ITS Academy, una scommessa vincente ?
Il Rapporto sugli ITS Academy, commissionato dalla Fondazione Agnelli all’Università degli Studi di Milano e reso pubblico il 5 ottobre[1], è una lettura illuminante che aiuta a fare il punto, in una fase povera di strategie di lungo respiro e anche di discussioni pubbliche all’altezza dei problemi, sulle politiche che si fanno e che si dovrebbero fare in campo scolastico e formativo. Attraverso una puntuale rassegna dell’istruzione terziaria professionalizzante consolidata da decenni in quattro paesi UE ( Francia, Spagna, Germania, Svizzera ), nove studi di caso di ITS diversi per area geografica e caratteristiche, la segnalazione di ciò che resta vago o irrisolto nella legge di riforma 99/2022, viene infatti evidenziato il rischio che neppure l’ irripetibile investimento di 1,5 mld previsto dal PNRR sia in grado di superare, in mancanza di altri decisivi interventi, le criticità originarie del modello italiano. Interventi suggeriti dal Rapporto ma di cui, al momento, non c’è traccia.
Sebbene indirettamente, le duecento e più pagine del testo sono però utili anche ad altro. A collocare in un quadro realistico il recente ddl Valditara dedicato alla costruzione, per via sperimentale, di una filiera integrata in ambito locale dei percorsi di istruzione tecnica e professionale, inclusi l’IeFP, che ha come sbocco l’accesso, dopo quattro anni, all’offerta formativa ITS. La cosiddetta “quadriennalizzazione” che, a differenza di quella apparentemente archiviata dei licei e tecnici, prefigura non un accorciamento dei percorsi ma il loro prolungamento a 6 anni (4+2 ) per il conseguimento di un diploma superiore ( livello ISCED 5). E’ evidente che, per questa via, da tempo attesa e per più aspetti sensata ma di fattibilità assai problematica ( si pensi solo alle diversità territoriali quantitative e qualitative dell’IeFP, alle sovrapposizioni tra istituti professionali e formazione regionale, alla pretesa di mettere insieme tutto, dall’alternanza studio lavoro all’apprendistato, dalla nuova filiera agli IFTS ), si tenta di alimentare il sistema ITS. Il cui sviluppo però, segnala il Rapporto, è seriamente insidiato, oltre che da difficoltà gestionali ed operative delle Fondazioni che danno vita agli ITS, dall’assenza di effettivi collegamenti sia con la scuola che con l’università, un fattore invece decisivo del successo in termini di numeri e di rispondenza alle articolate esigenze del mondo del lavoro dell’istruzione terziaria professionalizzante nelle realtà europee esaminate. Può funzionare, in questo quadro, ciò che propone il ddl Valditara ? E cosa comporterebbe, in termini di curricoli, di caratteristiche sociali e culturali degli studenti coinvolti, di rapporto tra competenze culturali di base e competenze professionali una filiera indirizzata fin dall’inizio del secondo ciclo a una formazione centrata sull’apprendimento in contesti operativi? Problemi seri in un paese che, tra Stato e Regioni, ha prodotto nei quindici anni dalla sua istituzione un sistema ITS connotato da una tale gracilità che rischia di essere ingorgato più che sviluppato dall’investimento straordinario del PNRR.
Al momento gli ITS italiani, anche i migliori connotati da forti e dinamici rapporti col mondo produttivo, appaiono secondo il Rapporto, come “monadi “ isolate, “trainate soprattutto dalle imprese” . Poco visibili e poco attrattivi, ostacolati e rallentati dalla complessità dei meccanismi autorizzativi e di finanziamento, dalla strutturale debolezza operativa e gestionale delle Fondazioni, da figure professionali in uscita poco e variamente definite, dall’assenza di dispositivi di definizione delle stesse in relazione alle istanze non di singole imprese o di specifici settori ma del più ampio mondo produttivo e della programmazione economica e industriale in ambiti locale e nazionale. Perfino da un valore ancora incertissimo dei diplomi finali, non riconosciuti per esempio dai concorsi pubblici che fanno riferimento solo ai diplomi quinquennali e alle lauree, e non validi come crediti per la formazione accademica. Un insieme di condizioni che spiega perché gli ITS italiani ( 146 nel 2022 ), hanno non più di 25.000 iscritti costituendo solo l’1% dell’istruzione terziaria, contro il 27% e il 30% di Spagna e Francia, il 40% e oltre di Germania e Svizzera. Voci raccolte negli studi di caso ammettono che, a causa degli accreditamenti solo annuali da parte delle Regioni, fino a settembre non c’è spesso certezza dell’offerta formativa e quindi possibilità per le famiglie e per gli studenti di programmarne la scelta. Il profilo regionale dell’offerta, in assenza di regole nazionali cogenti, determina frammentazione, eterogeneità, incertezze su tempi e modalità dell’offerta. Gli ITS attuali sono tutti di piccole dimensioni. Solo 180 il numero medio degli studenti, ma sono 230 nel Nord, 170 nel Centro, 125 nel Sud. Differenziata territorialmente è anche la loro presenza: in Lombardia sono 25, 16 nel Lazio e in Campania, 11 in Sicilia, 1 in Umbria, Molise, Basilicata, zero in Sardegna. Il basso numero dei diplomati getta ovviamente più di un’ombra sulle altissime percentuali di inserimento lavorativo coerente con il titolo che vengono vantate dalle associazioni imprenditoriali.
