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I figli degli immigrati a scuola

Pubblicato il: 08/05/2024 05:14:53 -


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In campagna elettorale tutto è lecito per cercare consensi e l’ostracismo nei confronti degli immigrati è un motivo che ricorre periodicamente in diversi aspetti della nostra organizzazione sociale. Siamo alla vigilia delle elezioni europee e ci può essere anche chi voglia connotarle di spirito nazionalista e quale migliore occasione per sollecitare la sensibilità di una popolazione aggrappata ad una rassicurante identità nazionale che non sia quella di far vedere minato il successo formativo dei propri figli a causa dei figli dei migranti. 

Il processo di integrazione di questi nuovi studenti nelle nostre scuole è in atto da tempo e sentire ancora dire da certa politica che la loro presenza può ritardare l’apprendimento se non è strumentale è sicuramente anacronistico; se i primi consistenti arrivi potevano far pensare ad una loro equilibrata distribuzione nelle classi, oggi che la maggior parte di loro è nata in Italia ed ha seguito le scuole di base nel nostro Paese, ma per lo stato italiano sono ancora stranieri fino a diciotto anni e oltre, la situazione è molto cambiata; si sono scoperte addirittura delle eccellenze e si sono evidenziati i progressivi miglioramenti nelle competenze fondamentali, nonchè i risultati positivi sul piano della motivazione e della socializzazione.

Il merito particolare del successo di numerosissime esperienze, che non vengono capitalizzate e diffuse per pregiudizio politico, è del personale scolastico che è stato capace di interpretare le esigenze educative di questi giovani, di coinvolgere le loro famiglie e di aprire prospettive di lavoro, sulla scorta della visione democratica e personalista della nostra Costituzione, e se qualche criticità è ancora presente è proprio per l’azione burocratica che impedisce anche in questo ambito il pieno dispiegarsi dell’autonomia scolastica, che nel rispetto della norma, può andare oltre alla rigida organizzazione per classi e intervenire nel rendere più flessibile il calendario scolastico e i tempi scuola.

Doversi ancora confrontare con minacce o atteggiamenti punitivi, che invocano contingentamenti tra la provenienza degli allievi o l’inserimento in anni non corrispondenti all’età, salvo poi lamentarsi perché ci sono ritardi nel percorso, oppure la costituzione di classi a “speciali”, sembra davvero di perder tempo, anziché aspettarsi dalla politica un aiuto concreto, e se ci sono difficoltà nell’insegnamento dell’italiano si può guardare all’istituzione di un’apposita classe di concorso per i docenti per la quale però non sono previsti posti di insegnamento. E non sarebbe inutile creare anche un albo professionale dei mediatori interculturali, chiedendo loro adeguata preparazione (ci sono master universitari al riguardo) utili non solo agli stranieri, ma anche alle scuole stesse per comprendere i differenti contesti. Finora i docenti hanno ricevuto supporto dal volontariato e da alcuni enti locali, perché altri hanno intralciato a questi ragazzi perfino la frequenza alla mensa.

Intanto che i politici discutono i giovani calano a vista d’occhio e le percentuali si ribaltano per questioni demografiche, per cui se non ci fossero quelli che continuiamo a chiamare stranieri molte delle nostre scuole chiuderebbero e se non interveniamo sul piano della formazione professionale per i giovani non accompagnati che sbarcano sulle nostre coste molte aziende continueranno a non trovare lavoratori. Avanti di questo passo la percentuale minoritaria sarà degli italiani, anche di fronte ad interventi per favorire la natalità che non produrranno giovani in età scolare; nel frattempo i docenti resteranno senza lavoro.

Gli stranieri non sono in aumento e la diminuzione degli italiani può far sì che le risorse soprattutto professionali esistenti presso le scuole possano essere utilizzate per cementare sempre di più le realtà territoriali e migliorare la  qualità del sistema (education prioritaire). Anche per le famiglie la presenza di ragazzi di altri paesi non è più un problema, come lo era tempo fa, perché vedono che l’inserimento di nuova linfa va a beneficio di tutta la comunità. 

