Armiamoci e partite
Dopo l’annuncio alla stampa avvenuto nel mese di settembre, è stato presentato al Senato il disegno di legge per l’istituzione della filiera formativa tecnologico-professionale e la revisione della disciplina in materia di valutazione del comportamento. Il testo conferma tutte le perplessità che avevamo espresso in un precedente articolo apparso su questa rivista (Miracolo a Viale Trastevere). Speravamo che la vaghezza del testo presentato a settembre fosse dovuta allo stato ancora preparatorio del disegno di legge in questione, ma che sarebbe stata superata all’atto della presentazione del testo in Parlamento. Non è stato così: il testo ricalca largamente lo schema presentato a suo tempo alla stampa e lascia irrisolte molte questioni.
Il primo interrogativo riguarda la praticabilità dell’obiettivo principale del disegno di legge, ovvero il conseguimento in soli quattro anni delle competenze, delle conoscenze e abilità previste nei normali percorsi quinquennali. Come si ricorderà, già nel 2017 era stata prevista una sperimentazione di corsi quadriennali nei licei classici e tecnici, sperimentazione rinnovata ed ampliata alla fine del 2021. Ora prima di lanciare una nuova sperimentazione sarebbe stato necessario fare un bilancio delle iniziative precedenti, per valutarne i risultati raggiunti e le difficoltà emerse: infatti comprimere in quattro anni quello che a fatica si raggiunge in cinque non è impresa da poco, né per i docenti né per gli studenti, soprattutto quelli più fragili. Ma nessuna indicazione sembra emergere dalle passate esperienze, neanche nel testo accompagnatorio che dovrebbe evidenziare le premesse concettuali del disegno di legge. Unica concessione alla consapevolezza dell’esistenza del problema è la possibilità di spalmare sui quattro anni di corso precedenti le 1056 ore del 5 anno, ma è proprio questa soluzione che rende l’idea dello sforzo da compiere: spalmare 1056 ore su quattro anni significa aggiungere ad un orario scolastico già pesante altre 264 ore all’anno, ovvero circa 8 ore in più alla settimana, che magari verranno riservate proprio a coloro che di stare a scuola non ne vogliono sapere.
Ci si chiede allora se, prima di lanciare un obiettivo così importante e ambizioso, non sarebbe opportuno condurre una riflessione più approfondita su come raggiungerlo, formulando anche delle ipotesi di riformulazione delle priorità del curricolo; questo del resto era stato previsto, almeno per gli Istituti tecnici, dalla legge 175/22. Al contrario si parla in modo generico di un ampliamento a 360 gradi dell’offerta formativa, con particolare riferimento alle discipline di base, con la possibilità di introdurre insegnamenti in lingua straniera (CLIL) e ampliando la formazione di professionalità innovative connesse all’alternanza. Non va dimenticata poi la promozione di accordi di partenariato, volti a definire le modalità di co-progettazione dell’offerta formativa, di attuazione dei percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento (PCTO) e di stipula dei contratti di apprendistato. Insomma, non vogliamo farci mancare niente!
A questo punto la palla sembra dunque passare alle scuole, sulle cui spalle viene scaricata la mission impossible di ottenere tutto ciò; come dire: armiamoci e partite! Non sarebbe più opportuno alleggerire il compito, proponendo alle scuole sperimentali delle ipotesi di curriculum riformato, lasciando poi le scuole libere di introdurre le variazioni che ritengono necessarie per adattare al contesto il percorso scolastico, tanto più che per gli Istituti tecnici queste ipotesi di riforma del curriculum sono state già predisposte?
Non sono questi i soli elementi critici del testo; citiamo per titoli:
- La riesumazione del termine campus (risalente al Decreto Legislativo 17 ottobre 2005, n. 226) per una modalità di integrazione tra diverse tipologie di istruzione e formazione tecnico-professionale che era stata già normata in modo molto più preciso in provvedimenti legislativi precedenti (2007 e 2013) attraverso l’istituzione dei Poli tecnico-professionali.
- L’attribuzione all’Invalsi del ruolo del tutto improprio di validazione-certificazione dei curricoli della IEFP, con la conseguente scorciatoia della concessione della possibilità di accedere all’esame di Stato ai corsi validati.
- La debolezza strutturale dei collegamenti previsti tra scuola, formazione e mondo del lavoro.
Ma su questi punti ci riserviamo di tornare in un successivo intervento.
Giorgio Allulli Vicepresidente della Rete europea della qualità dell’Istruzione e formazione professionale (EQAVET); già direttore delle aree sistemi formativi del Censis, dell’Isfol e della Conferenza dei Rettori.