Apprendere, comprendere, amare
Luigi Berlinguer, con questo libro, ci invita a una riflessione sul tema dell’istruzione che è in realtà un percorso in tutte le sue dimensioni: giuridico-costituzionale, politica, sociale, fino agli aspetti pedagogici e culturali. Con una escursione, tutt’altro che casuale o marginale, sul posto della scienza e della musica nell’educazione. E’ evidente che questo percorso riflette quello personale di Berlinguer: giurista, politico italiano ed europeo, professore e rettore universitario, Ministro dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca e, infine, promotore e presidente di due comitati del MIUR per la promozione, rispettivamente, della scienza e della musica.
La nostra costituzione garantisce l’accesso all’istruzione. Ma Berlinguer rivendica qualcosa di più significativo, il diritto all’istruzione, che colloca accanto ai due diritti fondamentali proclamati dalla nostra costituzione: il diritto al lavoro e il diritto alla salute. Realisticamente non propone una modifica costituzionale, ma rivendica con forza la necessità di farlo diventare un diritto di fatto riconosciuto dalla nostra società. La conseguenza di questa posizione è che il sistema formativo non deve solo essere aperto a tutti, ma deve garantire a tutti la possibilità di apprendere e deve strutturarsi a questo scopo.
Servono certamente le politiche che garantiscano l’accesso all’istruzione combattendo le disuguaglianze sociali e territoriali che lo ostacolano. Ma occorre poi garantire a tutti il diritto ad apprendere. Ci si deve allora domandare se la scuola è in grado di farlo e la risposta è no: questo sistema scolastico non è strutturato, praticamente e culturalmente, per questo. Occorre quindi un cambiamento profondo.
La prima cosa con cui fare i conti è la crescita dei saperi in quantità e complessità e degli ambiti culturali. Questo riguarda in particolare la scienza e la tecnologia, incluse le nuove tecnologie di comunicazione. Il modello di scuola che la storia, in particolare l’impostazione gentiliana, ci ha consegnato non è in grado di dare una formazione che consenta ai giovani di padroneggiare questa complessità e di creare in essa i propri percorsi. E senza di questo non si crea un cittadino, anche europeo, libero e capace di partecipare alla vita sociale: “il cittadino che apprende è il sale della democrazia” dice Berlinguer.
Nello stesso tempo, se si vuole dare corpo al concetto di diritto all’apprendimento, occorre un rovesciamento di prospettiva: non partire da ciò che deve essere insegnato, ma da ciò che deve essere appreso. E’ una questione di impostazione generale, che riguarda il contesto e le strutture, ma anche il metodo didattico: uscire dal modello trasmissivo del sapere e spostare l’asse sul saper fare, saper esplorare con la mente e con la sperimentazione. Sono percorsi cognitivi più complessi, rispetto a quelli del passato, che si accompagnano naturalmente a atteggiamenti e motivazioni altrettanto complessi: condivisione del compito, autostima, scoperta del proprio talento. Questa unione di abilità cognitive e comportamentali è la base per la costruzione del cittadino. Per inciso è la stessa che configura le Competenze di Cittadinanza definite nel nostro ordinamento. Una scuola così fatta non educa solo a comprendere e vivere meglio il mondo, ma è anche scuola di libertà.
Molto significativa, una vera cartina di tornasole, è la promozione, decisamente appassionata, che Berlinguer fa della musica nella scuola.
L’esclusione della musica dalla scuola è sempre stata una scelta discutibile, ma oggi ha il sapore di un’assurdità. E’ noto il pregiudizio culturale, dovuto a una concezione totalmente logicistica della cultura che tende a escludere tutto quello che non conduce direttamente al ragionamento, al calcolo, alla narrazione di fatti e idee. Sulla base di questo pregiudizio la musica è considerata inutile o addirittura, da qualcuno, dannosa. Una sorte non tanto migliore, del resto, è toccata, nella nostra scuola, all’arte.
Prima ancora di entrare nel merito si deve constatare la mutilazione culturale provocata dalla mancanza della musica. Non solo perché la musica stessa è uno dei principali prodotti della creatività del nostro paese, ma perché rende incomprensibili i numerosi intrecci con le altre forme culturali e in particolare con la letteratura. Berlinguer rammenta e ripercorre, fra i tanti, il rapporto di Dante e della Divina Commedia con la musica.
Il pregiudizio logicistico non è totalmente fondato: anche nella musica espressività e regole di linguaggio, una sintassi, convivono. Berlinguer scende poi, con l’aiuto della neurofisiologia, alla radice del rapporto mente-musica. Ricorda il valore terapeutico della musica, un vero e proprio farmaco, per diverse malattie e disabilità. Ma soprattutto ne ricava l’evidenza della inscindibilità di logica ed emozione: la sfera emozionale promuove la creatività anche nell’esercizio logico-formale. E cita, fra l’altro, il mito dell’auriga con un cavallo bianco e un cavallo nero (la sensibilità fisica e le idee), che deve tenere in equilibrio la loro forza.
Un passo avanti è l’identificazione della sfera emozionale con il più alto concetto di eros. L’amore, appunto, come nel titolo del libro. La dimensione erotica è indispensabile alla vita e alla continuazione della specie. Tornando alla musica, questa incontra l’eros fin dall’inizio della civiltà: gli archeologi trovano strumenti musicali creati molte decine di migliaia di anni fa.
Ma la dimensione erotica rimane indispensabile come ingrediente sociale: “è il piacere che alimenta una rivoluzione” anche quella dell’istruzione.