Laurea e lavoro
In questi ultimi giorni è stata ampiamente diffusa l’indagine Eurostat sulla disoccupazione dei neolaureati secondo la quale solo circa metà dei laureati lavora dopo 3 anni dal conseguimento del titolo.
Essendo questo primato negativo condiviso con la Grecia, numerosi analisti (fra cui la Fondazione Agnelli intervistata al GR3) puntano il dito sul mondo del lavoro Italiano che non offre reali opportunità a giovani persone formate, unitamente forse ad uno scollamento fra formazione offerta a competenze richieste.
Essendo tirato in causa il mercato del lavoro, la memoria non può non tornare alla dichiarazione del Ministro Poletti sui laureati Italiani. Come abbiamo letto, circa un mesetto fa il Ministro Poletti ha dichiarato che «prendere 110 e lode a 28 anni non serve a un fico, è meglio prendere 97 a 21» (corriere.it). Sulla stampa e sui social si è rapidamente scatenata la diatriba se Poletti avesse torto o ragione, con prese di posizione varie e spesso ironiche “e molto meglio essere giovani, belli, ricchi e in buona salute, piuttosto che essere vecchi, brutti, poveri e malati” o rilevare che il ministro avrebbe risolto il problema alla radice non laureandosi; evidenziando comunque numerosi spunti di riflessione necessari a fronte di una dichiarazione da parte del Ministro del Lavoro sul percorso formativo universitario quantomeno poco circostanziata.
Fra le varie, segnaliamo quella di Lucio Picci, Professore di Economia a Bologna, pensatore, camminatore e blogger che facciamo nostra: “.. il voto di laurea conta. Innanzitutto, in qualche misura riflette la qualità della preparazione. Inoltre, è un segnale positivo circa le caratteristiche e le qualità della persona. L’università è un’istituzione complessa, e alla complessità sarebbe bene portare qualche rispetto, soprattutto quando si hanno responsabilità di governo … Per esempio, evitando uscite che in un certo senso non sono neppure sbagliate, ma sono, ed è peggio, vacue..”. Se non dannose, aggiungeremmo noi, insieme al fatto che la valutazione, in questo caso di un percorso formativo e di crescita umana e culturale, è fondamentale e non possiamo sperare di sbrigarcela considerando una fase cruciale della vita come una seduta dal dentista della quale vogliamo liberarci il prima possibile.
Partiamo da tutto questo e vediamo di dare alcuni numeri dato che il Ministro si è chiaramente ispirato al rapporto “Education at glance” dell’OCSE. Per questo ci serviamo anche di un accurato lavoro di datajournalism. La breaking news del rapporto è stata: “l’Italia è il paese Europeo con meno laureati” nella fascia di età 25-34, il 25% rispetto alla media Europea del 41%. Per le lauree magistrali (quelle che durano 5 anni) la frazione rispetto ai laureati totali è comparabile con quello dei paesi Europei. Il deficit proviene dalle lauree triennali, cioè quelle che dovrebbero fornire un diploma intermedio di accesso al lavoro o di conferma delle capacità di apprendimento. Il deficit è anche maggiore se si tiene conto dei diplomi terziari paralleli a quelli universitari. Si tratta di corsi brevi (2/3 anni) fortemente professionalizzanti, realizzati in varie forme nei diversi paesi, dove hanno un rilievo numerico molto alto. Questo tipo di istruzione è praticamente inesistente in Italia.
Per la durata degli studi invece, il punto cui si riferisce il Ministro, un rapporto di AlmaLaurea ci dice che l’età media della laurea è 26 anni, ma si mostra che negli ultimi 10 anni il numero degli studenti che si laureano in corso aumenta dal 12% al 45% mentre i fuori corso di 3 anni (laureati a 26 anni o più) o più scende dal 50% al 20%.
L’affermazione più grave è forse quella emersa anche in molti media: la laurea, anche presa in tempi ragionevoli, non serve a nulla. Questa affermazione nasce da un dato del documento OCSE: non solo il tasso di occupazione dei laureati italiani nella fascia di età 25-34, cioè la percentuale di quelli che lavorano, è ben più basso della media OCSE (62% contro circa 82%), ma è per giunta inferiore, di poco, a quella dei diplomati 63%.
Quindi la laurea non è un valore aggiunto per la carriera lavorativa? Il rapporto Alma Laurea XVII sulla Condizione Occupazionale dei Laureati dice esattamente il contrario: “I laureati godono di vantaggi occupazionali rispetto ai diplomati sia nell’arco della vita lavorativa sia, e ancor più, nelle fasi congiunturali negative”. Anche rimanendo sul problema dell’occupabilità, i dati di AlmaLaurea mostrano che la crisi ha colpito sia i laureati sia i diplomati, ma il tasso di disoccupazione dal 2007 al 2014 è aumentato dell’8.2% per i primi e molto di più, del 17,7%, per i secondi. La spiegazione è nascosta in una differenza di metodo: mentre l’OCSE calcola il dato sulla fascia di età 25-34 per ambedue i soggetti, Alma Laurea lo calcola, per quanto riguarda i diplomati, nella fascia di età 18-29. Cioè per ambedue nei dieci anni dall’ingresso nel mercato del lavoro e questo sembra più appropriato.
Possiamo certamente dire che i numeri sono, oramai da tempo, allarmanti; e questo è plausibilmente dovuto ad una difficoltà congiunturale del sistema paese che non riesce a coniugare formazione e offerta lavorativa. Ma non è certo abbassando il tiro sulla qualità dell’apprendimento che ne usciremo. Anzi …
Per approfondire:
Eurostat, Employment rates of recent graduates
M. Viola, Ma quindi laurearsi non aiuta nel lavoro, giusto? Sbagliato, Roars
M. Fierli, L’Istruzione Tecnica Terziaria: mancato decollo e scenari per il rilancio
Federico Fierli e Mario Fierli