Il futuro incerto delle scuole serali
Dal decreto che doveva dar vita ad autonomie scolastiche dedicate esclusivamente all’istruzione degli adulti sono passati più di quattro anni. Tutto questo tempo non è bastato per emanare il prescritto regolamento. E neppure, cosa che si sta facendo di giorno in giorno più grave, per definire una qualche scelta alternativa. Dovrebbe essere visto come strategico, questo settore dell’istruzione, considerato l’alto numero di giovani adulti senza diplomi. E anche molto interessante – proprio perché specifico, relativamente piccolo, attraversato da numerose esperienze innovative organizzative e didattiche – per provare a praticare almeno un po’ di quella modernizzazione degli apparati educativi di cui tanto si parla. Ma, al momento, da viale Trastevere non arrivano segnali di alcun tipo.
Eppure bisogna prendere atto che, nel contesto attuale, il modello definito dal decreto del 2007 non è praticabile: perché implica un incremento delle dirigenze oggi impossibile; e anche perché i numeri prescritti per l’ultimo dimensionamento darebbero luogo, almeno nelle aree non metropolitane, ad autonomie poco gestibili per quantità di sedi e di interlocutori. I trienni dei tecnici e dei professionali – che sono il segmento più vitale dei corsi serali – devono infatti obbligatoriamente restare dove ci sono i laboratori. È evidente, d’altro canto, che non fare niente equivale a decidere la progressiva liquidazione dell’istruzione per adulti nella scuola secondaria superiore.
Il perché è presto detto. “Nelle more del regolamento”, infatti, il riordino del secondo ciclo sta arrivando ai trienni. Ciò vuol dire non solo un orario settimanale di 32 ore evidentemente insostenibile per ogni soggetto adulto, soprattutto se lavoratore, ma anche l’impossibilità di attivare quella sia pur parziale flessibilizzazione dei percorsi consentita finora dalle sperimentazioni di Sirio (per i tecnici) e di Aliforti (per i professionali). Abolite entrambe, con fantastica non lungimiranza, da una circolare del 2011.
Ci si può continuare ad arrangiare, certo, come già si è costretti a fare da assegnazioni di organico sempre risicate. Si possono riconoscere come crediti, per alleggerire l’orario, alcune competenze tipiche dell’età adulta (religione? educazione fisica? che altro?), ma bisognerebbe dirci una buona volta che così non è serio. Sono operazioni, queste, che richiedono l’adozione di criteri scientifici e non discrezionali, validi in tutte le scuole di tutto il Paese e basati su precisi standard di riferimento, ricavabili peraltro dalle Linee guida per l’istruzione tecnica e professionale.
Non si possono, comunque, nella rigida sequenza delle tre classi articolate in 2+1 del riordino (e con un calendario scolastico curiosamente identico a quello della scuola primaria) accorciare o anche allungare i percorsi secondo i bisogni degli allievi; sebbene ci sia bisogno di entrambe le opzioni, perché in certi casi le competenze già in possesso sono numerose e in altri – per esempio per i molti studenti di origine straniera – può succedere che manchino anche competenze di base fondamentali, in primis quella linguistica.
Buon senso vorrebbe, insomma, che lasciando per il momento da parte quello che non si può fare, si facesse almeno quello che per l’offerta formativa per gli adulti dovrebbe essere normale. Un’organizzazione didattica non per discipline e per anni scolastici, ma fatta di unità didattiche per competenze, e di tipo modulare. Una valutazione non attraverso scrutini alla fine dell’anno ma basata su modelli di certificazione riconosciuti e validi su tutto il territorio nazionale, e su certificazioni parziali cumulabili. Percorsi formativi flessibili più o meno lunghi secondo i bisogni formativi e i tempi di vita di allievi in età adulta. Un calendario scolastico estendibile anche nei mesi estivi. Un dispositivo di iscrizione che non obblighi persone spesso non in grado di progettare i propri impegni di lavoro e di vita con troppo anticipo a decidere sei/sette mesi prima dell’inizio dei corsi (uno dei fattori, è noto, che spiega il diffuso scarto tra iscritti e frequentanti). C’è, insomma, sul tappeto – se davvero si volesse lavorare allo sviluppo di un’offerta formativa così strategica – un programma di specifiche modifiche, non ancora una volta sperimentali ma ordinamentali, e funzionali alla specificità dell’educazione/istruzione degli adulti.
Con quale/quanto organico, con quali professionalità, con quali responsabilità delle scuole e dei dirigenti scolastici? Può bastare un organico, secondo una proposta già delineata nelle diverse bozze del regolamento, pari al 70% dell’organico del diurno, e costruita sulla serie storica degli “scrutinati” (domani, dei “certificati”)? Probabilmente sì, ma a condizione di un’“autonomia (davvero ) responsabile”, in cui i dirigenti scolastici supportati da commissioni di insegnanti esperti e/o da comitati tecnico-scientifici possano incidere sulla scelta delle professionalità giuste, anche fuori dalle classi di concorso, perché qui servono anche insegnanti tutor, esperti di formazione a distanza, risorse che vengono dal mondo del lavoro e delle professioni.
In un settore fatto di pochi numeri e con tutta evidenza molto specifico, si potrebbe cominciare a sperimentare quello che prima o poi si dovrà sperimentare anche altrove: puntando sull’autonomia scolastica, nella gestione e nel reclutamento almeno di una parte del personale, anziché su una riconferma del centralismo statale contro le dinamiche di un regionalismo disgregante. Analogamente, qui meglio che in altri settori del sistema dell’istruzione si possono cominciare a richiedere/riconoscere delle specificità di orario, tempi di lavoro, calendari scolastici. Gli insegnanti dell’educazione degli adulti, a partire dai CTP, sono i primi a sapere che le classi di concorso, i tempi di lavoro, l’organizzazione didattica tradizionale sono una gabbia rigida, che non consente un’offerta formativa adeguata alle caratteristiche e ai bisogni dei suoi destinatari. E che infatti deve essere e viene continuamente aggirata, dove c’è deontologia e passione professionale.
Che cosa ne è della promessa, finora mai realizzata, di almeno un’autonomia scolastica per provincia dedicata esclusivamente all’istruzione degli adulti, di un “polo” capace di informare/orientare, costruire reti, promuovere collegamenti e convenzioni tra la scuola per adulti del ciclo di base comprensivo del biennio e i trienni?
Non dovrebbe suonare provocatorio, neppure nella stretta attuale della spesa pubblica, tornare a ragionarci.
Fiorella Farinelli