Pandemia, scienza, filosofia dell’ecoappartenenza

I primi giorni di scuola hanno messo ogni docente di fronte alla necessità di spiegare ai ragazzi qualcosa in più sulla pandemia di quanto essi non possano approfondire altrove; un ‘in più’ che non è certo quello estensivo di aggiungere notizie a notizie o, ancora peggio, predica a predica, ma che invece deve essere l’analisi puntuale dei concetti che, in maniera organica, vadano  nella direzione di costituire una persuasione psicagogica in cui dalla sapienza discenda la saggezza nei confronti di un  virus che sembra aver bloccato il mondo contemporaneo. 

Le parole del viro-logo, dell’epidemio-logo, del bio-logo, del fisico, del socio-logo e dello psico-logo (figura che deve sempre più affiancare quella del fisiologo nel contrasto ai timori e ai traumi individuali e collettivi  che questo momento si generano nella popolazione) sembrano non avere quell’incidenza completa che esse dovrebbero assumere di fronte all’opinione pubblica mondiale; l’opinione (doxa), appunto, che crede di poter sollevare dubbi e sfiducie nei confronti di chi studia nel segno del logo, della ragione (logos). È un clima, quello della sfiducia nella scienza, che nel mondo contemporaneo si accompagna sempre di più a quello della sfiducia nella politica e, in specie, nelle democrazie parlamentari. Ma stiamo al tema. La prima esigenza infatti che si pone di fronte a un docente che debba parlare a ragazzi della pandemia non può eludere un discorso che innanzitutto riaccrediti la scienza e ne spieghi, anche per esigenze didattiche, il paradigma. 

Matematica e osservazione

Se, già nell’antichità, Pitagora e Democrito avevano parlato della risoluzione della realtà e della sua conoscenza nei numeri e negli atomi e la stessa medicina greca aveva posto un accento fondamentale sul momento dell’osservazione come momento costitutivo del sapere scientifico (Jaeger), è nell’età moderna, grazie all’opera di Galilei e Newton, che la scienza costruisceil suo modello epistemologico; un modello in cui dal Seicento fino ai giorni nostri si risolve ormai lo stesso logos,  ovvero la stessa ragione a cui gli uomini guardano come fonte di razionalità teorica e anche pratica. Si dice a ogni passo che «la matematica non è un’opinione (doxa)» e dunque, fino almeno alla temperie culturale di qualche decennio fa, si tendeva a prestare fede solo a quelle discipline che avessero costituito la loro razionalità sulla razionalità matematica; di fianco all’adagio secondo cui si ascoltava e si ascolta che «la matematica non è un’opinione» andava e va di pari passo l’altro adagio secondo cui si ascoltavano e si ascoltano le parole per cui «se non vedo non credo». 

Due espressioni diffuse che in fondo testimoniano bene il radicamento popolare della mentalità scientifica che Galilei esprimeva così in una lettera alla regina Cristina di Lorena: «Pare che quello degli effetti naturali che o la sensata esperienza ci pone dinanzi agli occhi o le necessarie dimostrazioni ci concludono, non debba in conto alcuno essere revocato in dubbio». Un’idea che si ripete nella Critica della ragion pura di Immanuel Kant dove il filosofo di Königsberg, intento proprio a strutturare filosoficamente il sapere delle scienze, scrive: «Senza sensibilità non ci verrebbe dato nessun oggetto, e senza intelletto nessuno ne verrebbe pensato. I concetti senza intuizioni sono vuoti, le intuizioni senza concetti sono cieche».  Insomma, dalla riflessione scientifica di Galilei fino alla riflessione filosofica di Kant, passando per una numerosa schiera di scienziati e filosofi, le basi della ragione moderna sembrano appunto essere state risolte nei due momenti della osservazione del dato empirico e nella sua matematizzazione