La maggioranza dei nostri alunni non sarà quindi più italiana, come la intendono i nostri ministri ed allora si deve decidere se e come trasmettere il nostro patrimonio culturale e linguistico alle giovani generazioni, in presenza di altre culture e lingue; se vogliamo un processo di assimilazione, come dicono i sovranisti, che potrà tenere fino a quando terranno i rapporti demografici, oppure se, come si sta facendo in tante esperienze delle nostre scuole, adottare un approccio interculturale e interlinguistico, che consente di far dialogare le diverse culture, realizzando anche un processo di internazionalizzazione del nostro sistema formativo, che deriva dal saper comunicare in più direzioni, cosa abbastanza richiesta dalle nostre famiglie e da una società moderna e che consente di favorire un apprendimento plurilinguistico quale si evince anche dalle prove INVALSI per l’inglese.

Sull’onda della “ricostruzione” di una nuova identità sociale, tutelata dal pluralismo costituzionale, potranno essere rimessi a fuoco gli elementi del patrimonio culturale ed i valori fondamentali che stanno alla base di un condiviso vivere comune. Non è sicuramente questa una modalità per disgregare la società, come intervengono allarmati membri del nostro governo, anzi sarà l’obiettivo pedagogico dell’inclusione che, se la politica non si mette in mezzo, quella sì per dividere, proprio dalla scuola si possono trarre gli elementi che gradualmente consolidano il progresso sociale.

Con più lingue non c’è il caos come temono i nostri ministri, ma un percorso che consentirà di arrivare all’italiano insieme ad altre lingue, ed anche con la presenza dei linguaggi non verbali, il che favorisce una maggiore apertura verso contenuti di più ampia portata con una più vasta gamma di relazioni sociali.

Il futuro di tante nostre città è quello di far crescere in modo possibilmente armonico e democratico comunità formate da più provenienze, visto anche che i ragazzi, soprattutto quelli di seconda generazione, hanno sempre più punti in comune con gli italiani, da qui deriva la concezione di scuola laica, tutelata dalla nostra Costituzione, quale risultato dell’incontro e del confronto di culture diverse. Si tratta di creare un senso di appartenenza europeo tra i giovani e armonizzare le varie culture con la vita della società italiana, nonché stimolare i giovani a valorizzare il territorio in cui vivono.

L’approccio interculturale deve essere anche interreligioso e deve essere considerato in un progetto educativo per una reinterpretazione continua della realtà al fine di ricavare nuovi spazi di autonomia per i giovani, in cui le religioni sono vissute come risorse per la partecipazione sociale. L’associazionismo laico può aiutare le famiglie di varie religioni a non chiudersi in difesa, promuovendo reti sociali trasversali alla religione e alla cultura d’origine: lavorare insieme nella scuola e nella società civile per contrastare paure, stereotipi e discriminazioni.

Il pericolo che più culture vivano una accanto all’altra nell’indifferenza, che può sfociare nel conflitto, non si evita portando gli altri verso i valori fondativi di una di esse, magari quella del paese di arrivo, pensando ad un’identità fissa che le accomuni. Per farle sentire tutte appartenenti ad un unico Stato, che non sia uno Stato etico, è importante che si condividano detti valori, tenendo conto anche di quelli di cui sono portatrici le diverse provenienze. Per il ministro Valditara l’approccio pedagogico ha alle spalle l’assimilazione alla “nostra civiltà” e da lì si dichiara disposto ad una formazione scolastica che non discrimini gli stranieri rispetto agli italiani, non li ghettizzi e che abbiano parità di diritti e di doveri, a patto che a definire tali precetti siamo noi ai quali gli altri si devono uniformare. Si propone un tipo di società chiusa, tendenzialmente regressiva se abitata poco e da anziani, che finisce per tornare ad essere elitaria. L’inclusione crea solidarietà e collaborazione, l’intercultura valorizza le diverse identità in un approccio dinamico, che promuove apertura e genera innovazione. Due scuole alternative, l’una che si voleva superata e l’altra non ancora realizzata. Ma come al solito la didattica è più avanti della politica.

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