Narrare i luoghi della Memoria
Recenti disposizioni legislative nazionali e regionali istituiscono un fondo destinato a finanziare le visite delle scuole superiori nei luoghi della Shoah. In occasione del primo via libera a questo Disegno di Legge a Palazzo Madama si è alzato toccante e deciso in aula il monito di Liliana Segre: “Io prego e imploro: andate a Lucca, a Gallipoli, in montagna; ad Auschwitz non si fa la gita, a Auschwitz si va in silenzio, come quando il 2 novembre una famiglia affezionata ai suoi morti va al cimitero. Con vestiti adeguati, a testa bassa, come in un santuario, anche laicamente, magari avendo saltato la colazione del mattino”.
Il rischio evidente è quello di cadere in rituali collettivi, che si ripetono ogni anno, svuotandosi progressivamente di senso. La sacralità di questi luoghi, dove l’uomo ha esercitato violenza e tortura, non può essere affrontata entrando in gruppo come in luoghi turistici, intenti a farsi selfie sui binari e a ascoltare musica con gli i-phone. Sulla soglia dei «paesaggi contaminati» è doveroso sostare: «Per decontaminare un paesaggio la prima cosa da fare è accantonare la spavalderia di chi pensa di sapere il fatto suo, dove nemmeno chi c’è stato è riuscito a rispondere alla domanda estrema: “Perché?”», esorta lo storico e letterato Alberto Cavaglion in un recente saggio[1].
Liliana Segre, che con vigile pensiero critico e con il suo esempio di forza etica e impegno civile, ha saputo per decenni generare anticorpi contro il male, alza la sua voce contro la violenza dei pregiudizi e delle discriminazioni, contro l’indifferenza e quell’odio razziale, che non si è mai spento e che è anzi risorgente nelle società democratiche. Lo testimoniano con evidenza le indagini conoscitive promosse dalla Commissione parlamentare straordinaria fortemente voluta proprio dalla Senatrice, per contrastare i fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza.
Oggi, però, a novantatrè anni, sotto scorta per gli attacchi degli hater, mentre è in corso il drammatico conflitto tra Israele e Palestina, Liliana appare pessimista verso il futuro e teme che, quando gli ultimi sopravvissuti non ci saranno più, sulla Shoah “sarà tirata una riga”. Di fronte al pessimismo che la pervade, continua però a coltivare almeno la speranza “che i giovani di oggi siano capaci di fare la scelta”.
Dispiace, in effetti, constatare che, nonostante la mobilitazione volonterosa che si è avuta nelle scuole per fare politiche della memoria, siamo di fronte a un quadro devastante di razzismi: sarebbe certamente ingrato attribuirne responsabilità a chi si è impegnato come sentinella della memoria, ma è doveroso prendere atto che qualcosa non ha funzionato.
Si è forse prodotto un effetto di saturazione, con il rischio di una sorta di retorica della memoria, e prenderne coscienza può costituire l’occasione per ragionare su come continuare a operare a favore di una cultura della memoria, una memoria di previsione, aperta a domande sul futuro.
Questa funzione critica della memoria non consiste semplicemente nel ricordare e mantenere il passato, ma nell’impegno a prevedere il futuro secondo obiettivi di cittadinanza, attraverso l’elaborazione di ciò che è già accaduto[2].
Ora che sta finendo l’era dei testimoni[3], sapere e ricordare è un dovere civico, che può continuare a realizzarsi facendo parlare i luoghi, addentrandosi con consapevolezza nei paesaggi, come contesti educativi in cui le memorie drammatiche del passato si sono condensate e stratificate. I luoghi non parlano di per sé, siamo noi mediatori tra i visitatori e i luoghi – architetti e paesaggisti della memoria, insegnanti e guide – che dobbiamo con cautela e sforzo pedagogico trovare il modo di narrarli, di farli parlare attraverso la mediazione delle parole giuste, del racconto di vicende collettive e vicissitudini di singoli, dei libri che si sostituiscono alla voce diretta delle testimonianze, della riflessione storica e anche delle arti figurative, che quei luoghi hanno descritto.
Questo vale per tutti i luoghi, non soltanto per i campi di concentramento in Polonia, Austria e Germania, ma anche per i più familiari luoghi di prossimità, per quanto piccoli e poco noti: stazioni, case, carceri di provincia, piazze dove avvennero impiccagioni, tavole del ricordo, lapidi di eccidi e deportazioni, che la natura spesso sta già nascondendo, luoghi in parte dimenticati che meriterebbero, invece, di essere valorizzati[4].
Il Centro Relazioni Interculturali dell’Università Cattolica, diretto da Milena Santerini, da anni si interroga su questi temi e offre a insegnanti e operatori momenti di approfondimento e formazione, promuovendo la tessitura instancabile di una rete di collaborazione tra i luoghi della Memoria della Shoah in Italia, che lavorano con strumenti diversi, ma tutti nella stessa direzione, per contrastare pregiudizio, antisemitismo e discriminazione e per rispondere al rischio dell’indifferenza, che è la necessaria chiave dell’impegno educativo con le generazioni più giovani.
