Campione due volte, sui pedali e nella vita; recensione del libro di Alberto Toscano, Una bici contro il fascismo
In Italia agli inizi degli anni Trenta vivevano quarantasettemila ebrei e circa settemila di loro furono deportati e uccisi dai nazisti durante la seconda guerra mondiale. Molti furono aiutati e salvati grazie all’intervento di uomini e donne generosi, incuranti del pericolo, attraverso una vasta rete clandestina che coinvolgeva laici e religiosi ?avversi alle leggi razziali e alla dittatura nazifascista ?, che rischiavano la galera, la deportazione e anche la pelle per salvare vite umane. Nelle pagine di Alberto Toscano, giornalista e saggista, scopriamo la storia di Gino Bartali[1], non solo leggendario campione del ciclismo, ma anche antifascista per cultura, fiero di saper distinguere tra bene e male: « Nel 1938 in Francia l’Italia di Pozzo aveva vinto il suo secondo mondiale calcistico, giocando in maglia nera e facendo il saluto romano. La squadra fu ricevuta in pompa magna da Mussolini a palazzo Venezia. E Bartali vinse il tour, ma dal duce non lo invitò nessuno. Da uomo onesto, Gino non sopportava i prepotenti, quindi era incompatibile con il fascismo».
La bicicletta per Gino «era la vita, la compagna, lo strumento di lavoro» e proprio grazie alla sua bici partecipa al contrasto della deportazione: infatti non solo nasconde nella propria cantina la famiglia di Goldenberg e Aurelio Klein, ma collabora all’azione di tutela degli ebrei promossa dall’arcivescovo di Firenze, Elia Dalla Costa, che lo aveva unito in matrimonio alla moglie Adriana e aveva battezzato il suo primo figlio e che, in occasione della visita di Hitler a Firenze nel 1938, aveva chiuso la porta in faccia al Führer.
Per Gino Bartali essere uno sportivo professionista che gode di grande popolarità in Italia costituisce un vantaggio: può spostarsi in modo relativamente facile grazie alla sua mitica bicicletta e ha sempre il valido motivo dell’allenamento per percorrere migliaia di chilometri anche da una regione all’altra, pedalando non solo per vincere gare, ma anche per fare il proprio dovere di uomo e di cristiano, mettendo al servizio di una causa umanitaria i privilegi che vengono dalla sua fama sportiva: « Gino si impegna a fondo nella nuova sfida. Nasconde foto di identità, documenti e lettere nei tubi, internamente cavi e nel sellino della sua bici. Gino è capace di montare e smontare in un baleno la sua bici da corsa. Ma quando è un altro a toccarla si esibisce in una sceneggiata da commedia dell’arte per dire che mani profane rischierebbero di alterarne i delicati meccanismi. Gino vince la sua scommessa. Nessuno dei soldati tedeschi né dei miliziani fascisti che lo fermano per un controllo sulle strade di un’Italia devastata dalla guerra, si immagina che il velocipede nasconda un segreto tanto importante».
In lunghi percorsi in bicicletta mascherati da allenamenti portava fotografie vere e ritirava documenti falsi a Assisi che, grazie ai suoi monasteri tra il 1943 e il 1944, era diventata un rifugio per tanti perseguitati; così garantiva una nuova identità a uomini e donne ebrei, salvandoli dalla deportazione. Papa Francesco, intervistato da un giornalista della Gazzetta dello Sport, rievoca così la figura di Gino Bartali, protagonista di una storia di sport non fine a se stessa, ma che prova a lasciare il mondo un po’ migliore di come lo ha trovato: «Allo Yad Vashem a Gerusalemme mi raccontarono di Bartali, il leggendario ciclista che, reclutato dal cardinale Elia Dalla Costa, con la scusa di allenarsi in bicicletta, partiva da Firenze alla volta di Assisi e faceva ritorno con decine di documenti falsi nascosti nel telaio della bici che servivano per far fuggire e quindi salvare gli ebrei. Pedalava per centinaia di chilometri ogni giorno sapendo che, qualora lo avessero fermato, sarebbe stata la sua fine. Così facendo offrì una vita nuova a intere famiglie perseguitate dai nazisti, nascondendo qualcuno di loro anche a casa sua. Si dice che aiutò circa ottocento ebrei, con le loro famiglie, a salvarsi durante la barbarie a cui vennero sottoposti. Diceva che il bene si fa e non si dice, se no che bene è? Lo Yad Vashem lo considera “Giusto tra le nazioni”, riconoscendo il suo impegno».
