La voce libera, disturbante e non conforme di Michela Murgia
Desidero esprimere anch’io – come tant* nelle ultime settimane – gratitudine e ammirazione per Michela Murgia, una donna che non ha mai rinunciato a prendere posizione e ha saputo animare e tenere acceso il dibattito pubblico, culturale e politico, facendo sentire forte e chiara la sua voce di paladina dell’autodeterminazione, per la solidarietà e l’etica della cura, per la difesa della famiglia non tradizionale e le minoranze.
Una scelta non priva di difficoltà la sua, che non le ha risparmiato di essere vittima di diffamazione e calunnia da parte degli odiatori social, degli avversari politici e dello sciacallaggio mediatico; il racconto “Il senso della nausea”, nell’ultimo libro “Tre ciotole”, è ispirato proprio dalle reazioni fisiche che le provocavano i commenti di odio e il bullismo di cui è stata incessantemente vittima[1].
In lei ha prevalso l’intento di difendersi sul piano delle cause civili attraverso la mediazione e la giustizia riparativa e ha saputo dare così in queste spiacevoli circostanze una concreta lezione di educazione digitale. Oltre alle cause vinte fino a quando era in vita, ora la sua legale, l’avvocata e attivista Cathy La Torre, da anni sua amica intima e curatrice del testamento di Michela, fa sapere di avere un “armadio dell’odio” pieno di fascicoli di nuove cause ancora in sospeso da portare avanti.
“Ho cinquant’anni, ma ho vissuto dieci vite. Ho fatto cose che la stragrande maggioranza delle persone non fa in una vita intera. Cose che non sapevo neppure di desiderare. Ho ricordi preziosi”, ha detto in una delle ultime interviste, rilasciata a Aldo Cazzullo per le pagine del Corriere[2]. Michela ha fatto tanti mestieri, venditrice in un call center, portiere di notte, insegnante di religione nelle scuole medie, scrittrice, blogger, opinionista e attivista dei diritti civili.
E’ stata una donna e un’artista dotata di quel talento che – come ha detto Papa Francesco, rivolgendosi a una delegazione internazionale di artisti, – consente di “portare alla luce l’inedito” e di “arricchire il mondo di una realtà nuova”: “Siete occhi che guardano e che sognano. Non basta soltanto guardare, bisogna anche sognare”, ha spronato il Papa nel suo invito agli artisti a essere “disturbanti, liberi e non conformi”. E Michela Murgia ha avuto occhi penetranti per guardare e sognare e la forza di esprimere sempre a voce alta il proprio pensiero, animata da coraggio, calda passione e anticonformismo.
Per questo è possibile affermare con le parole pronunciate dal cardinale Zuppi, presidente della CEI, nella cerimonia di commiato che “il libro della vita di Michela, scritto per passione, non è finito”.
Ha raccontato storie che mettono a fuoco e affrontano in modo sferzante temi controversi, di grande attualità e rilevanza sociale e umana, contro il patriarcato e le imposizioni del conformismo e del perbenismo: l’educazione femminile alla subordinazione e quella maschile imbevuta di proiezioni dominanti e possessive; la violenza di genere; la sessualità “non binaria”, il sesso non generativo, la fecondazione assistita, la Gpa (gestazione per altri) e l’omogenitorialità; l’aborto volontario; l’accanimento terapeutico, la sospensione dei trattamenti clinici ai pazienti terminali, l’eutanasia attiva.
Fino all’ultimo ha voluto con tutta se stessa dedicarsi all’“amicizia civica”, in favore dei diritti e di una società più inclusiva, non patriarcale e basata sulla parità di genere.
Il suo ultimo lascito sono le pagine sulla famiglia, sull’adozione, sulla figliolanza d’anima, sul superamento del sangue come paradigma d’identità, e, più in generale, sul senso della genitorialità e parentela, che ha dettato con lucidità a uno dei suoi “figli d’anima” e che saranno pubblicate postume.
Ora tocca a chi crede nei suoi stessi valori portare avanti con determinazione e energia argomentativa il suo testamento politico, la sua battaglia, o meglio il suo impegno (il lessico bellico non le è mai piaciuto e si è sempre professata antimilitarista) per i diritti delle donne e della comunità LGBTQ+ e scegliere da che parte stare, perché “i diritti sono il più grande canto d’amore possibile e moltiplicano la libertà”, come ha affermato Roberto Saviano nella sua toccante lettera di saluto all’amica.
E come ha scritto Michela Murgia “i diritti esistono proprio perché un consesso civile non può essere regolato dalla legge del più forte: i diritti sono per definizione diritto dei deboli, perché solo così sono diritti di tutti, ed è attraverso le lotte dei deboli che le società cambiano e crescono, perché i forti non hanno interesse alcuno a modificare lo stato delle cose[3]”.
Al centro del suo testamento politico c’è la famiglia queer, allargata, ibrida, non convenzionale, “fatta dalle persone che scegliamo” e “non segnata da legami di sangue”, dove le relazioni contano più dei ruoli e dove i rapporti superano la performance dei titoli legali e limitano le dinamiche di possesso: “Non l’ho inventata io – spiega – ma in essa i ruoli non sono definiti. Noi siamo ancora fermi alla modalità della famiglia tradizionale, al monomodello della famiglia convenzionale dei congiunti, della coppia – eterosessuale o gay -, ma ormai questo modello è insufficiente e la verità è che per come siamo organizzati nella vita ciascuno di noi ha in testa già una comunità queer e manca soltanto il passaggio della tutela legale[4]”.
