Per una nuova formazione degli ingegneri

Un esempio dell’utilizzo del pensiero laterale riguarda un fatto realmente accaduto a una famosa multinazionale di cibi per bambini. Negli anni Sessanta essa lanciò un nuovo prodotto rivolto al mercato di un paese africano che aveva estremo bisogno di cibo per bambini, ma le vendite non riuscivano a decollare. I dirigenti, usando dei processi di pensiero lineare/verticale, ritennero che il prodotto non fosse stato promosso abbastanza e stabilirono di intraprendere ulteriori campagne pubblicitarie, senza, comunque, venirne a capo. Erano sul punto di abbandonare il progetto. Ed ecco la soluzione trasversale: cambiare le etichette! La questione si risolse infatti prendendo atto che nella cultura della popolazione locale, prevalentemente analfabeta, i prodotti alimentari venivano presentati con etichette raffiguranti il loro contenuto. Dal momento che l’azienda pubblicizzava le sue pappette mostrando un bambino sorridente, non avrebbe mai potuto convincere nessuno a nutrire i propri figli con carne di bambino! Disegnando sulle etichette mucche, vitelli, pollo… le pappette andarono a ruba.

1. L’ingegnere e il pensiero laterale: una prospettiva da costruire. Superando i programmi di ricerca che riconducono la pluralità delle caratteristiche delle intelligenze a costrutti bipolari – quali, appunto, pensiero lineare/verticale vs pensiero laterale – le neuroscienze ci spingono oggi a pensare alla mente come il luogo della presenza e dell’azione di una pluralità di intelligenze, con caratteristiche e processi operativi diversificati, relativamente autonome tra loro, che è possibile sviluppare con adeguati strumenti formativi.

Da questo punto di vista l’intelligenza ingegneristica, in quanto lineare/verticale, si propone come caratterizzata da:
• approccio analitico ai problemi
• priorità del principio di applicabilità
• uso privilegiato di procedure di problem solving

Il pensiero “laterale” presuppone, invece, l’abbandono di tutto ciò che sembra ovvio e scontato per lasciare libertà di pensiero al fine di trovare una soluzione brillante, al fine di arricchire la nostra creatività. È possibile identificare quattro fattori critici associati al pensiero laterale:
• riconoscere le idee dominanti che polarizzano la percezione di un problema
• cercare maniere differenti di guardare le cose
• allentare il controllo rigido del pensiero lineare
• usare ogni chance per incoraggiare altre idee

Da questo punto di vista rimodulare la formazione degli ingegneri in senso della mente laterale significa introdurre competenze di:
• intuizione
• pensiero globale
• pensiero progettuale
• capacità di pensare nuovi quadri di interpretazione degli oggetti

2. Una questione di formazione. Pensando alla formazione come processo globale, possiamo delineare un modello di sistema delle competenze articolato in tre aree:
• area delle attitudini e delle competenze socio relazionali
• area delle competenze trasversali/di base
• area delle competenze tecnico/professionali

Nell’area delle attitudini e delle competenze socio-relazionali comprendiamo l’attitudine al nuovo, alla qualità, alla capacità di lavorare in team, sempre più decisiva nella pratica professionale del laureato in ingegneria impegnato in aziende, molto spesso di piccole e medie dimensioni, coinvolte nelle trasformazioni dell’economia globale.

Il potenziamento della formazione delle competenze chiave e delle competenze trasversali ha la funzione di far sì che le competenze specialistiche siano costruite su una piattaforma sufficientemente ampia, dinamica, flessibile, ancora sensibile alle caratteristiche euristiche delle intelligenze performative delle competenze trasversali e di base, togliendo l’ingegnere dagli spazi angusti dell’iperspecializzazione. Esemplare sembra da questo punto di vista il Decreto Ministeriale 31 ottobre 2007 che riconduceva Medicina e Chirurgia, in tutta la complessità di articolazioni che oggi la medicina conosce, a una sola Laurea magistrale – due se si considera odontoiatria – mentre articolava ingegneria in 16 lauree magistrali.

3. I descrittori europei del titolo di studio: una possibile risposta? Va in questo senso l’adozione dei descrittori del titolo di studio definiti a Dublino nel 2006. Essi, infatti, articolano e definiscono un panorama completo e complesso di conoscenze/competenze. Possiamo prendere ad esempio i risultati di apprendimento attesi dal corso di laurea magistrale in ingegneria dei sistemi edilizi formulati dal Politecnico di Bari.

In realtà già qui sembra esserci una via d’uscita al pensiero semplicemente verticale dell’ingegnere. In modo più analitico:
• le capacità di apprendimento declinate come capacità di ricerca autonoma e interdisciplinare fondano sia la dimensione euristica sia la prospettiva plurale e multidimensionale delle possibili competenze dell’ingegnere
• l’autonomia di giudizio costruisce un profilo di ingegnere capace di governare anche situazioni indecidibili, non computabili, con evidente riferimento all’elemento euristico e non algoritmico
• la capacità di conoscere, rielaborare le conoscenze e trasferirle, nel sottolineare l’elemento di sperimentalità presente nella ratio dell’ingegnere, confermano i paradigmi di ricerca, indecidibilità e di decisioni anche arbitrarie
• le capacità comunicative sono la via d’uscita dalla fragilità, già evidenziata, dell’ingegnere nel campo della intelligenza emotiva e sono presenti anche nella dimensione di apprendimento cooperativo dell’autonomia di giudizio.

A partire da questa solida base comune di conoscenze/competenze credo sia possibile porsi la questione di un ricompattamento quantitativo delle lauree magistrali in ingegneria anche da un punto di vista dei saperi professionali, del knowledge, valorizzando, ancora una volta, quanto essi hanno di comune e trasversale. Forse, vale la pena ricordare, come criterio regolativo generale, i tre grandi ambiti – ingegneria civile e ambientale, ingegneria dell’informazione, ingegneria industriale – che il già citato Decreto ministeriale del 2007 riconosceva a livello di lauree triennali. Ma questo è compito che solo le facoltà di ingegneria possono affrontare, forse scoprendo, alla fine, che anche per la pluralità degli oggetti dell’ingegneria vale il principio generale secondo il quale “la complessità è nel codice e non nella natura delle cose”(1).

(1) J. L. Le Moigne Progettazione della complessità e complessità della progettazione, in G. Bochi, M. Ceruti La sfida della complessità, Feltrinelli, Milano 1997, p. 89

Eugenio Bastianon