È questo, quello dell’osservazione dell’esperienza, della riproduzione dell’esperienza e della sua osservazione nell’esperimento, e della finale matematizzazione, il paradigma scientifico dentro cui studiano e operano oggi gli scienziati; e, più specificamente, dentro cui, di fronte al virus, si muovono virologi, epidemiologi, biologi, fisici, sociologi e gli stessi psicologi. Per i ragazzi può essere portato ad esempio il momento scientifico che li ha accompagnati fino dalle prime loro esperienze sanitarie, il momento delle analisi del sangue. Chi non ha visto fin dalla sua fanciullezza il prelievo del sangue? Quel sangue viene aspirato con un ago e finisce dalla siringa alla provetta; è il momento del prelievo e della custodia del dato. Sennonché attraverso il semplice sguardo dell’osservazione empirica di quanto il sangue sia più o meno denso o più o meno rosso noi non possiamo sapere se il nostro organismo è sano o meno; il sangue della provetta deve essere analizzato, ovvero ricondotto a dei parametri numerici che vengono poi rilasciati sul foglio del referto che ci indica appunto qual è il nostro stato di salute. Uno stato che il medico individuerà grazie ai valori dei globuli rossi, dei globuli bianchi, delle transaminasi e così via dicendo. Questa è l’emato-logia, e ci testimonia fin dalla nostra infanzia, quale sia il processo con cui si costituisce il sapere a cui noi crediamo; quel sapere che si costituisce sul prelievo del dato, sulla sua osservazione, sulla sua analisi e sulla sua risoluzione in un paradigma matematico. 

Costruzione  dialogica e comunitaria del sapere

Chi dobbiamo ascoltare dunque oggi sul virus, come abbiamo imparato fin da fanciulli per gli ematologi sul sangue, se non virologi, epidemiologi, biologi e fisici? Ascoltarli anche nelle loro discussioni pubbliche dove sembrano leggere il fenomeno della pandemia con diverse sfumature di interpretazione; questo potrebbe prestare il fianco alle critiche dei cosiddetti ‘negazionisti’ ove essi indicano nelle dispute degli scienziati una testimonianza che toglie la credibilità appunto alla scienza. Sennonché è proprio la filosofia che ci è stata testimoniata dall’intramontabile figura di Socrate che ci dice come la disputa dialogica non invalidi la conoscenza ma sia invece proprio la scaturigine della conoscenza stessa. Da Socrate a oggi infatti è bene precisare che la verità, la ragione, il logos, non è un fatto privato ma il risultato di una discussione polifonica e pubblica. Il chiedere e dare ragione di uno scienziato con l’altro è proprio la via fisiologica che ci ha permesso di costruire e aggiornare il nostro sapere con le sue ricadute pratiche e benefiche per la nostra salute. 

In questo senso, quello della costruzione comunitaria e dialogica del sapere scientifico, si muovono le stesse organizzazioni di ricerca e di attuazione proprio dei programmi di salute pubblica. Che possiamo individuare, a livello mondiale, nell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), fondata fra il 1946 e il 1948 con sede a Ginevra; e, a livello italiano, nell’Istituto Superiore di Sanità (IIS) fondato nel 1934 con sede a Roma; nel più ampio centro di ricerca italiano che è il Centro Nazionale delle Ricerche (CNR) costituito nel 1923 e divenuto statale nel 1945. Sappiamo poi come, con l’inizio della pandemia, il governo italiano abbia istituito il Comitato Tecnico Scientifico (CTS) ai fini di regolare la propria azione nella gestione della pandemia in Italia. Abbiamo citato solo gli esempi più noti e di carattere pubblico così come a fianco a essi indichiamo le due maggiori riviste scientifiche a cui tutti i ricercatori del mondo si riferiscono per la discussione pubblica di ogni teoria che voglia assumere appunto un suo statuto legittimo nel sapere umano: sono Nature, pubblicata fin dal 4 novembre del 1869 e Science il cui primo numero risale al 1880. Qualora dunque vogliamo sapere qualcosa oggi sul Covid-19 è solo nella dimensione scientifica dell’osservazione, dell’analisi (matematica) e della discussione che possiamo orientarci sia in ordine alla conoscenza che ai nostri comportamenti pratici. 

E la filosofia? Cosa ci dice oggi la filosofia qualora essa venga interpellata sul fenomeno mondiale ed epocale della pandemia? Innanzitutto la filosofia invita appunto a stare alle discussioni e alle prescrizioni degli scienziati; sennonché essa non può fermarsi a questo ma, proprio rispetto a quanto ci dicono gli scienziati, si muove, poi, per dare una visione generale, oltreché sulla scienza, sulle stesse idee di natura e di uomo che emergono di fronte ai nuovi scenari. 