Il suo impegno civile vuole che ogni tipo di famiglia, anche quella che non prevede legami di sangue, possa avere un riconoscimento di fronte alla legge.
Proprio il dato autobiografico della provenienza da una famiglia disfunzionale ha fatto sì che Michela abbia trovato una soluzione di vita non convenzionale e si sia costruita negli anni una famiglia polifunzionale, composta da quattro “figli d’anima” (il più grande di 35 anni, il più piccolo di 20, di cui ha condiviso la maternità all’interno di una coppia omogenitoriale), che ha contribuito a crescere pur non avendoli generati, e da amic*, uno dei quali, il regista Lorenzo Terenzi, sposato con rito civile in articulo mortis al fine di garantirsi a vicenda e per tutelare una famiglia che lo Stato non tutela: “Sposo un uomo, ma poteva esserci anche una donna”, ha detto la Murgia annunciando il matrimonio, e Terenzi ha definito la loro relazione “un’amicizia, che ha continuato a fiorire nel tempo, un’amicizia evoluta all’ennesima potenza”, in cui non c’è mai stato niente di sessuale.
Nella vita di Michela gli amic* sono stat* “il conto in banca”, un “antidepressivo”, “la casa al mare” e “il rifugio” nei momenti di paura. L’amicizia femminile, poi, è stata una scoperta della maturità, in quanto da giovanissima aveva creduto alla leggenda nera che le donne tra loro si volessero male e fossero ingenerose. Diventata man mano più femminista, si è scoperta, invece, più amica delle donne, accorgendosi di aver perso un sacco di anni e di potenzialità. Amic* è quella persona che cambia le cose con la sua semplice presenza: “Le amicizie pluridecennali sono un bene raro che va molto mantenuto, perché sono fatte dell’unica cosa che non si può ripetere: il tempo. Sono quelle che custodiscono il ricordo della ragazza che eri, che conoscono la fatica che hai fatto per essere la donna che sei, che ricordano l’entusiasmo che avevi e quello che è rimasto, gli errori da cui ti sei salvata e quelli da cui ti hanno salvata loro. Non sono solo amici; sono testimoni e complici. Nel tribunale ostile che a volte è la vita, guai a non averne”.
Con la sua comunità intenzionale di corresponsabilità reciproca, fondata appunto sulla responsabilità, sull’affidabilità, sulla qualità della relazione e sull’armonia, accomunata dalla collaborazione, cioè da un rapporto di interdipendenza partecipata e reciproca, Michela ha vissuto l’ultimo periodo della vita in una casa comprata alle porte di Roma con dieci letti e con un grande giardino. E questo vissuto personale, questa intimità domestica, fatta non solo di parole, ma di atti concreti e raccontata pubblicamente, ha offerto un segno tangibile delle sue convinzioni e ha rappresentato nel suo fine vita un altro modello di relazione, un atto politico, destinato a diventare, per sua stessa volontà, la sua “eredità simbolica”. “Un esperimento molto coraggioso e anticipatore” e “una gioiosa proposta”, come lo ha definito Dacia Maraini, auspicando che questa sfida di un nuovo tipo di famiglia non basato sul sangue, ma sulle affinità e la scelta, possa diventare oggetto di riflessione e dibattito pubblico, vista la crisi che sta vivendo la famiglia tradizionale di questi tempi.
Ecco il sogno politico e l’obiettivo personale raggiunto, che può costituire un’ispirazione e un punto di partenza per altri: quello di allargare il concetto di famiglia per includere ogni nucleo affettivo basato su mutuo soccorso, accoglienza, cura e amore, a prescindere dal sangue, dal genere e dall’orientamento sessuale dei vari componenti. Non solo una famiglia queer, ma un mondo queer rimane per la Murgia l’obiettivo da raggiungere con vero spirito di squadra, cioè con ”l’attività di lavorare insieme attraverso una Visione Comune, l’abilità di indirizzare dei risultati individuali verso degli Obiettivi Organizzativi, il carburante che permette a delle persone comuni di raggiungere Risultati Non Comuni[5]”.
Insieme all’altro sogno intimo e personale, coltivato negli ultimi anni, quello di trasferirsi in Corea: la passione per la lingua coreana può sembrare una fascinazione senza senso, ma l’armonia dei suoni vocalici di una lingua che non ha generi ha esercitato su Michela un’attrazione particolare.
Per sua volontà le ceneri saranno disperse in Corea del Sud.
Per chi crede alla sopravvivenza del pensiero affidato alla testimonianza civile, ai libri e a tutte le espressioni artistiche, Michela Murgia continua a vivere e a accompagnare il dibattito pubblico, illuminando con la sua intelligenza emotiva la visione di una nuova società possibile.
[1] M. MURGIA, Tre ciotole. Rituali per un anno di crisi, Mondadori, 2023
[2] https://www.corriere.it/cronache/23_maggio_06/michela-murgia-intervista-613411b8-eb75-11ed-b6da0a1fd7305281.shtml
[3] M. MURGIA, Futuro interiore, Einaudi, 2016
[4] M.MURGIA, God save the queer. Catechismo femminista, Einaudi, 2022
[5] M.MURGIA, Il mondo deve sapere. Romanzo tragicomico di una telefonista precaria, I libri di ISBN/Guidemoizzi, 2010
Rita Bramante Già Dirigente scolastica, membro del Comitato Nazionale per l’apprendimento pratico della Musica