Architettura e carcere – di Luca Zevi

Gli Stati Generali dell’Esecuzione Penale, promossi dal Ministero di Grazia e Giustizia negli anni 2015-2016, hanno sviluppato approcci multidisciplinari al tema della detenzione, destinando a “Gli spazi della pena-architettura e carcere” un “tavolo di lavoro” specifico. L’articolo dell’arch. Luca Zevi, che ha presieduto questo tavolo, offre un contributo importante di riflessione alla complessità dei problemi sollevati dalla necessità di tutelare i diritti di tutti coloro, che a vario titolo sono privati delle libertà personali.
La redazione

 

Nel 2013 la Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo ha condannato l’Italia per il trattamento disumano riservato ai detenuti a causa del sovraffollamento presente negli Istituti Penitenziari. La condanna ha imposto provvedimenti urgenti mirati al superamento di tale emergenza, soprattutto attraverso il ricorso a misure alternative al carcere: detenzione domiciliare, affidamento in prova ai servizi sociali, pene di tipo riparativo. Tali provvedimenti – che hanno reso pressochè equivalenti il numero dei detenuti e quello degli affidati alle misure alternative – non solo non hanno determinato alcun aumento della criminalità, ma hanno dimostrato che i trattamenti extra-carcerari sono assai più efficaci di quelli detentivi, presentando i primi un 20% di casi di recidiva a fronte di oltre un 70% dei secondi.
Dunque questa è la strada maestra sulla quale sarebbe opportuno procedere, a partire dalla considerazione che per intere categorie di trasgressori – tossicodipendenti, immigrati clandestini, donne – il ricorso al trattamento penitenziario dovrebbe essere progressivamente sostituito da altre modalità sanzionatorie.
Questo approccio, oltrechè più efficace, consentirebbe di continuare a contrastare il pericolo del sovraffollamento carcerario superando, per dirla con il Garante Nazionale delle Persone Private della Libertà Mauro Palma, il carattere “infantilizzante” dell’attuale trattamento carcerario, a favore di un’attitudine “responsabilizzante”, mirata alla riabilitazione alla vita civile anziché alla pura afflizione. Per questo il Ministero Della Giustizia, nel periodo 2015-16, ha indetto gli Stati Generali dell’Esecuzione Penale, un momento di riflessione multidisciplinare sul tema della detenzione, destinando a “Gli spazi della pena-architettura e carcere” il tavolo numero 1. La relazione conclusiva dei lavori di questo tavolo, ribadendo il carattere strategico del ricorso alle misure alternative alla detenzione, sottolinea come la realizzazione di nuovi Istituti dovrebbe diventare meno urgente, dando così la priorità alla riqualificazione delle strutture esistenti. Dunque, accanto all’elaborazione tipologica di spazi della pena coerenti con questi indirizzi, i lavori del tavolo hanno sottoposto ad analisi i progetti in corso, di nuova edificazione ma soprattutto di ristrutturazione e ampliamento di complessi esistenti.

Da cella/corridoio/braccio/raggio a gruppo-appartamento

Da un punto di vista tipologico, lungi dal continuare a proporre il carcere come “universo altro”, si tende dunque a una riproduzione quanto più fedele possibile, all’interno degli Istituti, delle condizioni di vita che caratterizzano il mondo esterno.
A questo fine viene destinato tutto lo spazio necessario alle attività lavorative, formative, sportive, creative e ricreative che caratterizzano lo svolgimento di una giornata “normale” in libertà, onde consentire ai detenuti di trascorrere effettivamente l’intera giornata – almeno otto ore – fuori dalle camere di pernottamento.
Queste ultime vengono a perdere ogni riferimento alle celle tradizionali – all’interno delle quali i detenuti spendevano l’intero loro tempo – per aggregarsi invece in gruppi-appartamento destinati ciascuno a un numero limitato di detenuti (6-8 in caso di nuova edificazione, quanti possibile nei vari casi di ristrutturazione). Tali gruppi-appartamento vengono dotati altresì di spazi collettivi analoghi a quelli che si trovano nelle abitazioni comuni – soggiorno, cucina, pranzo, guardaroba – per favorire una responsabilizzazione anche sul piano dell’autogestione della quotidianità domestica. Ad essi si accede direttamente dai pianerottoli di sbarco dei gruppi scale/ascensori, analogamente a quanto avviene in un normale condominio.
Le camere di pernottamento propriamente dette sono individuali e dotate di bagno e, a differenza delle celle, non vengono chiuse neppure la notte perché la sorveglianza viene esercitata non sulla singola camera, ma sull’intera unità residenziale rappresentata dal gruppo-appartamento.
Una particolare attenzione è dedicata agli spazi destinati agli incontri e ai rapporti affettivi con i familiari, per favorire la qualità dei quali è stato elaborato un prototipo di sala-colloqui articolata e coordinata a mini-alloggi per l’affettività ove i detenuti possano vivere, pur in un arco di tempo limitato, una relazione piena con i propri congiunti.
La possibilità di introdurre questa nuova tipologia è stata verificata positivamente sull’assetto di alcuni Istituti esistenti, anche molto diversi fra loro, e sul progetto di un nuovo Istituto previsto a Nola.

Carcere e città

Quest’ultimo progetto – destinato a ben 1.200 detenuti al fine di fronteggiare l’”emergenza criminalità” presente nell’area napoletana – ha prodotto una riflessione approfondita sul rapporto fra carcere e società nella prospettiva riabilitativa proposta. Una prospettiva che, lungi dal riproporre la rimozione ottocentesca della devianza dal tessuto urbano (e finanche dalla vista) – con strutture di grandi dimensioni isolate – induce invece alla predisposizione di una rete di servizi penitenziari distribuiti nei singoli quartieri, trasformandone il confine da barriera a cerniera attraverso la sostituzione degli attuali muri di recinzione impenetrabili con ambienti destinati all’incontro con i familiari e i legali, mirando a coniugare le esigenze di sicurezza con quelle di risocializzazione.

Luca Zevi