Filosofia ed ecoappartenenza

La scienza è concorde nel dire che il virus, con cui oggi siamo alla prese, ha fatto il «salto di specie» (spillover) dal pipistrello all’uomo nei mercati umidi (wet markets) di Wuhan e poi si sia diffuso per l’intera popolazione mondiale; la filosofia dunque ci indica come già nella espressione del «salto di specie» ci sia implicita l’idea che sia il pipistrello che l’uomo non sono altro che specificazioni della natura. Se infatti il virus è potuto passare dal pipistrello all’uomo e da uomini ad altri uomini è evidente che la natura sia una e omogenea quanto alla sua struttura di fondo; che non vi siano esseri naturali viventi che possano godere di posizioni di privilegio, ossia che abbiano una loro privata lex per cui non debbano essere ricondotti al medesimo ordine cosmico. In questo senso la filosofia si è espressa in maniera perentoria fin dalle sue origini e a testimonianza di ciò possiamo chiamare Eraclito che nel suo Frammento 30 scrive: «questo ordine universale che è lo stesso per tutti né un dio, né un uomo lo fece ma sempre è, era, e sarà fuoco sempre vivente che si accedente e si spegne secondo giusta misura». L’incipit del frammento è perentorio nel dire che l’ordine universale della natura di «ciò che viene alla luce», physis, è lo stesso per tutti; e così è stato, era e sarà, senza nemmeno privilegi temporali oltre che di specie, come Leopardi ci dice sulla natura, «dell’uomo ignara e delle etadi», in una dimensione che oltre a essere legislatrice di sè stessa è anche causa della sua stessa esistenza (causa sui). Insomma: l’uomo è, a volerla dire con Spinoza e a sottoscriverla con il «salto di specie» del virus dal pipistrello a noi e fra noi, una particula naturae, una piccola parte della natura; una natura fra le nature. 

Il concetto filosofico con cui innanzitutto oggi dunque la pandemia ci deve riportare a familiarizzare è il concetto dell’umana eco-appartenenza (Franceschelli); dobbiamo rifamiliarizzare con l’idea che non sia la natura ad appartenere all’uomo ma che è l’uomo ad appartenere alla natura; è un concetto caro all’intera filosofia presocratica e che ritorna in autori moderni come Hume e Spinoza, fino all’Ottocento di Feuerbach e di Darwin, per arrivare alla contemporaneità nell’opera di Karl Löwith e segnatamente nel suo Dio, uomo e mondo (1967).  La filosofia che fa dell’umana eco-appartenza il suo baricentro concettuale non vuole certamente ridurre la specificità dell’intelligenza e l’altezza dell’uomo ma vuole ricondurre questa intelligenza e la sua stessa altezza alla filiazione originaria proprio con la natura (Darwin). 

Proprio in questa consapevolezza la mente dell’uomo «parrà la sua nobilitate». Una nobiltà in grado di andare incontro alle altre nature fino a riconoscere «l’intelligenza delle piante» (Mancuso),  in un canto dei cantici della filosofia e del logos che possa correggere, esso sì e non i deliri negazionisti, quella scienza e quella tecnologia che pensino, in questa nuova era che è stata battezzata come antropocene – ovvero quella della capacità di homo faber  di trasformare la natura nel macrocosmo che lo circonda fino al microcosmo genetico di cui è costituito –,, a un’onnipotenza dell’uomo sulla natura.  Quella presunta onnipotenza che ci porta a edificare in zone sismische e vulcaniche; a sbilanciare i nostri rapporti con gli altri esseri viventi come gli animali e le piante; a emettere nell’atmosfera tonnellate quotidiane di anidride carbonica e a sbilanciare la biochimica  dentro cui si mantiene la salute e la vita stessa dell’uomo; che ci porta, per venire alla quotidianità più stringente, a violare le condizioni della nostra stessa sopravvivenza nel sistema naturale in una mascherina relegata sul gomito. 

————————  

Jaeger, Paideia. La formazione dell’uomo greco, trad. it di A Setti, Firenze 1954
Giannantoni (a cura di) I Presocratici. Frammenti e testimonianze,  Roma Bari 1979
Galilei, Opere, a cura di F. Brunetti, Torino 1996 
Kant, Critica della ragion pura, a cura di Pietro Chiodi, Torino 1967
Spinoza, Ethica more geometrico demonstrata, a cura di E. Giancotti, Roma 1995 
Franceschelli, Elogio della felicità possibile. Il principio natura e la saggezza della filosofia, Roma 2014
Lowith, Dio, uomo e mondo, a cura di O. Franceschelli, Roma 2000  
Darwin, L’origine dell’uomo, a cura di G. Montalenti, Roma 2006
Mancuso, Verde brillante. Sensibilità e intelligenza nel mondo delle piante, Firenze 2015

Giuseppe Cappello docente di filosofia e storia Liceo Statale Maria Montessori Roma