Riflessioni per una cultura della pace
Iniziata l’invasione dell’Ucraina da parte delle truppe di Putin, siamo rimasti traumatizzati, increduli, impauriti, confusi. Ci siamo chiesti che cosa avesse senso pubblicare sulla rivista che segnasse questo evento così radicale e, solo per certi versi, imprevedibile. Quali sono gli effetti di questo cambiamento di scenario futuro per la scuola, per l’educazione delle giovani generazioni?
Parto dalle mie prime reazioni: mi sono sentito troppo ignorante per poter capire bene cosa stava succedendo, solo gradualmente con molta attenzione alle cronache giornalistiche e con qualche lettura di approfondimento ho cominciato a percepire lo spessore storico di un processo di cui vediamo ora un epilogo ma che affonda le sue radici in vari eventi del passato che hanno lasciato un segno sia sulle pietre di quel paese sia nel carattere resistente di una popolazione a me sconosciuta ma non estranea. In questi giorni ho scoperto la geografia di uno Stato fin qui genericamente accomunato a tanti altri designati solo come ex Unione Sovietica. I combattimenti di questi giorni segnano la geografia e la storia, l’economia, la cultura, la ricchezza e la povertà di un territorio vasto che si trova al centro di autentiche faglie tra civiltà (antichi imperi) molto diverse storicamente in contrasto, (oriente, occidente e sud) esattamente come è accaduto e accade all’Afghanistan assurto al ruolo di contraddizione al confine tra sistemi politici ed economici in conflitto. Sarebbe molto più semplice se tutto si spiegasse come la paranoia di un tiranno, se si vuol capire occorre attrezzarsi con strumenti conoscitivi complessi capaci di coniugare geografia, storia, economia, arte, letteratura, musica, religione.
Mi sono sentito impreparato, ignorante dal punto di vista conoscitivo, ma anche incapace di sopportare lo stress e l’angoscia generati dalla paura dell’irreparabile, del mostro della devastazione e della morte inflitta a intere popolazioni senza alcun riguardo all’età, al genere, alle posizioni politiche. La paura scatenata dalla crudeltà delle pene inflitte a tanti esseri umani simili a noi, la paura degli effetti economici diffusi di un conflitto che non ha più confini limitati, la paura per il futuro dei bambini di tutto il mondo destabilizza un anziano come me e immagino che abbia effetti analoghi anche sui giovani a meno che i tanti traumi inflitti dal Covid e dalle varie guerre guerreggiate in giro per il mondo abbiano anestetizzato precocemente i giovani e ciò sarebbe ancora più preoccupante.
Quali saranno gli effetti sul nostro sistema educativo? Nell’immediato e in prospettiva, cosa fare, come cambiare? E’ forse banale rispondere che la scuola deve fornire strumenti conoscitivi per capire ciò che accade, attrezzare ogni cittadino degli strumenti per continuare ad apprendere e ad approfondire lungo tutto il corso della vita perché la storia ci riserva continue novità e interrogativi inediti, occorre attrezzare ogni cittadino con personalità ricche e solide in grado di reagire positivamente all’incertezza che la vita del singolo e della società riserva. Ciò che stiamo vedendo in queste ore è che la scuola, dagli asili alle università, è un corpo vivo capace di reagire alimentando la speranza che da questa situazione di guerra si possa uscire prima o poi; ma le reazioni emotive non bastano anzi possono essere pericolosamente orientate a creare nuovi pregiudizi e sentimenti carichi di odio e di aspettative vendicative, cioè possono alimentare il fuoco che vorrebbero spegnere. La reazione emotiva perché abbia un effetto positivo necessita di una visione, di una prospettiva più lunga perché i giovani attuali vivranno in un mondo che sarà influenzato dagli accadimenti di questi giorni.
Riflettendo con la redazione su tutto questo ci è tornato alla mente l’impegno di Aldo Visalberghi il quale, nell’ambito del dibattito sull’educazione alla pace, sul finire degli anni 80, alla vigilia della caduta del muro di Berlino, aveva scritto alcuni saggi proprio su una pedagogia del pacifismo. Ricordavo di averli letti e una rapida ricerca su internet li ha riportati alla luce.
(link1) Visalberghi, A., Che cosa significa educare alla pace?, in Scuola e Città, XXXVII, 9, Firenze, La Nuova Italia, 1986, pp.410-413.
(link2) Visalberghi, A., Considerazioni critiche sull’educazione alla pace in Pace, diritti dell’uomo, diritti dei popoli, anno I, numero 1, 1987
Aldo Visalberghi fu un partigiano combattente, non era un militante pacifista e pensava che si potesse combattere in guerra per la pace. Nei due articoli che qui riproponiamo, Visalberghi sostiene che l’educazione alla pace sia di fondamentale importanza per la costruzione di un futuro più umano ma mette in guardia dall’idea che ciò possa appesantire il curricolo con nuove attività specifiche. I testi di cui proponiamo la lettura sono molto ricchi e complessi e di grande attualità anche se il panorama geopolitico del 1986, a cui questi risalgono, era soprattutto segnato dall’equilibrio del terrore della guerra atomica tra due blocchi contrapposti. Da trent’anni viviamo in un mondo multipolare, tuttavia proprio in questi giorni il terrore della guerra nucleare si è riaffacciato nelle nostre vite.
Pensiamo che la lettura dei due articoli possa ispirare i docenti che volessero riflettere sul da farsi a scuola in questa nuova gravissima emergenza.
La rivista è aperta ad accogliere testimonianze, riflessioni, esperienze, proposte che alimentino positivamente la reazione emotiva e l’impegno di queste settimane di una scuola in tempo di guerra.
Raimondo Bolletta già dirigente scolastico membro della redazione