Recensione Atlante delle riforme (im)possibili
Atlante delle riforme (im)possibili[1] è l’ultimo libro di Giancarlo Cerini, uscito a pochi mesi dalla sua scomparsa. A curare la pubblicazione dei materiali trovati sulla scrivania di Giancarlo (che nonostante la grave malattia ha lavorato fino all’ultimo), sono stati la moglie Loretta e un gruppo di collaboratori. Il volume di 383 pagine è diviso di tre parti. Nella prima parte 20 schede individuano altrettanti temi prioritari, alcuni dei quali sono oggetto anche degli investimenti e delle riforme del PNRR. Nella seconda parte ognuno dei 20 temi è sviluppato con approfonditi commenti. Seguono nella terza 20 Data Base costituiti da documenti, tabelle e grafici che illustrano ciascun tema. Un programma ordinato e convincente di interventi sulla scuola apparentemente distinti ma animati da un unico e riconoscibile disegno riformatore, un tratto ormai rarissimo nella discussione attuale sulla scuola. La prima domanda di chi legge è però quale sia il senso di quell’(im)possibili che compare nel titolo. Risposte, e distinguo, sono nell’introduzione e nella conclusione, testi asciuttissimi che danno conto sia del profilo pragmatico del riformismo di Cerini sia del significato della sua immagine allegorica della riforma della scuola come di una ballata popolare. Ballata popolare non è solo un provvedimento legislativo o amministrativo, significa un processo condiviso e a più voci (con molti “cantautori”), una musica corale che si propaga per anni e talora decenni, una presa emotiva che trascina e trasforma protagonisti, destinatari, opinione pubblica, domanda sociale. Missione impossibile, allora (almeno in questa fase) prendere di petto le riforme ordinamentali relative alla struttura e alla durata dei cicli. Cerini spiega che la presa emotiva oggi proprio non c’è, che la scuola appare insofferente rispetto ai grandi disegni strategici e che gli insegnanti, finita la luna di miele con i soggetti politici tradizionali, sono piuttosto in attesa di gesti concreti che restituiscano centralità all’istruzione pubblica. Ma c’è di più. La struttura dei cicli, prodotto di una storia di molti decenni, ha dato vita anche a una geografia di insediamenti sofisticata e capillare, e una smentita di questo ecosistema, con gli inevitabili contraccolpi sull’uno o l’altro dei suoi segmenti (e senza certezza di effettivi miglioramenti), non sarebbe possibile: e così in effetti è stato quando si è tentato di farlo”. E’ indispensabile allora scegliere un approccio cauto, concentrandosi su interventi specifici sul ciclo di base e sul ciclo superiore, ma con chiare finalità e aggiustamenti compatibili. Nel caso, per esempio, della secondaria di II grado, invece che ridurre di un anno il percorso quinquennale, Cerini suggerisce uno schema 4+1, con la finalizzazione del quinto anno a percorsi di preparazione all’università, all’alta formazione, alla specializzazione per il lavoro (e riconversioni professionali allo scopo dei 50.000 insegnanti che perderebbero gli insegnamenti ordinari).
Ma il rischio dell’(im)possibile sembra riguardare in verità anche gli interventi descritti nelle schede. Non è però con analisi politiche che ne vengono spiegati i motivi. A rivelare le preoccupazioni sulla consistenza del rischio, soccorre l’ironica finzione narrativa sul fortuito ritrovamento, nel parco di villa Pamphili sede degli Stati Generali sulle politiche necessarie all’Italia, di un plico di proposte sulla scuola smarrito dal dottore Colao. Del ruolo dell’istruzione e dell’educazione nella rinascita del Paese, questo è il senso, i decisori se ne dimenticano, non ci credono, lo perdono per strada. E’ proprio qui, allora, la sfida dell’Atlante, nel mostrare l’urgenza, la fondatezza, la fattibilità delle trasformazioni che servirebbero. Nel far diventare possibile ciò che oggi sembra essere fuori dall’orizzonte delle decisioni prioritarie, mostrando – come nelle venti schede tutte corredate di obiettivi e di coperture finanziarie possibili – perché si deve fare, come e con quali risorse. Da riformista autentico qual è sempre stato, Giancarlo non è di quelli che rinunciano alla radicalità dell’analisi. Nella parte dei commenti, ciò che nella scuola non va non dà mai luogo a rappresentazioni giustificazioniste o accomodanti. Dell’autonomia, per esempio, l’ultima delle grandi riforme, non ci sono remore alla denuncia dei troppi casi di interpretazione autarchica, con pratiche ai limiti della competizione, persino nella pandemia quando ci si sarebbe aspettati tutto il contrario. Stessa franchezza sull’inclusività, a proposito dei gravi effetti dell’enfasi quantitativa (il monte ore del sostegno) che nega le esigenze di specializzazione e il bisogno, per ambienti di apprendimento efficacemente inclusivi, di altri apporti educativi e professionali. Persino a proposito del tempo pieno, di cui pure si propone il rilancio in tutto il ciclo di base, è netta la presa di distanza dai modelli che lo fanno troppo pieno di solo apprendimento scolastico, e troppo incapace di tempi distesi per la narrazione, l’ascolto, il gioco, lo studio individuale, lo sviluppo delle inclinazioni. Riformare, oggi, non è né distruggere né tornare a modelli nati cinquant’anni fa. Il Cerini di sempre insomma. Capace, per profondità pedagogica, conoscenza della scuola italiana e della sua storia, stile comunicativo, di trasmettere l’importanza e la concreta possibilità di una scuola molto migliore di quella che abbiamo.
[1] Giancarlo Cerini. Atlante delle riforme (im)possibili, Tecnodid 2021
Fiorella Farinelli Politica e saggista, docente esperta di istruzione e formazione, componente dell’Osservatorio nazionale per l’Integrazione degli alunni stranieri