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Scuola e autonomia in Alto Adige Südtirol

Pubblicato il: 26/04/2023 05:31:32 -


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L’aspetto più sorprendente della vita scolastica in provincia di Bolzano è sicuramente la tripartizione del sistema in scuole in lingua tedesca, scuole in lingua italiana e scuole delle località ladine. Tre sistemi paralleli, con dirigenze e strutture separate, anche se con ordinamento quasi uguale e facenti capo tutti alla Provincia Autonoma da una parte e allo Stato dall’altra. Per chi  viene da altrove ciò desta meraviglia, per chi nasce o vive qui è la normalità, alla quale si è abituati da sempre. La fonte normativa di ciò sta nell’Accordo di Parigi del settembre 1946 tra Italia ed Austria e nell’articolo 19 dello Statuto speciale di autonomia del Trentino-Alto Adige/Südtirol (legge costituzionale) del 1972.

La seconda anomalia è appunto la competenza scolastica che è in capo alla Provincia, oltre che allo Stato, con una serie ben definita di competenze primarie e di competenze secondarie o concorrenti, che disegnano il campo e la suddivisione dei poteri nella gestione della realtà scolastica, sia politica che amministrativa. In questo l’Alto Adige richiama altre situazioni di autonomia: da una parte la vicina provincia di Trento, che condivide con Bolzano lo Statuto speciale di autonomia prima del 1948, poi del 1972;  dall’altra parte le altre quattro regioni italiane a statuto speciale fin dai tempi della Costituzione repubblicana del 1948 (Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta e Friuli-Venezia Giulia), dotate anche esse di competenze specifiche in campo scolastico che le altre regioni  italiane ordinarie non hanno. Almeno fino ad ora, anche se dalla riforma costituzionale del Titolo V del 2001 ogni regione italiana avrebbe potuto concordare con lo Stato la assunzione di nuove competenze nel campo dell’istruzione e della formazione, ricevendo per questo le necessarie dotazioni finanziarie.

Oggi il tema torna di attualità, a causa della discussione sulla proposta di autonomia differenziata che il governo di destra,  in carica dallo scorso settembre, ha rilanciato.

In base alla esperienza ormai cinquantennale di questa autonomia scolastica (da non confondersi con la autonomia delle istituzioni scolastiche, vigente dal 1997 in tutto il Paese), si può dire che i vantaggi sono stati superiori agli svantaggi. E’ vero che la norma trova una ragione nella più ampia autonomia speciale di cui gode in ogni settore tutta la provincia, in seguito agli accordi di Parigi del 1946 e alla speciale tutela della minoranza linguistica tedesca e ladina e al suo riconosciuto diritto all’autogoverno. Però questo non ha portato ad un distacco dal resto della realtà scolastica italiana ma, in linea di massima, ad una più efficiente legislazione ed amministrazione che ha valorizzato le competenze autonomistiche per adattare alla realtà locale i principi e le norme fondamentali delle leggi statali. In alcuni casi, come nel campo delle scuole materne, dell’orientamento, della formazione professionale, della assistenza scolastica, della edilizia scolastica le competenze sono primarie e quindi la Provincia legifera nel semplice quadro delle “norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica”. In altri settori le competenze sono concorrenti e quindi le leggi provinciali sono emanate nei limiti ” dei principi delle leggi dello Stato” ricorrendo così al meccanismo della “‘intesa” col Governo.  C’è quindi un ampio spazio di manovra per il legislatore provinciale per costruire un sistema scolastico che potrebbe diventare più o meno differente da quello delle altre regioni italiane, sia in bene che in male. Quanto il quadro e i contenuti locali si siano distanziati dal quelli statali o ne siano stati la copia è fin qui dipeso da scelte politiche, da contrattazioni istituzionali e dalle sensibilità prevalenti nella società e nel mondo scolastico della provincia, in particolare nella sua parte sudtirolese.

Sta di fatto che nel loro insieme tutti i passaggi e cambiamenti vissuti nel mondo della scuola in Italia si sono attuati, pur con qualche integrazione ed adattamento, anche nella scuola autonoma dell’Alto Adige -Südtirol, nelle scuole dei tre gruppi linguistici. Alcune peculiarità (ad esempio nel calendario scolastico, nelle scuole musicali, nello sport scolastico, nel trasporto alunni, nel diritto allo studio, negli organi collegiali, negli esami di stato ecc.), si sono manifestate per meglio corrispondere alla realtà del territorio, e in forma più accentuata nelle scuole di lingua tedesca; anche le tradizioni pedagogiche e gli stili didattici sono in parte differenti, assomigliando quelli delle scuole in lingua italiana al resto della penisola e quelli delle scuole in lingua tedesca al retroterra culturale e pedagogico austriaco e tedesco. I programmi di insegnamento e di esame sono stabiliti con leggi provinciali con specifiche linee guida, ma rispecchiano molto da vicino i corrispondenti programmi statali e devono essere concordati con le autorità statali anche ai fini del riconoscimento dei titoli di studio. Si può insomma parlare di un sistema scolastico in parte differenziato, ma ancorato nei profili generali al sistema di istruzione generale del Paese. Tanto che, anche a livello delle associazioni di categoria e dei sindacati, nel corso degli anni si sono più volte levate voci che proponevano maggiore coraggio nella innovazione scolastica, sfruttando e valorizzando ben più ampiamente le competenze a disposizione in tanti campi. Un “coraggio dell’autonomia” che avrebbe potuto dispiegarsi maggiormente con interventi su settori rimasti immobili o quasi: ad esempio il rapporto con la università e la ricerca educativa, la carriera e l’articolazione della funzione docente, la lotta alla dispersione scolastica, la integrazione tra istruzione, formazione e apprendistato, la formazione tecnica-superiore, il rapporto col mercato del lavoro.

