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Autonomia scolastica: chimera burocratica o chiave per il futuro del Paese?

Pubblicato il: 14/12/2024 11:04:13 -


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Organismi democratici come Consiglio d’Istituto e Collegio docenti, e lo stesso Dirigente (o a mezzo dirigente, quando è condiviso con altre scuole), dovrebbero garantire a ogni istituto l’autonomia scolastica. Sarebbe effettivamente così, com’è ovvio, se questi soggetti disponessero di reali poteri. Ogni insegnante inizia la sua carriera come precario assegnato da un algoritmo ministeriale a una determinata scuola, il cui contributo alla decisione di conferirgli l’incarico è stato pertanto nullo. Questo è già sufficiente a insinuare qualche dubbio. Se poi scorriamo una qualsiasi Ordinanza Ministeriale, che prende le mosse da una lista di pagine piene di VISTO… e RITENUTO…, seguiti da litanie di riferimenti normativi, ogni dubbio lascia il posto a una certezza: Dirigente, Consiglio e Collegio non sono liberi, ma avviluppati in un inestricabile groviglio normativo: l’autonomia scolastica resta una chimera.

La didattica della scuola italiana, tuttora improntata al paradigma gentiliano, è ancora quella del Paese povero che eravamo un secolo fa, e il modello gestionale è anch’esso novecentesco: i nostri ragazzi viaggiano verso la loro vita adulta su un mezzo vetusto e rugginoso. Non meraviglia che molti, nel confronto con gli altri Paesi UE, decidano di allontanarsene appena possibile. Uno spreco cui deve aggiungersi quello dovuto all’impronta classista della nostra scuola, in cui la scelta tra liceo e formazione tecnico-professionale è quasi sempre dettata dalla condizione economica della famiglia, non dalla vocazione dello studente. Da tutto ciò deriva un’enorme quota di giovani talenti non coltivati. Ancora una volta, non meraviglia che al tempo della cosiddetta economia della conoscenza quella italiana non cresca più da molti anni, ed è amaro considerare che a nulla è valso aver dato i natali ad Antonio Gramsci (denunciò il classismo della scuola nel lontano 1916), ad Altiero Spinelli (ne propose il superamento nel Manifesto di Ventotene) e ai Padri Costituenti (vedi l’art. 34, tuttora privo di leggi applicative).

La soluzione della grave arretratezza della nostra scuola non può che essere una riforma coraggiosa e radicale; a questo punto: distruttiva e ricostruttiva. L’autonomia scolastica può essere la soluzione sul versante gestionale: burocrazia a scuola anziché al Ministero: sistemi decisionali interni, o vicini, degni di questo nome: dotati di reali poteri, come suggeriscono la letteratura scientifica e i sistemi di maggior successo formativo al mondo. Non mancherebbero ricadute positive sul versante didattico, in forma di valore aggiunto rispetto ai quadri orari ministeriali. Questa non è una previsione astratta: trova riscontri all’estero e presso le superiori italiane pubbliche non statali, che potremmo chiamare scuole della Repubblica; si tratta delle civiche che, essendo paritarie, applicano la didattica ministeriale e fanno parte del sistema nazionale d’istruzione, come le statali, ma sono di proprietà e gestione comunale. Furono istituite da molti Comuni ai tempi in cui lo Stato, in un’Italia da poco unita, non riusciva ad assolvere pienamente l’obbligo formativo dei suoi cittadini. Ne sono rimaste solo tre, due a Genova e una a Milano, che hanno evitato la statizzazione toccata in sorte alle altre, divenute troppo onerose da mantenere dopo i tagli dei trasferimenti centrali ai Comuni. Un’amministrazione comunale è un “padrone” più vicino, ma assai meno invadente di un ministero; le scuole civiche hanno un superiore successo formativo, misurabile e oggettivo: un’autonomia vera ha loro permesso lo sviluppo di personalità individuali, proprio come le persone nate e vissute in democrazia: uguali nella libertà, diverse nella personalità. Poche statali ci riescono, telecomandate come sono dal burocrate centrale.

Nel dibattito pubblico la questione è assente, come se scuola e futuro del Paese non fossero la stessa cosa: si parla molto, invece, di autonomia differenziata, cosa assai diversa: consiste nella devoluzione di potere legislativo ed esecutivo da Roma alle Regioni, cioè nella moltiplicazione dei fili cui le nostre povere scuole di Stato sono appese come burattini.

Bernardo Gabriele, docente nelle superiori, già dirigente d'azienda nel settore informatico, direttore delle scuole della Fondazione Fulgis.

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