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Le linee guida sull’orientamento: siamo sulla buona strada?

Pubblicato il: 25/01/2023 04:07:26 -


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Per quanti  studenti il tipo di scuola o l’indirizzo scelto all’uscita dal primo ciclo si rivela alla prova dei fatti una decisione sbagliata? Secondo uno  studio  Invalsi di  qualche anno fa si tratta del 20%, secondo Almadiploma di molti di più, attorno al 45%. Se non è scontato che un buon orientamento scolastico  elimini del tutto il rischio ( a 13-14 anni  ovviamente altissimo ) di scelte sbagliate, è invece certo che in  parte delle attività che si svolgono  nella scuola media, l’unica  in cui i consigli orientativi sono formalmente previsti,  c’è molto che non va. Sono, per fare un esempio, gli eventi  autopromozionali degli istituti del secondo ciclo, i cosiddetti open day, spesso del tutto inutili e talora fuorvianti rispetto alla verifica e allo sviluppo delle motivazioni  degli studenti. Quanto ai consigli orientativi rilasciati insieme al diploma, avviene ancora che l’unica bussola siano i diversi livelli di successo scolastico, con i più “bravi” indirizzati al comparto liceale e gli altri a quello tecnico-professionale o, nei casi peggiori, all’IeFP. Uno studio recente del sociologo Gianluca Argentin  evidenzia però che, anche a parità di risultati, i ragazzi con background migratorio vengono meno frequentemente indirizzati ai licei dei  compagni “italiani”: a pesare, dunque, possono essere anche stereotipi sociali o di altro tipo, forse l’idea che le loro famiglie non possano permettersi  percorsi formativi lunghi e impegnativi, forse il non-detto per cui le seconde generazioni non potrebbero aspirare a professioni di livello molto più alto di quelle dei genitori. Consigli inappropriati derivano anche da mentalità, ritenute superate ma forse non abbastanza neppure nel mondo dell’istruzione, che  discriminano  tra percorsi considerati più o meno adatti, per profilo culturale  e  sbocchi professionali, secondo il genere degli studenti, un problema ostinato nel rapporto ancora complicato delle ragazze con le discipline e i percorsi STEM. Più in generale bisogna riconoscere che  la scuola italiana manca di una solida cultura professionale  sull’orientamento, di una sua collocazione distinta nel quadro delle attività educative, dell’attribuzione di funzioni specifiche a figure appositamente preparate. Orientare, cioè  aiutare i ragazzi  a scegliere con la maggior consapevolezza e libertà possibile sia dei loro  effettivi interessi e attitudini sia delle caratteristiche e delle prospettive professionali dei diversi percorsi, implica interventi in continuità, identità e posture professionali differenti da quelle tipiche dell’insegnamento e della valutazione, dialogo con le famiglie ma tenendo sempre al centro punti di vista e  vocazioni  degli studenti. Chi orienta deve essere un soggetto “terzo” tra  scuola e  famiglie, di supporto diretto e personalizzato  agli studenti. Che deve conoscere bene il sistema intero dell’istruzione e della formazione, e delle sue connessioni tutt’altro che lineari con il mondo del lavoro.

