Il sistema scuola come ‘gnommero’ istituzionale
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Abbiamo aperto questa annata della rivista con un contributo di Mario Fierli [LINK ALL’ARTICOLO] sulle prospettive di rilancio della scuola a medio e lungo termine. Mario Fierli è stato un protagonista del riformismo scolastico in molti ambiti: da quello militante del docente a quello innovativo del ricercatore educativo a quello amministrativo e politico del dirigente generale del Ministero. Lo dico perché il suo articolo, che consiglio di rileggere attentamente, è denso di esperienza e di consapevolezza teorica che in una lettura veloce di un testo elettronico potrebbero sfuggire. L’articolo merita un contraddittorio e mi permetto di intervenire su quella linea sperando di non uscire troppo dal seminato.
Se gli avessimo chiesto di scrivere l’articolo ora, due mesi dopo l’inizio incerto dell’anno scolastico, forse il tono sarebbe diverso forse più dubbioso e pessimista. La riapertura della scuola dopo mesi di sospensione alimentava certamente una speranza ottimistica ma ora tocchiamo con mano le difficoltà concrete di una gestione del problema dell’epidemia a scuola che ci evidenzia il sistema scuola come un grande ‘gnommero’ istituzionale. Questa parola che evoca groviglio, garbuglio, intrigo di nodi inestricabili di gaddiana memoria rappresenta bene, secondo me, il passaggio di queste settimane in cui è stata operata la scelta governativa di procedere a chiusure progressive e a interventi locali assunti da istituzioni variamente decentrate. La pandemia ha destabilizzato e infranto un equilibrio difficile tra conservazione e riformismo, tra localismo e centralismo, tra egualitarismo e elitarismo, tra pubblico e privato, tra cultura di base e formazione al lavoro, tra promozione e selezione. Potrei andare avanti nell’elenco di tensioni contrapposte che sin qui hanno spesso bloccato il sistema scolastico che ha sviluppato una resilienza la quale, a seconda della propria opzione culturale e politica, poteva essere vista come un valore o un disvalore.
Il riformismo di centro sinistra che si riconosce in Luigi Berlinguer si è connotato con la formalizzazione del sistema pubblico di istruzione come una rete di autonomie scolastiche statali, regionali, comunali, private, confessionali che superava il centralismo della scuola statale come principale attore responsabile della formazione e istruzione dei cittadini. La chiave del successo di questa trasformazione doveva essere un sistema di valutazione capace di monitorare l’efficacia dei singoli attori del sistema e la responsabilità della dirigenza scolastica che doveva rispondere sui risultati in termini di apprendimenti e di competenze e non solo di rispetto formale delle procedure.
Il terremoto della prima ondata della pandemia ha mobilitato immediatamente le energie singole, singoli docenti, singoli dirigenti, singole scuole e singole reti, nel disperato tentativo, a mio avviso riuscito abbastanza bene, di non interrompere il processo formativo in atto in quel momento. Ingenuamente, oppure con grande competenza, gli addetti hanno attivato la DAD in evidente parallelismo con gli eroismi del personale sanitario: una parte del Paese resisteva contro la sensazione che si fosse di fronte all’apocalisse. Ma quasi subito dopo, arrivati alla flessione della curva dei contagi, sulla scuola nella sua interezza, come sistema pubblico centralizzato, è stata fortissima la pressione mediatica per un ritorno alla normalità della vecchia scuola di prima, pressione che si è prolungata sistematicamente fino alla riapertura di settembre da fare ‘senza se e senza ma’. L’idea di poter far fronte con schemi unici e protocolli formali a un nuovo scossone della seconda ondata si è disgregata nei mille rivoli dei casi particolari dei contagi diffusi capillarmente in tutte le scuole. L’autonomia scolastica è stata ridimensionata di fronte all’enormità del rischio salute per tutti gli addetti, responsabilità del rischio che poteva essere imputata ai singoli dirigenti scolastici. Non aver depenalizzato alcune scelte da operare a scuola ha reso il sistema di fatto ingestibile o non gestito al meglio. Vi è stato un ricompattamento indistinto di tipo burocratico da un lato e, dall’altro, una disgregazione dei livelli decisionali sempre meno capaci di esercitare una responsabilità competente. Anche in questo caso il parallelismo con il sistema sanitario di questi giorni è facilmente riconoscibile.
Quali sono le implicazioni di queste settimane per le prospettive esaminate da Fierli? Supponendo che il Recovery Fund, più correttamente chiamato Next generation EU, sia disponibile a breve, occorrerà approntare progetti coerenti e gestibili per utilizzare le nuove risorse ma contestualmente ci sarà da recuperare e valorizzare la cultura dell’autonomia delle scuole intese come comunità in grado di autoregolarsi in vista di obiettivi condivisi. La diversità, che in organismi complessi vitali è un valore, per tutto il tempo in cui il virus ci minaccerà sarà vista come una debolezza, soprattutto se i singoli attori (persone e istituzioni) non sapranno coordinarsi e fare squadra contro il comune nemico come purtroppo sta accadendo in questi giorni a tutti i livelli, da quello economico a quello sanitario.
Questa battaglia dei riformisti per l’autonomia responsabile e per la varietà di scelte libere ma convergenti di tutte le scuole sarà un requisito necessario che non ha costi ma che può valorizzare molti aspetti delle riforme auspicate da Fierli.
Raimondo Bolletta