Le armi della cura e della testimonianza
Viviamo in un mondo in guerra, come documenta anche la nuova edizione dell’Atlante delle guerre e dei conflitti nel mondo[1], un annuario aggiornato delle guerre in atto sul Pianeta, sia nelle periferie del Mondo, sia nei Paesi più vicini a noi, che ne elenca ben 30 alla fine del 2021. Purtroppo dobbiamo constatare che la guerra non è mai finita.
Si tratta di scenari bellici estremamente complessi, per la gran parte conflitti ‘asimmetrici’ che vedono contrapposti eserciti regolari e milizie, gruppi terroristici e mercenari al soldo di società private, forze paramilitari e bande criminali, in territori immensi dal Sahel, all’Asia centrale, all’Africa equatoriale, all’Estremo Oriente dilaniati dai conflitti, con costi umani altissimi[2]. “Non si può considerare queste persone come numeri, e nemmeno come migranti o rifugiati, sono semplicemente esseri umani, uomini, donne, in carne e ossa, individui reali, come te e me. Non c’è più ‘loro’, c’è solo ‘noi’”, con queste parole efficaci e incisive si è espressa una delle coordinatrici di progetto per Medici Senza Frontiere (MSF), impegnata a bordo di una nave a salvare vite nel Mar Mediterraneo[3].
Lontano dai riflettori mediatici, sulla linea del fronte, nelle calamità naturali, nei campi sovraffollati e malsani e nelle emergenze umanitarie, portare cure alle popolazioni dimenticate e spesso difficili da raggiungere: questa è da cinquant’anni la mission di MSF, una delle più importanti organizzazioni non governative internazionali, nata nel 1971, che ha svolto attività medico-umanitarie in circa 70 Paesi attraverso oltre 400 progetti, con l’obiettivo di garantire a tutti i più fragili e emarginati il diritto alla salute.
Per questo impegno fecondo sul campo e questa instancabile ricerca del prestare cura, assistenza medica e alimentare Msf ha ricevuto il premio Nobel per la pace nel 1999; un premio che va anche all’etica del rifiuto del silenzio e al diritto di critica e di denuncia: “Non siamo sicuri che le parole possano salvare delle vite, ma sappiamo con certezza che il silenzio uccide”, scandì nel suo discorso il presidente internazionale James Orbinski durante la cerimonia, denunciando gli abusi e i bombardamenti indiscriminati delle forze russe sulla città cecena di Grozny.
In questi decenni, accanto all’obiettivo prioritario dell’azione medica di cura e dell’assistenza alle persone più vulnerabili, Msf ha infatti contributo a testimoniare e denunciare con il supporto di prove la sofferenza, le atrocità, gli esodi di massa di rifugiati, gli attacchi ai civili e agli ospedali, la strumentalizzazione degli aiuti umanitari, talvolta la passività delle truppe ONU, oltre alla capacità di reazione e resilienza di intere comunità.
La volontà di raccontare, di dare valore e visibilità alla testimonianza, unitamente a comuni principi di etica e indipendenza, è stata condivisa da MSF con i fotografi di Magnum, la più prestigiosa agenzia giornalistica del mondo. Il racconto dei medici si è così intrecciato con fotografie d’autore, che dialogano con l’ambiente, documentano l’impatto del conflitto sui civili, costretti a fuggire in altre zone del paese o in quelli limitrofi, che perdono tutto, dalla propria casa ai legami familiari, e incontrano la difficoltà dell’accesso alle cure, perché gli ospedali sono presi di mira come bersaglio e il sistema sanitario è al collasso. “Non c’era altro posto dove farsi curare, i nostri centri erano oasi in mezzo a deserti di indifferenza”, ha scritto la capomissione di MSF in Afghanistan[4]; piccoli ospedali allestiti nel cuore delle montagne, portando attrezzature e medicinali a cavallo dal Pakistan, anche senza autorizzazione ufficiale. “Queste persone stanno soffrendo così tanto: non solo non hanno medicine, ma ora anche chi le cura viene preso di mira”, ha documentato il coordinatore dell’emergenza in Kosovo[5].
Nella mostra intitolata “Guardare Oltre – MSF & MAGNUM: 50 anni sul campo, tra azione e testimonianza”, partita dal museo Maxxi di Roma, per poi fare tappa a Milano e raggiungere nei prossimi mesi altre città d’Italia, a parlare sono le immagini, fissate dall’obiettivo della macchina fotografica, perché prendere in mano la macchina fotografica in questi contesti è già di per sé un atto di responsabilità. Scatti iconici che passano messaggi che con le sole parole non arriverebbero al destinatario con la stessa carica emotiva: grazie a uno scatto l’indicibile diventa immagine, restituisce uno sguardo etico, critico e artistico sui temi della guerra[6].