Luoghi della Memoria della Shoah in Italia
L’educazione della memoria, come valore che si proietta nel tempo e nello spazio, deve puntare sulla concretezza e proprio in questa prospettiva è utile passare in rassegna e approfondire la valenza didattica di luoghi della Memoria, tutti facilmente visitabili e impegnati nel corso dell’intero anno con mostre temporanee e permanenti, laboratori didattici, stanze delle testimonianze, proiezioni di docufilm e incontri a fare una memoria etica, attiva, dinamica, non archeologica.
Ecco una mappa di questi luoghi in Italia. Primi fra tutti i Memoriali, che non sono soltanto luoghi di commemorazione e memoria, ma anche aree di incontro, studio, ricerca e confronto: il Memoriale della Shoah del Binario 21 alla Stazione Centrale di Milano, la Fondazione Fossoli, a pochi chilometri da Carpi, e il monumento nazionale della Risiera San Sabba, ex opificio per la lavorazione del riso in un rione periferico di Trieste.
In uno spazio di dialogo e di educazione alla responsabilità personale, il Giardino dei Giusti di tutto il Mondo, alberi e cippi ricordano la biografia di uomini e donne che hanno scelto il Bene, combattendo contro ogni totalitarismo e dittatura, e salvando vite umane in tutti i genocidi.
A Sciesopoli la “Casa dei Bambini” di Selvino racconta le storie di salvezza di centinaia di orfani sopravvissuti alla Shoah e allo sterminio nazifascista e a Nonantola la Fondazione Villa Emma documenta un altro esempio di comunità che si mobilitò per il salvataggio di decine di ragazzi ebrei.
Grazie a un progetto che nasce dal basso a livello locale possediamo anche un museo diffuso della memoria a cielo aperto, quello delle pietre d’inciampo in Italia e in Europa, monumento in continua espansione per una memoria condivisa tra le diverse deportazioni.
In Lombardia sono da menzionare anche altre due realtà: il “Sentiero del silenzio” di Saltrio, dove si possono ripercorrere i passi di Liliana bambina e di suo papà per cercare rifugio verso la Svizzera e il presepe clandestino della memoria del lager di Wietzendorf, custodito tra i tesori della basilica di Sant’Ambrogio.
Il racconto di tutti questi luoghi alimenta la conoscenza, la compassione e il coraggio, insegna alla società, e soprattutto ai più giovani, che opportunismo, odio e relazioni ostili non sono inevitabili, che non si nega la sofferenza, non si dimentica, ma ciononostante si continua a vivere, a reagire, a resistere al male e a sperare.
Attraverso il racconto di questi luoghi si affronta il tema della responsabilità individuale e collettiva, dell’indifferenza, della paura, della complicità e della delazione, della banalità del male, che in determinati contesti arriva a sfiorare potenzialmente ognuno di noi. Prevenire il Male è possibile, agendo nel presente e sfatando il falso mito che il singolo non possa fare niente; dal proprio spazio si possono fare grandi cose, come hanno dimostrato i Giusti del passato.
Proprio come sentenzia in una favola africana il piccolo colibrì con il becco pieno di acqua, rivolgendosi al leone fuggitivo in occasione dell’incendio della foresta: “Io faccio la mia parte![5]”
Attraversare questi luoghi e stare in ascolto dei loro racconti può concorrere alla formazione di una coscienza morale e civile delle giovani generazioni, a diffondere la cultura della pace e del dialogo, a imparare a riconoscere i segni del male al loro sorgere e a contrastarli, migliorando il modo di stare insieme agli altri. Imparare insomma a non “cambiare canale”, quando si vede qualcosa che disturba: ce n’è davvero un grande bisogno e, soprattutto in momenti come quelli attuali segnati pericolosamente da intolleranza e pregiudizio, questo costituisce il vero senso della Memoria.
[1] A. CAVAGLION, Op. cit.
[2] D. GATTI – T. VECCHI, Memoria. Dal ricordo alla previsione, Carocci, 2019
[3] Sono ormai poco più di una decina, tra cui Edith Bruck, le sorelle Bucci e Sami Modiano. Su quest’ultimo vedi W. VELTRONI, Tana libera tutti. Sami Modiano, il bambino che tornò da Auschwitz, Feltrinelli, 2022.
[4] M. BAIARDI, Le tavole del ricordo. Guerre e shoah nelle lapidi ebraiche a Firenze (1919-2020), Viella,2021
[5] C. L. CANDIANI, Il silenzio è cosa viva, Einaudi, 2018
Rita Bramante Già Dirigente scolastica, membro del Comitato Nazionale per l’apprendimento pratico della Musica