CNR verso un secolo di vita
Il Consiglio Nazionale delle Ricerche, primo ente pubblico di ricerca del nostro Paese, vive giorni importanti. Alla vigilia del suo primo secolo di vita, che si celebrerà nel 2023, la Legge di Bilancio 2022 gli dedica una speciale attenzione, promuovendone un assetto normativo rinnovato e garantendo un grande investimento di denaro pubblico, grazie all’aumento progressivo del finanziamento ordinario. Il CNR, inoltre, sarà impegnato in alcuni assi strategici del PNRR, al quale potrà attingere significative risorse per un sostanziale potenziamento delle ricerche e del loro impatto sulla società. Assistiamo, insomma, ad un cambio di rotta della politica italiana sulla ricerca pubblica che ci pone più in linea con il sistema internazionale e che va accolto con estrema soddisfazione.
Esiste però una componente del CNR presso la quale si registra scarsa soddisfazione. È la comunità dei ricercatori e dei tecnologi, la cui valorizzazione registra un’enorme criticità. Questa comunità è strutturata in tre livelli di carriera e dispone di modalità di promozione applicate con scarsa o nulla regolarità. Nell’ormai lontano 1991 il DPR n. 171 prevedeva che i ricercatori e i tecnologi degli enti di ricerca fossero distribuiti tendenzialmente secondo una percentuale del 20% per il primo livello e del 40% per il secondo e il terzo. A trent’anni di distanza più del 70% del personale scientifico del CNR si trova al terzo livello (quello di partenza per intenderci); meno del 10% ha raggiunto il livello di vertice, percentuale che si riduce, manco a dirlo, al 2% nel caso di ricercatrici e tecnologhe. Una piramide a base larghissima. Alcuni rapidi confronti: negli Atenei italiani i professori ordinari e associati sono rispettivamente il 30% e il 48% dell’intero corpo docente; importanti enti pubblici di ricerca (INFN, INGV, ENEA) presentano tutti percentuali non ottimali ma molto migliori rispetto al CNR (mediamente: 15%-29%-56%). Vediamo il dato anagrafico: nel 2011 l’età media del ricercatore/tecnologo CNR di III livello era di 46 anni; di II livello, 53 anni; nel 2016 i due dati, già scoraggianti, sono aumentati rispettivamente di tre anni. Insufficienti il reclutamento, il turn-over, l’ascesa da un livello al livello superiore. (Non abbiamo dati posteriori al 2016, ma difficilmente, se ne avessimo, ne ricaveremmo una immagine migliore.) La lentezza della carriera è notoriamente tra i fattori che si pongono all’origine della “fuga dei cervelli”, la perdita crescente di attrattività dell’intero sistema di ricerca pubblica, di cui il CNR è soggetto centrale.
Colpa dei ricercatori del CNR? Ci sentiamo di rispondere di no, per vari motivi. I concorsi sono rari e tardivi, anche quando ne è statuita una cadenza regolare. I ricercatori e tecnologi CNR vincono bandi competitivi con cui si copre ormai più di un terzo del bilancio del CNR. Per capire che cosa ciò significhi per l’attività di ricerca, basti sapere che la dotazione ordinaria del CNR è assorbita per il 90% dai soli costi di gestione dell’ente. Non sono pochi i ricercatori, di II ma anche di III livello, che hanno conseguito l’Abilitazione Scientifica Nazionale di prima fascia (sono cioè reputati adatti a insegnare all’Università come professori ordinari). Dunque, ricercatori e tecnologi del CNR riescono a convincere della qualità del loro lavoro e della bontà delle loro idee. Salvo al momento di fare carriera.
E non si tratta nemmeno solo di carriera. Nella partecipazione ai bandi competitivi si preparano budget preventivi che tengono conto della posizione economica dei partecipanti come riferimento rispetto al quale si stabilisce la quota di denaro richiesta all’ente finanziatore. La conseguenza è chiara: minore è il valore (in termini retributivi e anche “gerarchici”) del partecipante, minore sarà il finanziamento a vantaggio del laboratorio, della struttura, del centro di studi che ospiterà il progetto. Il valore di ricercatori e tecnologi CNR è in media il 40% inferiore degli universitari. Questa inferiorità è un danno netto per il CNR il cui personale è pagato il 40% in meno di quello universitario quando contribuisce a progetti che ricorrono alle tabelle dei costi standard. Promuovere le carriere porterebbe effetti di medio-lungo periodo, con l’aumento dei valori dei costi standard, ma anche immediati, incrementando da subito il valore delle ore rendicontabili nei progetti competitivi, inclusi quelli auspicabili nell’ambito del PNRR. Insomma, la valorizzazione porterebbe un enorme beneficio materiale al CNR.
Ora la nuova dirigenza del CNR ha di fronte una scelta importante, della quale dovrà pur rispondere. La Legge di Bilancio 2022 dispone un importante stanziamento mirato alla promozione di ricercatori e tecnologi degli enti di ricerca (art. 310 lettera b), da realizzare già a partire dal 2022. Altre disposizioni di legge e orientamenti parlamentari (ad esempio l’emendamento n. 6.28 al decreto “Milleproroghe”) dispongono che si faccia ricorso anche a graduatorie vigenti, purché recenti e a valle di procedure selettive. C’è una volontà del Legislatore, forse mai prima d’ora così esplicita, volta alla ricerca di un intervento risolutore e rapido per lo stallo delle carriere scientifiche non accademiche. Saprà il CNR, una volta completato l’iter dei provvedimenti attuativi, del riparto delle risorse, nonché della riforma del reclutamento (DdL 2285), cogliere questa opportunità storica almeno per colmare il gap di valorizzazione con l’Università e con gli Enti di Ricerca in tempi accettabili? E, considerando, la fase che stiamo attraversando e l’urgenza di rispondere velocemente ad una richiesta sociale di rilancio, cominciando dalle più recenti graduatorie?
Francesca Alesse, Primo Ricercatore presso l’Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle Idee – Consiglio Nazionale delle Ricerche.