapporto tra domanda e offerta di istruzione da cui non si torna indietro. In Italia è costituzionalmente contemplata perfino l’istruzione parentale. Possibile che il ministro dell’istruzione Valditara, invece che avallare il riferimento all’art.114, non abbia colto l’occasione per far avanzare il disegno, fermo da tempo, di far dialogare l’anagrafe nazionale degli studenti con le anagrafi comunali della popolazione residente? Le tecnologie  lo permettono, e permetterebbero anche l’interazione tra l’anagrafe degli studenti delle scuole statali e quelle degli studenti delle paritarie e dell’IeFP regionali. Se finora non è stato fatto è per irresponsabilità  politica. Il risultato è che,  mentre  abbiamo preziosi dati  sugli abbandoni precoci, sfugge ad ogni accertamento scientifico  la patologia dell’evasione, che ancora resiste in aree di marginalità o di isolamento estremo. Ciò ha consentito di chiudere gli occhi, in perfetta linea con una scuola vantata come inclusiva che però non si occupa di quelli che non sono i suoi iscritti, i veri e irriducibili dispersi. E su una scolarizzazione universalistica tutt’altro che perfetta. Non solo negli esiti, si dovrebbe sapere, talora anche in ingresso.  

E’ certo, inoltre, che la punibilità stessa dei genitori inadempienti, oltre a essere tema assai controverso nel merito, è anche difficilmente esigibile in punta di diritto se estesa oltre i confini della non  iscrizione alla scuola primaria. Almeno il ministro guardasigilli Nordio di sicuro non ignora che la Cassazione si è ripetutamente espressa contro la punibilità dei genitori inadempienti, fino al recente annullamento, nel 2020, della sanzione comminata a una mamma di Cosenza che non aveva iscritto il figlio alla scuola media, perché in contrasto con la legge 296/2006 che, se ha da un lato prolungato di due anni l’obbligo, ha dall’altro esclusa la punibilità dei genitori che non lo rispettano. Si annunciano dunque, come succede sempre con le grida, inattuabilità e  contenziosi. Non si poteva dirglielo prima, alla presidente che ci ha messo la faccia ? 

La situazione, insomma, è troppo complessa per essere affrontata col coltello. Occorrono nuove norme, nuove pratiche, nuove indicazioni alle istituzioni, ai servizi, alle associazioni. Negli anni Novanta il sindaco di Roma Rutelli richiedeva l’iscrizione a scuola dei minori Rom come condizione per risiedere nei campi attrezzati,  garantendo però il trasporto scolastico gratuito  e un bel po’ di supporti al diritto allo studio. Anni dopo, un decreto del ministro dell’interno Maroni richiedeva  la regolare frequenza scolastica dei figli   come uno dei requisiti  per la conferma del permesso di soggiorno. Oggi, per le bambine appartenenti a comunità musulmane che rischiano talora fin dalla scuola dell’infanzia di essere escluse dall’istruzione,  funziona  la mediazione interculturale, la sollecitazione dei servizi sociali, l’ accompagnamento delle associazioni. Dove si incontra l’evasione o anche solo la negligenza dei genitori, e si opera per superarle,  nessuno ritiene che l’arma vincente sia il carcere. Intanto perché coi genitori in carcere è più difficile che tutte le mattine ci si alzi in tempo per andare a scuola, e anche perché evasione e abbandoni  capitano più spesso proprio nelle famiglie più difficili e dove il rapporto col carcere è più frequente. Lo sanno bene  i dirigenti di scuole in territori di mafia che usano il telefono e anche gli incontri a muso duro con i genitori che consentono o impongono   che i figli facciano altro che andare a scuola, che la minaccia del ricorso ai tribunali in certi casi non serve. Ma siamo anche lontani, per fortuna, da quella sorta di “coscrizione scolastica”, e relative sanzioni per i disertori, dei primi ministri dell’educazione dell’Italia unita, perché  il lavoro nelle campagne non distogliesse i bambini  dalla scuola. Si trattava, ai tempi del ministro Coppino, delle prime due classi dell’elementare. Un altro mondo che richiede, si direbbe, altre politiche.

Fiorella Farinelli Politica e saggista,  docente esperta di  istruzione e formazione, componente dell’Osservatorio nazionale per l’Integrazione degli alunni stranieri