Eppure anche in Italia c’é bisogno di un sistema robusto, diffuso, adeguato alle esigenze di un mondo del lavoro che non trova le figure e competenze professionali necessarie. C’è del resto un grande spazio per una nuova domanda di istruzione professionale terziaria in un sistema universitario che non attrae più come un tempo e presenta, secondo ANVUR, un tasso medio di abbandoni del 20%. C’è bisogno anche di estendere, proprio con l’attrattiva di un titolo più alto e promettente del diploma quinquennale, l’area della popolazione studentesca interessata, coinvolgendo anche chi, per provenienza sociale e performance scolastica, viene oggi indirizzato, indipendentemente da vocazioni e interessi, verso l’istruzione liceale: passa infatti da qui, e non dalle dichiarazioni dei ministri, la “pari dignità”, o meglio il prestigio sociale di questa offerta formativa. Un’altra area potenziale è quella della formazione continua e, più in generale, dell’apprendimento permanente.
Ma l’orientamento e la pubblicità potrebbero non bastare se quel sistema robusto non c’è. E’ un vizio d’origine, secondo il Rapporto, il fatto che da noi si sia scelto, o si sia stati costretti a farlo a causa delle contrarietà di gran parte del mondo accademico, di non disporre, come in altre realtà europee, di più linee di istruzione terziaria professionalizzante. Una pluralità necessaria perché la domanda del mondo del lavoro, assai più larga e articolata di quella che emerge da singoli settori imprenditoriali, richiede diversi livelli e tipologie di figure, profili, competenze e diversi mix tra apprendimenti teorici e pratici. In Francia e in Spagna le Sections des Tecniciens Superieurs (STS ) e i Ciclos formativos de Grado Superior, percorsi specialistici di riconosciuto valore, sono incardinati direttamente negli istituti tecnici e professionali, in Svizzera sono incardinate nelle università le Scuole Speciali di Specializzazioni professionale, dovunque le lauree triennali costituiscono uno spazio formativo di elezione per la formazione professionale di livello alto. Mentre da noi, dove le lauree triennali di questo tipo hanno preso piede solo nel campo delle professioni sanitarie, si pretende, con una visione parziale del mondo del lavoro e delle sue esigenze, di affidare tutto ai soli ITS. Col risultato che, nonostante la presenza nelle Fondazioni sia delle università sia dell’istruzione tecnica, le collaborazioni e le integrazioni, che pure qua e là ci sono, devono essere faticosamente costruite caso per caso a livello locale, con la variabile decisiva dell’iniziativa e dell’impegno anche finanziario delle diverse Regioni. Non ci sono sostanziali modifiche, su tutti questi temi, nella legge 99 del 2022, tant’è che resta ancora nel vago perfino la questione del riconoscimento della formazione ITS in termini di crediti per l’accesso ai percorsi accademici. Largamente irrisolte, del resto, sono anche altre criticità, sia quelle che inficiano l’efficienza gestionale e organizzativa delle Fondazioni sia quelle attinenti a una più precisa definizione nazionale delle figure professionali, al punto che nel Rapporto ricorre la definizione di “sistema acefalo”. La legge di riforma, inoltre, conferma il finanziamento nazionale di soli 50 milioni annui, una miseria rispetto all’obiettivo di arrivare rapidamente ad almeno 80.000 gli iscritti ITS ( in Germania sono 10 volte di più ). Col rischio che, dopo la fiammata del finanziamento straordinario PNRR, non ci siano a partire dal 2026 le risorse per dare continuità alla moltiplicazione dell’offerta che certamente ne deriverà. E’ anche per questo che il ddl sulla sperimentazione di una nuova filiera integrata di livello secondario finalizzata a una sostanziosa alimentazione degli ITS presenta risvolti che, allo stato attuale delle cose, non possono convincere.
[1] ITS Academy, una scommessa vincente ? L’istruzione terziaria professionalizzante in Italia e in Europa, Milano, University Press 2023 – vedi in www.fga.it
Fiorella Farinelli Politica e saggista, docente esperta di istruzione e formazione, componente dell’Osservatorio nazionale per l'Integrazione degli alunni stranieri