I rischi di disgregazione o frammentazione del sistema scolastico sono quindi inesistenti e non si può parlare di un rischio di dispersione se anche nelle altre regioni si impostasse un programma di gestione scolastica autonoma e differenziata  per rispondere meglio a specifiche esigenze delle diverse aree del paese. La garanzia  dovrebbe essere quella di una cornice unitaria e di livelli essenziali di servizio da adempiere; ma soprattutto di una guida illuminata e competente da parte dei decisori politici e di dotazioni finanziarie adeguate. E’ chiaro infatti che la autonomia per funzionare deve avere tutti i mezzi devoluti allo scopo dallo Stato, senza sperequazioni e disuguaglianze fra i territori, ma anzi semmai con dotazioni compensative per le realtà più deboli e svantaggiate.

Un particolare risultato raggiunto con la autonomia altoatesina riguarda il personale scolastico che, pur rimasto statale in tutte le garanzie di stato giuridico ed economico, viene amministrato con delega dalla Provincia. Ciò ha consentito di attivare  una contrattazione giuridica ed economica integrativa di quella nazionale, cui ha aderito la quasi totalità dei dirigenti e dei docenti (i non docenti sono da sempre dipendenti provinciali, come pure i docenti delle scuole di formazione professionale) e ha portato ad un consistente incremento dei livelli retributivi (“indennità aggiuntiva”) a fronte di un impegno lavorativo maggiorato sia in ore di insegnamento che in ore di attività collegiali. Tutta la partita del personale, quindi anche organici, concorsi, reclutamento, formazione e aggiornamento dei docenti fa capo alle tre Intendenze scolastiche che dipendono non da Roma, ma dalla Giunta Provinciale.

Se tutto questo abbia portato anche ad un innalzamento della qualità formativa nella scuola dell’Alto Adige, oltre all’indubbio alto livello delle infrastrutture materiali (edilizia, biblioteche, trasporti ecc.) grazie all’investimento economico e alla buona amministrazione dell’ente pubblico,  rimane al momento un punto interrogativo. Due segnali sembrano tendere verso un ragionato pessimismo, ma le cause di questo non possono essere del tutto attribuite alla gestione politica della Provincia, né se ne potrebbe dedurre, come ipotesi controfattuale, che le cose  andrebbero meglio se la gestione dell’istruzione anche qui fosse statale e centralizzata. Sta di fatto che dal punto di vista linguistico, a distanza di tanti decenni, non si è raggiunto un pieno livello di competenza plurilingue nella maggioranza degli alunni anche dopo l’intero ciclo di studi, pur essendo parificate le lingue italiana e tedesca e pur essendo riconosciuta da tutti la importanza del bilinguismo per vivere qui. Questa è sicuramente la peggiore performance della autonomia scolastica, pur con i notevoli sforzi compiuti a livello della didattica e dell’incremento del monte ore di insegnamento; fattori che non sono sufficienti a spiegare cause profonde di demotivazione e insuccesso dovute a ragioni sociali e politiche legate alla non sempre facile convivenza tra i diversi gruppi linguistici. E questo rende sempre più impellente la richiesta che viene da ampi settori della società e del mondo sociale ed economico di promuovere un salto in avanti, rispetto al modello delle scuole separate, attraverso la istituzione, ove venga richiesto dall’utenza, di una possibile opzione aggiuntiva di insegnamento plurilingue,  sul modello delle scuole delle località ladine, dove una parte dell’insegnamento e apprendimento si svolge in lingua tedesca e una parte in lingua italiana. Qui non solo i contatti e la integrazione interculturale risultano molto favoriti, ma soprattutto il livello della competenza e della comunicazione linguistica  raggiunge un vero risultato di bilinguismo e trilinguismo, con sicuri vantaggi anche ai fini della comprensione e della convivenza tra i diversi gruppi. Fino ad ora il gruppo linguistico tedesco e la maggiorparte della sua rappresentanza politica si oppone a questa prospettiva, richiamando i torti subiti nel periodo fascista e il rischio sempre presente di una possibile assimilazione; ma il tema sta maturando anche se molto lentamente e restando sempre oggetto di forti contrasti  politici.

L’altra spia preoccupante sul vero stato della salute scolastica altoatesina si riferisce alle prove Invalsi e Pisa che da diversi anni collocano la scuola altoatesina in posizione di retroguardia. Ma non si può generalizzare: anche qui gli uffici della valutazione scolastica, ben distinti linguisticamente e amministrativamente tra i tre ordini di scuole, hanno dovuto assegnare un punteggio basso alla scuola italiana e un punteggio medio-alto (rispetto alla media nazionale e anche del settentrione) alla scuola tedesca e ladina. Da anni si discute sulle possibili cause di un tale insuccesso della scuola altoatesina italiana nelle prove Pisa e Invalsi, ma nessuna convincente spiegazione finora è stata data.

 

Carlo Bertorelle Insegnante nella seconda di secondo grado, ex dirigente CGIL scuola di Bolzano, dirige la rivista culturale Il Cristallo

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