È ancora attuale Pinocchio?
Così come se Célestin Freinet dovesse progettare nel terzo millennio la tipografia e il giornalino di classe, utilizzerebbe senza dubbio la posta elettronica e Facebook e YouTube, anche nel caso di una rivisitazione di Pinocchio, gli strumenti a disposizione degli educatori possono essere oggi pressoché infiniti.
Non a caso, del resto, il libro di Collodi è ancora oggi uno dei più tradotti, letti e conosciuti su scala planetaria. Sia l’intreccio narrativo che la caratterizzazione dei personaggi sono, infatti, tali da costituire un vero e proprio “testo originario”, che rimanda a caratteri universali, sul quale è possibile innestare variazioni, varianti, parafrasi e parodie di ogni tipo.
Qualsiasi educatore (genitore, insegnante) appena avveduto ha ormai acquisito il concetto che per parlare ai bambini e alle bambine di oggi è necessario non solo conoscere, ma usare con competenza strumenti e linguaggi con i quali essi hanno famigliarità fin dalla nascita.
Il testo scritto, ovviamente. Ma anche l’illustrazione, la versione a fumetti, quella cinematografica o televisiva, il video musicale, il videogame, sono i possibili ponti, attraversamenti, sentieri e passaggi o segreti attraverso i quali raggiungere gli occhi e le menti dei nostri figli e alunni.
Propongo qui un veloce (e non esaustivo) abbozzo di mappa di alcuni materiali possibili.
La più recente versione cinematografico/televisiva di Pinocchio è quella (mediocre) diretta nel 2009 da Alberto Sironi, per una coproduzione internazionale, con l’inglesino Robbie Kay nella parte del burattino-ragazzo, Bob Hoskins in quella di Geppetto e, fra gli altri, Luciana Littizzetto che veste i panni del Grillo Parlante. Ma essendo un archetipo narrativo, il personaggio creato da Carlo Collodi ha avuto innumerevoli rappresentazioni nelle più diverse forme espressive per immagini, statiche o in movimento. Non solo numerosissimi illustratori (fra gli ultimi va ricordato l’eccezionale lavoro di Lorenzo Mattotti, che prima o poi dovrebbe diventare un lungometraggio diretto da Enzo D’Alò) si sono impegnati sulla narrazione collodiana, ma anche maestri del fumetto, come Benito Jacovitti (che ne ha realizzato tre versioni), Sergio Tofano, Luciano Bottaro, Aurelio Galeppini (il papà grafico di Tex Willer) ne hanno tratto opere di ottimo risultato.
Non va dimenticata, soprattutto, nell’anno in cui ricordiamo Gianni Rodari, la sua magnifica versione in forma di filastrocca, pubblicata tra il 1954 e il 1955 su “Il Pioniere”, con i disegni di Raul Verdini.
Molte sono, ovviamente, le interpretazioni cinematografiche.
Ricordiamo il “Pinocchio” interpretato da Polidor (Ferdinand Guillaume), uno dei primi divi del cinema comico muto, per il film del 1911 diretto da Giulio Cesare Antamoro; “Le avventure di Pinocchio”, realizzato nel 1936 da Umberto Spano e Raoul Verdini e, con lo stesso titolo, il film del 1947 diretto da Gianetto Guardone (che ha anche la presenza di Vittorio Gassman come pescatore verde). Seguono un “Pinocchio e le sue avventure”, diretto nel 1954 da Attilio Giovannini; uno sceneggiato televisivo realizzato in Brasile nel 1954; un film per la televisione americana diretto nel 1957 da Hanya Holm, con Mickey Rooney come protagonista; una versione teatrale ripresa per la tv italiana nel 1959 da Enrico D’Alessandro (c’è anche Peppino Mazzullo, il Richetto reso famoso dai duetti comici con Cino Tortorella-mago Zurlì e voce di topo Gigio).
E ancora: un “Pinocchio” (Turlis Abenteuer) della Repubblica Democratica Tedesca, prodotto nel 1967 con la regia di Walter Beck e Ron Merk; un musical del 1968 con Peter Noone; il bellissimo (il migliore, a mio parere) “Le avventure di Pinocchio”, diretto nel 1972 da Luigi Comencini, con Andrea Balestri e Nino Manfredi straordinario Geppetto; un “Pinocchio Birthday Party” del 1974, per la regia di Ron Merk; un altro musical del 1976, diretto da Ron Field e Sid Smith, con Danny Kaye come Geppetto; uno sceneggiato televisivo realizzato in Gran Bretagna con Neil Fitzwilliam; un “Carlo Collodi’s Pinocchio” televisivo per la regia di John Clark Donahue e John Driver; “The Adventures of Pinocchio” di Steve Barron, 1996, con Martin Landau come Geppetto; il (pessimo) “Pinocchio” diretto nel 2002 da Roberto Benigni.
Un discorso tutto particolare va fatto per quanto riguarda il cinema di animazione.
Naturalmente il “Pinocchio” a disegni animati più famoso è quello prodotto da Walt Disney nel 1940, con la regia di Ben Sharpsteen e Hamilton Luske. A parte la curiosa ambientazione svizzero-bavarese, il lungometraggio disneyano ha innegabili meriti, anche grazie alle magnifiche musiche e canzoni di Leigh Harline, Paul J. Smith e Ned Washington.
Ma ci sono molte altre versioni in animazione: il “Pinocchio In Outer Space” del 1964, diretto dal belga Ray Goossens, quella di Giuliano Cenci del 1972, un “Pinocchio’s Christmas” diretto nel 1980 da Jules Bass e Arthur Rankin Jr., “Pinocchio and the Emperor of the Night” (1987) per la regia di Hal Sutherland, quella di Roger Scott Olsen del 1993, un “Pinocchio 3000” (2004) realizzato in computer grafica da Daniel Robichaud, le serie televisive della Tatsunoko Production del 1972, diretta da Ippei Kuri e del 1976, con la regia di Shigeo Koshi e Hiroshi Saito, i cortometraggi del 1998 realizzati in Danimarca da Jorgen Klubien e del 1999 di Gianluigi Toccafondo.
Da considerarsi a parte sono le versioni russe. È del 1936 il libro di Aleksej Nikolaevic Tolstoj “La piccola chiave d’oro” o “Le avventure di Burattino”, che innesta le vicende del personaggio collodiano nella tradizione favolistica russa, accompagnandolo a personaggi che assumono un rilievo particolare, come Pierrot. Dal libro sono state tratte due versioni: “La chiave d’oro” (Zolotoy Klyuchik,1939) di Aleksandr Ptushko, che unisce la stop-motion animation con l’azione dal vivo e “Le avventure di Burattino” (Priklyucheniya Buratino, 1959) di Ivan Ivanov-Vano, disegni animati di considerevole valore artistico.
Per approfondire:
• Il gruppo su Facebook di Pinocchio 2.0
Carlo Ridolfi