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Quali risposte alle richieste degli studenti?

Pubblicato il: 23/02/2022 05:22:08 - e


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Abitudini, modi di agire e di comunicare, riti collettivi si sono profondamente modificati in questi due anni di pandemia. Anche nella vita delle scuole  ci sono state scosse e  trasformazioni, ma niente di nuovo o di significativo sembrava venir fuori dalle mobilitazioni degli studenti, spesso legate a problemi di funzionamento, aperture e  chiusure,  DAD e  DID,  trasporti e  orari. Come se, in attesa che passasse la pandemia, ci fossero solo o soprattutto processi di adattamento con il tentativo  di giocare i ruoli di sempre, qualche occupazione, qualche autogestione, quasi sempre  effimere, senza cambiamenti visibili  di comportamenti, approcci, proposte. In sintonia con il clima prevalente nel Paese, spiccava solo la richiesta di tornare al più presto nella normalità, la scuola  intesa come socialità, relazioni tra i pari, rassicurante routine.

A provocare una nuova mobilitazione è stato, paradossalmente,  proprio il profilarsi di quel pur agognato ritorno alla normalità. Una normalità rappresentata dalla sensata decisione del Ministro dell’Istruzione di  ripristinare un esame di Stato che  contempli di nuovo due prove “scritte” delle quali  la seconda, in considerazione dell’intermittente funzionamento  degli ultimi due anni,  definita dagli insegnanti di classe sulla base del curricolo effettivamente svolto. Cè da chiedersi  quanto nella rivendicazione  di un esame di Stato ancora una volta in versione light, quella adottata giocoforza per l’impatto della pandemia, sia dovuto alle  apprezzate  convenienze di un esame ridotto a un solo facilissimo “colloquio” o piuttosto a ciò che ben prima della pandemia si è via via irresponsabilmente  fatto strada, l’esame dei quasi tutti promossi, della scelta a grandissima maggioranza del generico “tema di attualità”, di un dispositivo di valutazione che copre con un voto unico gli specifici  risultati nei diversi campi disciplinari. E quanto anche all’idea, più  comprensibile per i liceali destinati all’università ma assai meno per gli studenti dei tecnici e dei professionali, di una seconda prova  come  un inutile “stress”. 

Ben diverso, per contenuto e per spessore etico e sociale,  è però l’altro ingrediente delle mobilitazioni di questi giorni, la grande e autentica emozione  per gli infortuni  mortali in fabbrica di Lorenzo Parelli, e pochi giorni dopo anche di Giuseppe Lenoci, allievi entrambi dei percorsi triennali di istruzione e formazione professionale che prevedono, come non può non essere,  consistenti esperienze di formazione in contesti operativi. Ma lo choc, e il commosso e solidale abbraccio degli studenti ai due ragazzi vittime, come tanti altri lavoratori giovani e adulti, delle “morti bianche” non si è tradotta  in una mobilitazione sulla sicurezza nel lavoro, in un’apertura e in una discussione sui temi e sui problemi del lavorare, ma è istantaneamente  virata – complice un circuito mediatico-politico interessato ad altro – nella pretesa di abolizione di ogni rapporto tra studio ed esperienze di lavoro. In una sorta di campagna per l’abolizione dell’”alternanza”, demonizzata come “fornitura alle aziende di manodopera gratuita“, sfruttamento capitalistico, cinico allenamento al lavoro precario e sottopagato, e una serie di altre nefandezze. Un disastro di disinformazione, pregiudizi, sterili ideologie.  Ma  cosa ci dice tutto ciò  dell’esperienza che gli studenti hanno fatto dell’alternanza, prima e durante la pandemia, di come è stata utilizzata, di che cosa ha prodotto in termini, di apprendimenti, di cultura, di educazione ? E cosa potrebbe raccontarci  dell’idea di lavoro che la nostra scuola – l’educazione civica, la storia, il diritto, le scienze, le tecnologie  – trasmettono alle nuove generazioni ?  

Dopo qualche inappropriato intervento delle forze dell’ordine che ha aggiunto una buona dose di ulteriore improvvida eccitazione, sui   temi al centro di questa mobilitazione degli studenti  stanno fortunatamente arrivando, da parte di viale Trastevere, alcune risposte. Già definite per quanto riguarda la maturità ( anche se devono ancora pronunciarsi le commissioni parlamentari competenti), assai meno sull’alternanza, e più in generale sui percorsi a modello “duale” (perché affidate a un  approfondimento dei due ministeri dell’istruzione e del lavoro che è appena iniziato). Entrambi gli scritti ci saranno, il 22 e il 23 giugno, ma il secondo scelto dagli istituti scolastici, e  con un’attribuzione di punteggi che diminuisce ancora il valore della prova d’esame rispetto a quello del percorso scolastico del triennio. Il ministro Bianchi (e forse, secondo alcune indiscrezioni, il presidente Draghi) ha tenuto il punto, aggiungendo però, in omaggio alla contrarietà degli studenti allo studio – lavoro   o al fatto che la sua attuazione è stata assai compromessa dalle restrizioni imposte dalla pandemia,  l’eliminazione della partecipazione all’alternanza  dai requisiti d’accesso all’esame (come del resto è stato deciso per i test Invalsi). Ma dei PCTO si parlerà comunque nella prova orale, il cosiddetto colloquio. 