Un’attività, insomma, complessa, delicata e difficile. Soprattutto nel passaggio dal primo al secondo ciclo, con ragazzi  costretti a scegliere troppo presto, a metà  dell’ultima classe della media, due anni e mezzo prima di concludere l’obbligo di istruzione, in una scuola che non prevede mai una rosa di attività opzionali con cui allenarsi alla responsabilità della scelta e all’autoanalisi di propensioni e capacità, e in un biennio che, in quanto  non unitario, non facilita né prevede supporti ad eventuali cambiamenti di  indirizzo .  Proprio per questo la priorità  attribuita dal PNRR al finanziamento dell’ orientamento promosso dalle università per il proseguimento negli studi di livello terziario ( per di più solo  accademici, trascurando quindi gli ITS e la filiera sottostante dell’IeFP ) e’  sembrata fin dall’inizio una scelta strabica, a dir poco riduttiva.  E’ quindi una buona notizia che, ottemperando con nuove “Linee guida sull’orientamento“ ( DM 328- 22.12.2022 ) all’impegno assunto con il Piano di vararne  la “riforma”, il ministro Valditara abbia finalmente  adottato un approccio  più sistemico che,  contemplando  anche le tre classi della scuola media e le due del primo biennio della secondaria di II grado, mette a fuoco anche la cruciale transizione dal primo al secondo ciclo. Ha un profilo innovativo anche la specificazione, tra gli obiettivi dell’orientamento, della sua funzionalità di contrasto agli abbandoni precoci e di sostegno ai passaggi orizzontali da un indirizzo all’altro. Quanto alle modalità operative, è apprezzabile  che vengano delineati appositi spazi orari per lo svolgimento delle attività, e che sia individuato un insieme di  funzioni da attribuire a una nuova figura o profilo professionale, quello dei  docenti-tutor, e precise responsabilità di coordinamento a livello di istituto. Primi passi che richiederanno ulteriori approfondimenti.  Qualche perplessità genera tuttavia  la previsione, francamente incomprensibile, di attività riferite all’orientamento anche nella scuola primaria e perfino in quella dell’infanzia ( mentre viceversa sono curiosamente non considerate le scuole di istruzione degli adulti dove l’orientamento è con tutta evidenza un’attività strategica  ) che non aiuta a definirne il campo e rischia di dar luogo a pericolosi fraintendimenti educativi. E’ inoltre  lecito dubitare che a configurare una “riforma” bastino delle linee guida, ancorché emanate per decreto, che non sono sostenute al momento da norme, regolamentazioni contrattuali, piani finanziati di formazione, criteri per l’individuazione da parte delle autonomie scolastiche dei docenti tutor e per la definizione dei contenuti e delle attività orientative.  Tutto quello che serve, insomma, per far decollare una vera svolta che, secondo l’intendimento del ministro, dovrebbe materializzarsi a breve, nel settembre 2023. 

Lo schema operativo presentato nelle Linee guida indica 30 ore l’anno per attività sia curricolari che extracurricolari nelle tre classi di scuola media e nelle due del primo biennio di secondaria di II grado, e 30 ore di attività  solo curricolari nelle classi del triennio. Si tratta, come per l’educazione civica, di attività affidate  alla progettazione di istituto che non configurano una “materia” ma implicano contenuti e pratiche di tipo trasversale e pluridisciplinare.  E’ invece una differenza sostanziale l’introduzione del docente-tutor cui si attribuiscono quattro funzioni : tutoraggio degli studenti,rapporti con le famiglie, azioni orientative, cura della documentazione delle attività, esperienze, risultati da raccogliere in un portfolio che segue in continuità il percorso  degli studenti. Altre funzioni, di coordinamento e di messa a disposizione dei docenti-tutor, delle famiglie, degli studenti, di dati e informazioni utili, sono affidate a un responsabile  di istituto. Sarà poi attivata  una piattaforma digitale sull’orientamento, sul sistema di istruzione e formazione, sulle sue connessioni con il mondo del lavoro, sulle professioni e sull’andamento e le caratteristiche del mercato del lavoro. 

Ce n’è abbastanza per allarmare tutti coloro che,  dentro e fuori la scuola, vedono in ogni riferimento al rapporto tra scuola e lavoro una minaccia all’autonomia dell’educazione, alla cultura, al cosiddetto “pensiero critico”.  Ma non è qui il problema. Nelle scelte dei percorsi di istruzione, fin dal passaggio dal primo al secondo ciclo, pesano quasi sempre aspettative delle famiglie e degli studenti sulle prospettive professionali future, ed è bene che le scelte siano il più possibile informate e consapevoli di che cosa può comportare  un tipo di scuola invece che un altro. E’ invece inquietante che, nel testo delle Linee guida e ancor di più nelle tante dichiarazioni in proposito del ministro Valditara, si sottolinei  che il tutoring avrà come destinatari  i ragazzi con più difficoltà e quelli più brillanti, “che a scuola si annoiano e sono interessati a accelerare i tempi “. Una polarizzazione che insidia la funzione di un orientamento capace di valorizzare e di offrire appropriate indicazioni alle propensioni e agli interessi di ciascuno. C’è di sicuro bisogno di approfondire, dunque, come chiedono alcune organizzazioni sindacali, e  di regolamentare per via normativa e contrattuale, ciò che al momento è poco più di un annuncio. L’introduzione di una nuova figura specialistica nella scuola richiede precisazioni  sui criteri di individuazione dei docenti tutor, numeri, formazione, tempi di lavoro, compensi,  e quant’altro. E’ già successo che in nome dell’”unicità della funzione docente” altre proposte relative alle funzioni e figure per l’attuazione dell’autonomia scolastica siano state respinte e cestinate. Bisognerebbe, questa volta, fare meglio.   

 

Fiorella Farinelli Politica e saggista,  docente esperta di  istruzione e formazione, componente dell’Osservatorio nazionale per l'Integrazione degli alunni stranieri

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