Le competenze per il lavoro e gli immigrati
Come sarà il mercato del lavoro nel 2050? Quali particolari abilità saranno necessarie? È difficile prevederlo; ciò che ci viene indicato dalle ricerche vicine al mondo delle imprese è soprattutto riferito ai vuoti dell’attuale sistema produttivo: nella parte più bassa, cioè quella senza particolari competenze, che però non riscuote interesse da parte dei giovani e delle famiglie, o in quella più alta, che è sempre più votata al digitale o a specializzazioni molto particolari che rimangono in una cerchia ristretta di professioni.
Un altro fronte che fa capolino dietro a un sistema formativo con indirizzi rigidi e con definite performance riguarda un diverso rapporto tra formazione generale e professionale, che richiederebbe curricoli flessibili, meno tecnico-esecutivi e più legati alla vita dei futuri lavoratori, alla loro capacità progettuale, relazionale e creativa.
Non si tratta soltanto del timore che le macchine possano rimpiazzare il lavoro umano ed espellere così i lavoratori dal circuito produttivo, ma della necessità che si insegni a gestire il cambiamento e la capacità di reinventare anche gli stessi soggetti. Le professioni che si presentano a un bambino che oggi frequenta la scuola primaria saranno completamente cambiate quando sarà maggiorenne e sarà alle superiori o all’università. Più è stata dura la fase di costruzione della propria professionalità e più sarà difficile superarla e fare spazio al nuovo, mentre per contare ancora qualcosa non solo economicamente, ma socialmente, c’è bisogno di continuare a imparare a tutte le età.
Gli insegnanti a volte hanno questa flessibilità altre sono anche loro il prodotto del vecchio sistema educativo che per quanti risultati abbia raggiunto in passato, non funziona più; la tecnologia può aiutare, ma attenzione a non diventarne ostaggi. L’UE in questi ultimi decenni ha molto lavorato per adeguare le competenze degli individui all’innovazione delle professioni, con riflessi sulla valutazione e il riconoscimento dei crediti tra i diversi Paesi, fino ad arrivare alla definizione dei requisiti per l’apprendimento permanente, che oltre alla crescita delle persone nell’adolescenza e nell’età adulta, favoriscono lo scambio non solo tra i sistemi educativi, ma anche tra i migranti dentro e fuori la stessa Unione.
Si tratta, secondo lo schema europeo, di possedere un ampio spettro di abilità da sviluppare nel corso della vita, sia nell’apprendimento formale che non formale ed informale. Andranno perseguite competenze alfabetiche funzionali, digitali, ma anche sociali, civiche, imprenditoriali, espressive e culturali. Comunicare e relazionarsi con diversi soggetti, risolvere problemi e seguire il progresso tecnologico, imparare a imparare, interpretare criticamente i principali eventi della storia. Tali competenze stanno alla base di qualsiasi impianto professionalizzante, e aiutano alla comprensione della dimensione socio-economica e della relazione multiculturale.
Ciò consente da un lato l’internazionalizzazione del nostro sistema formativo e dall’altro l’integrazione tra imprese italiane e straniere, che crescono sempre di più, favorendo un trend di cittadinanza, anche nell’ambito dei servizi sanitari, sociali, educativi, ecc., che tende sempre più all’unificazione. Questa tendenza potrà superare anche le difficoltà di riconoscimento dei titoli di studio conseguiti all’estero da parte di stranieri che operano in Italia e renderà più snello un mercato del lavoro che ha scarsa mobilità occupazionale e quindi sociale.
In luogo di grandi complessi produttivi e di categorie professionali omogenee e riconoscibili prende piede un modo di produrre dai contorni sfocati e mutevoli, più instabile e composito, dove le piccole imprese si moltiplicano e gli statuti contrattuali si diversificano ed è sempre più difficile individuare figure professionali definite. In questo modo gli immigrati trovano spazi in cui spendere la propria capacità di lavoro; in mancanza di politiche esplicite di reclutamento sono gli immigrati stessi attraverso le reti di relazione interne alle varie comunità e di collegamento con la madrepatria a promuovere l’arrivo di nuova manodopera.
Si tratta di gettare ponti tra le skills maturate nei Paesi di provenienza e le opportunità professionali esistenti nelle nuove terre di approdo, per raccordare un sé attuale con un sé futuro nella dimensione di una continua crescita, assecondando una domanda di orientamento formativo e professionale dei migranti; esplorare nuovi sé possibili per far fronte ai mutamenti del mercato del lavoro. Si devono coniugare efficacia, progresso e progetto con tradizione e memoria.
L’individualismo delle società post-industriali contrasta con la concezione olistica e comunitaria della persona fondanti le diverse culture, che valorizzano l’appartenenza più dell’autonomia, la fedeltà al gruppo più dell’indipendenza dei suoi membri. Un progetto individualizzato viene messo in discussione se il soggetto appartiene a una cultura comunitaria, come spesso si verifica nei processi migratori.
Sono però gli individui e non le culture a entrare in contatto, ma non si può dimenticare la loro appartenenza a gruppi sociali e il contesto che influenza le personalità individuali; il compito della pedagogia interculturale consiste nell’interpellare le diversità, sfuggendo alla duplice tentazione di eliminarle o trasformarle, per promuovere la capacità della persona di confrontarsi con il diverso, impedendo la fissazione rigida di identità contrapposte, per collaborare alla costruzione della convivenza.
Gli italiani di domani non avranno un background etnico, culturale. religioso tendenzialmente omogeneo e i sociologi rilevano che ogniqualvolta gli immigrati sono stati accolti come potenziali cittadini futuri, le differenze culturali non hanno mai pregiudicato l’integrazione; quest’ultima infatti dipende non tanto da differenze culturali o livelli di istruzione, ma dalle politiche pubbliche in fatto di cittadinanza. La scuola è al centro della capacità di accettare e trattare le diversità culturali e di predisporre misure di accoglienza e accompagnamento per i figli degli immigrati. Solo quando questi ultimi avranno conosciuto una sufficiente mobilità sociale allora la percezione della differenza razziale verrà modificata.
Gian Carlo Sacchi Esperto di politica scolastica. Ha fatto parte del Consiglio di amministrazione dell’INDIRE e ha fatto parte del comitato Scientifico della Regione Emilia Romagna per le esperienze di integrazione tra istruzione e formazione professionale.