Quanto al promesso restyling dell’alternanza, il gruppo di lavoro interministeriale, a cui saranno forse associate le Regioni competenti per l’istruzione e formazione professionale, avrà come priorità l’adozione di specifici protocolli di sicurezza sul lavoro, ma non è escluso che  collegandosi alle riforme previste nel PNRR (dell’istruzione tecnica e dell’orientamento) possano esserci  significative modifiche dei percorsi. Quella di cui si sta discutendo pare che sia  il rafforzamento  dell’ alternanza nell’istruzione tecnica e professionale (dopo l’intervento demolitore del ministro Bussetti  il monte ore è stato ridotto  a 150 ore nei primi e a 210 nei secondi) e l’eliminazione, o un ulteriore annacquamento nei licei (oggi solo 90 ore nel triennio). Dovrebbe restare fuori il modello del “duale” nell’istruzione e formazione professionale  per cui il PNRR prevede un rafforzamento, con un investimento di 600 milioni. Vedremo. 

Per il momento si può dire che, dopo anni di mobilitazioni studentesche sostanzialmente irrilevanti quanto a risultati, questa volta non sta andando  così, ed è ovviamente  positivo. Che il Ministro dell’Istruzione , seppur tardivamente, abbia ascoltato gli studenti, che abbia preso sul serio le loro richieste, che si adoperi per  trovare nuove soluzioni, che si impegni a coinvolgerli in un dialogo fattivo e costruttivo dà significato e valore al movimento, e può far bene alla partecipazione civile e sociale degli studenti. Molte  reazioni alle manifestazioni studentesche da parte del mondo politico, sindacale, e del circuito mediatico –  di gran parte, insomma, del mondo adulto – sono state deplorevoli. Vi sono state  interferenze e confusioni nel movimento, che non hanno contribuito a chiarire il significato dell’esame così come il valore della formazione nel lavoro.  Pessimo spettacolo.  Col risultato, nel secondo caso, di confermare l’idea sbagliata che la tragedia di Lorenzo e di Giuseppe non sia dovuta alla scandalosa sottovalutazione delle condizioni di sicurezza di tanti contesti lavorativi che in Italia produce tre-quattro vittime ogni giorno ma al fatto che, in quanto studenti, i due ragazzi non dovessero essere dove erano. La scuola  come regno della libertà, il lavoro come regno della necessità, dello sfruttamento, del pericolo.  Poche e inascoltate anche le voci di chi ha provato a riflettere sui pericoli della continua svalorizzazione delle prove d’esame come conseguenza di un’idea di scuola attenta più al benessere emotivo che capace di preparare alle sfide della vita adulta, alla responsabilità verso se stessi e gli altri, alla cittadinanza attiva. Non è così che si prendono sul serio gli studenti, che si interpretano con intelligenza i disagi e le paure, o che si dà risposta alle loro esigenze reali.  Il mondo degli adulti italiani, invecchiato e ripiegato su se stesso, sembra capace, di fronte  al baratro intergenerazionale e alle difficoltà oggettive e soggettive di transizione alla vita adulta e lavorativa dei giovani,  solo di indulgenze e protezioni, non di strategie  efficaci per assicurare prospettive realisticamente migliori per il loro futuro.  

E’ possibile fare una specie di bilancio di quanto accaduto in questi giorni,  facendo un minimo di chiarezza sui  problemi aperti sugli esami di stato, che non sono solo quelli di maturità ma anche quelli a conclusione della scuola media? Come ricollocare la seconda prova conferendole una specifica importanza nella valutazione  del profilo dello studente? Come ridefinire il rapporto tra studio e lavoro, anche nei licei, potenziandone il valore educativo, formativo, orientativo. Si tratta ora di ricostruire una discussione su temi importanti, per i giovani e per il sistema educativo, che contribuisca a dare respiro strategico agli investimenti e alle riforme previste nel PNRR, un programma troppo frammentato per non correre il rischio di disperdersi in azioni poco efficaci e coerenti e di sprecare, ancora una volta, le risorse disponibili. 

Fiorella Farinelli, Vittoria Gallina

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