Gino Bartali, Giusto tra le nazioni, per aver salvato con la sua bici centinaia di ebrei, una storia esemplare da far conoscere ai nostri ragazzi in occasione della Giornata della Memoria. Nelle ultime settimane, però, uno storico che solo due anni orsono aveva scritto Sia lodato Bartali[2], solleva dei dubbi sulle missioni umanitarie del campione, dando alle stampe un nuovo saggio[3] con il sottotitolo Bartali e il salvataggio degli ebrei, una storia inventata, che mette in discussione le testimonianze, alludendo a «leggende senza le necessarie verifiche», «false memorie», «contrabbandieri di verità» e imputando tanta fama all’alone celebrativo del tam-tam dei social.
In molti sono intervenuti in questi giorni a difendere da polemiche pretestuose la figura di quest’uomo che in vita aveva l’ossessione della discrezione. Uno fra tutti Sergio Della Pergola, membro della commissione per i Giusti tra le Nazioni, di cui rivendica la serietà del lavoro, svolto seguendo principi strettissimi e estremamente meticolosi, e basato su testimonianze e documenti che sono stati ritenuti solidi dallo Yad Vashem, l’organismo che ha la principale competenza in materia: non ci sta a derubricare a leggenda e a offuscare l’impegno umanitario, l’impresa discreta e solidale di Gino Bartali, angelo degli Ebrei.
Intanto la comunità di Bagno a Ripoli, Firenze, rende omaggio a Gino Bartali con una pista ciclabile che porta il suo nome e che è stata inaugurata proprio nel giorno della Memoria della Shoah.
Tanti atleti, in tempi più o meno recenti, hanno scritto non solo belle pagine di successo sportivo e suscitato grandi entusiasmi nei propri tifosi, ma si sono distinti anche per aver lottato per la tutela dei diritti umani, per essersi spesi per il bene comune e per essere stati testimoni di valori positivi, come l’altruismo, l’accoglienza, il dialogo, il senso di fratellanza, il rispetto dell’altro, il valore del gruppo e lo spirito di solidarietà, valori di cui anche la nostra quotidianità ha disperatamente bisogno. Queste figure di bravi sportivi e bravi cittadini, di esempi di coinvolgimento nella vita sociale, rappresentano baluardi indispensabili a cui aggrapparci e riferimenti per continuare a guardare al futuro con fiducia.
Non sono semplicemente campioni di una squadra, protagonisti di una performance agonistica di successo, ma campioni di vita, ovvero capaci di viverla con passione e pienezza, pronti alla sfida contro le ingiustizie: cittadini della comunità mondiale.
Raccontiamo ai nostri bambini e ai nostri ragazzi le loro storie, quella di Gino Bartali e di altri esemplari fuoriclasse dello sport; realizziamo – in questo momento di grande sacrificio per l’attività motoria e sportiva dei giovani, sottoposta a regole stringenti e misure di restrizione necessarie a tutela della salute a causa della pandemia – momenti di lezione, che, facendo emergere il valore educativo dell’esperienza di vita, di rettitudine morale e di impegno di tanti sportivi, rimarranno scolpite nel loro immaginario, lo nutriranno e potranno dare un contributo a rafforzare anche le loro speranze. Può essere d’aiuto l’ebook I Giusti dello sport, raccolta di storie di giustizia e diritti umani nello sport, raccontate da giornalisti sportivi e scrittori, tra cui Alberto Toscano.
[1] A. TOSCANO, Una bici contro il fascismo, Baldini+Castoldi, 2019.
[2]Stefano Pivato,, Sia lodato Bartali, Castelvecchi, 2018.
[3] Stefano Pivato, Marco Pivato, L’ossessione della memoria. Bartali e il salvataggio degli ebrei, una storia inventata, Castelvecchi, 2021.
Rita Bramante Dirigente scolastico dell’istituto comprensivo Cavalieri di Milano