La scuola fra ragione ed emozione
In vista di una prossima pubblicazione, riguardavo gli articoli che, un po’ all’antica, ritaglio e conservo, quando me ne è apparso uno piuttosto interessante e di stimolo a una riflessione scritta. Si tratta di un pezzo, pubblicato su ‘la Repubblica’, con cui Marco Lodoli, ha polemizzato contro la scuola in cui tutto è ridotto a emozione e si stanno perdendo invece i fondamentali dell’impegno, della serietà e della concentrazione. Lodoli scrive che è arrivato a queste conclusioni dopo una attenta osservazione sul campo. E non vi è dubbio. Probabilmente, però, la “scuola delle emozioni” in cui si perdono le coordinate della didattica ha cominciato a generare una certa inquietudine nell’autore dell’articolo, anche sull’onda emotiva della ripulsa per la nuova letteratura televisiva e romanzesca che sta fiorendo sulla scuola. Fiction e best-seller della grande distribuzione, prodotti da autori improvvisati e sostenuti, più che dal valore e dal sudore, dalle stesse forze che sono dietro alla grande macchina dell’inganno mediatico delle nuove generazioni, devono aver accelerato in Lodoli il senso di repulsione per la “scuola delle emozioni”.
È una repulsione e una preoccupazione che condivido. Sennonché penso che il “ritorno ai fondamentali” che invoca Lodoli non possa non passare anch’esso attraverso il momento dell’emozione; e penso che non si debba contrapporre una scuola della ragione a una scuola dell’emozione. Per diversi motivi: non bisogna, a mio avviso, lasciare il monopolio dell’emozione a chi sfrutta questo potente veicolo comunicativo per mirare solo alle pance; complementarmente, quindi, è un bene che la stessa emozione sia educata nei giovani ad andare verso il pensiero e non verso gli istinti più bassi; infine, ritengo impossibile che ci possa essere qualcosa capace di conquistare le nostre menti senza la forza delle emozioni.
Più che a una rimozione o a una condanna tout court delle emozioni, dunque, penso a una educazione delle emozioni. E per questo ci vuole molto lavoro, molta dedizione, a volte abnegazione … e una (in)sana emozione. In fondo, lo stesso Lodoli, nel suo articolo si richiama al senso fondamentale della musica come “sintesi di precisione e di sensibilità”. Ecco, non si può lasciare la sensibilità nelle mani di chi la voglia usare per confondere i giovani, per ammaestrarli al caos piuttosto che alla sinfonia. Sarebbe un errore letale innanzitutto, lo ripeto, dal punto di vista didattico.
È Baruch Spinoza, forse il maggiore esponente dell’Illuminismo europeo, che ci rende in questo caso accorti rispetto a una logica della trascendenza fra logos e pathos. E che ci indica in questo senso la via maestra, laddove scrive che «la virtù non può sconfiggere la passione se essa stessa non è al fondo passione della virtù».
Un pensiero sotto cui si può leggere la stessa firma di quello che è stato probabilmente il più grande maestro della cultura occidentale, il “padre” della filosofia, che ha dato voce a Socrate: sotto il luminoso cielo della “scuola dell’Ellade”, egli pensava a come ogni individuo fosse attratto irresistibilmente verso il sommo bene quando la mente lo avesse individuato anche come il piacere più alto.
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Giuseppe Cappello