L’etica pubblica della responsabilità fa capolino da un tweet
L’In piena pandemia Covid-19 tre ragazzini giocano a pallone in un giardinetto condominiale e un tiro maldestro va a colpire una pianta ornamentale, danneggiandola. Il proprietario della pianta racconta la vicenda a un condomino e gli mostra soddisfatto il biglietto «Scusi per la pianta», firmato dall’undicenne calciatore e lasciato insieme a una banconota del valore di cinque euro, come risarcimento del danno.
Il condomino in questione è il professor Giovanni Grandi, docente di Filosofia morale presso l’Università degli Studi di Trieste, saggista e tra i fondatori dell’iniziativa Parole O_Stili per la promozione della non-violenza comunicativa nel web[1]. L’episodio cattura immediatamente la sua attenzione e diventa oggetto di un tweet, che in poche ore riceve oltre 15.000 like: un microepisodio di sussulto etico, che gli fornisce anche lo spunto per scrivere nove lezioni di etica pubblica, appena date alle stampe[2]. L’episodio è giudicato dal docente degno di aprire in maniera esemplare anche il suo corso accademico di etica pubblica, perché un ‘caso’ è sempre di grande aiuto per entrare nelle questioni morali.
Questa vicenda diventa così il pretesto per parlare delle difficoltà che ogni individuo – giovane o adulto che sia – può incontrare nel mettere la faccia e una firma su un errore commesso, della forza interiore necessaria ad assumersi sempre e comunque le proprie responsabilità e dell’importanza di trovare una modalità per riparare un danno, che può aver causato, anche accidentalmente, dolore o disagio a qualcuno.
In altri termini si sottolinea che l’etica non è soltanto una questione di decisioni e di gesti, ma anche di sensibilità, di percepire affettivamente ciò che può toccare l’altro, non soltanto oggetti preziosi con cui l’altro ha stabilito un legame affettivo, ma anche tutto ciò che può stare a cuore in termini di ricordi, attese, vissuti e desideri. La responsabilità si accende proprio nel momento in cui si è disposti a lasciarsi toccare da ciò che sta colpendo l’altro, causandogli tristezza o sofferenza. Proprio come il ragazzino ha percepito che qualcuno a quella pianta doveva essere affezionato e ha agito di conseguenza.
Allargando lo sguardo, è possibile intraprendere una riflessione ancor più generale sul tema della responsabilità, puntando l’attenzione su comportamenti diffusi, come per esempio la pretesa di richiederla agli altri quando siamo nella posizione di vittime, o ancora, l’autoassoluzione per un danno di cui si è autori, invocata soltanto per aver subito a propria volta un danno analogo nella vita.
E non c’è d’altra parte soltanto il gesto individuale di responsabilità, ma anche la responsabilità collettiva: va cioè avvertita e soppesata l’importanza cruciale del sostegno dei pari in tali occasioni, in quanto è noto che il consenso o il dissenso dei pari può incidere in maniera determinante sul comportamento del singolo. Altro è se il gruppo assiste indifferente e volta la testa dall’altra parte, o se piuttosto prende posizione nei confronti di atteggiamenti che giudica negativi e malvagi, se emerge una cultura collettiva di biasimo verso gesti di bullismo o comportamenti discriminatori. Per questo i più recenti studi sulle dinamiche di gruppo si concentrano proprio sulla figura dei bystander, sulla fiducia che una presa di coscienza marcata e collettiva possa smuovere dall’indifferenza chi si trova nella posizione dello spettatore e rappresentare un elemento di protezione per chi viene bersagliato. Una responsabilità collettiva come leva e strategia di contrasto a fenomeni di bullismo sempre più dilaganti, a insulti, offese, umiliazioni e provocazioni in presenza o via social, a danno dei soggetti più fragili, presi di mira con parole discriminatorie e immagini offensive, che feriscono tanto quanto le botte.
Ne scaturisce un appello per un’etica pubblica della responsabilità, che non rimanga una lezione teorica e libresca, ma possa coincidere in un rapporto vivo tra generazioni, in cui gli adulti siano capaci di attivare il senso di responsabilità nei più giovani.
La «nuova utopia educativa» – di cui scrive Gustavo Pietropolli Charmet nel suo ultimo saggio[3]– fa sì d’altra parte che spesso, secondo i genitori , il bambino non abbia più bisogno di un inflessibile confronto con l’universo delle regole e ciò porta inevitabilmente con sé «l’evaporazione del senso di colpa», inteso come preoccupazione di poter nuocere o aver nuociuto all’altro con il proprio comportamento.
Questa interessante autobiografia professionale di uno dei più stimati psichiatri e psicoterapeuti italiani offre al lettore un ulteriore orizzonte di analisi sugli affetti e i sentimenti degli adolescenti e sul generale dilagare nella società contemporanea di una tendenza a dimenticare la legge morale e il rigore dell’etica, che mina alla base una moralità sociale e condivisa.
La scuola e gli insegnanti si trovano ogni giorno in prima linea per dare testimonianza di lessico civile e per concorrere alla costruzione di un’etica pubblica della responsabilità e della solidarietà, obiettivo prioritario e ineludibile dell’educazione civica in ogni segmento dell’istruzione.
[1] https://paroleostili.it/; https://www.educationduepuntozero.it/racconti-ed-esperienze/disarmare-il-linguaggio-buone-pratiche-di-comunicazione-non-ostile.shtml
[2] G. Grandi, scusi per la pianta. Nove lezioni di etica pubblica, UTET, 2021.
[3] G. Pietropolli Charmet, Il motore del mondo. Come sono cambiati i sentimenti, Solferino 2020.
Rita Bramante Dirigente scolastico dell’istituto comprensivo Cavalieri di Milano