Immagini catturate negli ultimi 50 anni in contesti di guerra dal Libano, all’Afghanistan, al Ruanda, al Darfur, vite sconvolte da un momento all’altro, devastate da guerre o catastrofi, popolazioni intere in fuga, con il loro fardello di dolore e sofferenza, che affrontano le conseguenze di conflitti, epidemie o disastri naturali cercando in ogni modo di non perdere la speranza. “Dopo una lunga notte di bombardamenti, la mattina ho aperto la porta di casa e ho visto una donna anziana venirmi incontro offrendomi delle melanzane fresche appena raccolte dal suo orto. Quell’episodio per me rimane un’immagine di speranza e umanità, un bagliore di vita vero anche in un periodo drammaticamente buio”, ricorda un infermiere di MSF a proposito della missione in Siria nel 2013.
L’umanità ha bisogno di speranza, di poter credere che come quando Pandora apre il suo vaso e libera una grande quantità di spiriti malvagi che infliggono all’umanità piaghe, malattie, dolori e disperazione, dentro rimane però la speranza, che una volta liberata potrà portare sollievo agli esseri umani tormentati.
Ora che i riflettori mediatici dell’Occidente sono accesi h24 su questa guerra nel cuore dell’Europa e che le televisioni di tutto il mondo continuano a trasmettere da giorni le immagini desolanti dell’emergenza umanitaria in Ucraina, è quanto mai importante non spegnere l’attenzione verso un lungo racconto di storie di umanità attraverso le principali crisi umanitarie dal dopoguerra ad oggi, che sono in molti casi crisi dimenticate, ma alcune delle quali sono ancora in corso. Questa testimonianza diretta di una tremenda cronologia di emergenze, che dà voce a chi non ne avrebbe, amplifica l’eco di genocidi, massacri e persecuzioni presso l’opinione pubblica internazionale e cerca di frantumare il muro dell’indifferenza, alimentando le prese di posizione contro ogni guerra e ora in particolare contro questo nuovo conflitto tra due Stati sovrani, dopo l’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo. Ci dice più e più volte: “Meditate che questo è stato”[7].
In queste ore un team di operatori umanitari di MSF è a Kiev, in altre città e nei paesi limitrofi per supportare i medici di diversi ospedali e centri sanitari, sta raccogliendo informazioni sul numero di persone ferite per costruire una risposta medica adeguata e cerca di rispondere ai bisogni più urgenti delle migliaia di persone in fuga.
“L’impegno di MSF non solo mi fa sentire meno solo, ma mi fa capire che non possiamo stare zitti; è un momento difficile per chi decide di esporsi sui temi umanitari, e MSF ci ridà speranza, ci fa ricordare che di fronte a drammi immensi, esiste una misura umana per affrontarli, una via di fuga della speranza verso l’azione. È questa la potenza che ha questa organizzazione, porta avanti fatti concreti che ridanno un’idea di umanità e sicurezza”, così Roberto Saviano nel suo intervento al recente convegno UMANIT’ARIA – Incontri, dibattiti, spettacoli per i 50 anni di MSF[8]. Un’azione solidale, che va a riparare il mondo, è quindi possibile, anche se deve superare difficoltà e diffidenza.
Per concludere queste riflessioni, mi fa piacere riprendere le parole del filosofo Salvatore Natoli, che trovo offrano un’efficace sintesi: “Il male divide, il bene unifica; la nozione di dignità fonda e performa tutti i modelli che si sono sviluppati intorno all’universalità dei diritti umani e si connette al rispetto dovuto all’uomo in quanto tale, all’attenzione per l’altro, alla capacità spontanea di creare il bene e alla predisposizione per la generosità, che non può accettare che l’umanità venga violata nel corpo, nella carne, nella sua singolarità insacrificabile”[9]. L’umanità sofferente deve avere voce. “No al silenzio” e “No all’indifferenza generale”, per dire anche “STOP alla guerra” e poter sperare in un futuro migliore per i bambini e le bambine di oggi.
[1] AA.VV., Atlante delle guerre e dei conflitti nel mondo, edizioni Terra Nuova, 2021.
[2] G. BRECCIA, Le altre guerre nel mondo, in “La lettura”, 6 marzo 2022.
[3] Lindis Hurum, 2015.
[4] Juliette Fournot, dal 1982 al 1989.
[5] Keith Ursel, 1998.
[6]https://www.huffingtonpost.it/entry/guardare-oltre-50-anni-di-crisi-umanitarie-nella-mostra-di-msf-emagnum_it_618538f5e4b0ad6f588233a8/
[7] P. LEVI, Se questo è un uomo, Einaudi, 2014.
[8] https://www.medicisenzafrontiere.it/news-e-storie/news/umanitaria-diretta-streaming/
[9] S. NATOLI, Il concetto di dignità e responsabilità dall’antichità ad oggi. Convegno Le virtù dei Giusti e l’identità dell’Europa, novembre 2012 Palazzo Marino, Milano.
Rita Bramante Già Dirigente scolastica, membro del Comitato Nazionale per l’apprendimento pratico della Musica, attiva nel volontariato sociale.