Aspetti psicologici della ‘reclusione forzata’ e della didattica a distanza
La pandemia da coronavirus ha sconvolto le nostre vite in modo così imprevedibile e ci ha colto così impreparati che è difficile formulare ipotesi su i suoi effetti psicologici e pedagogici. Sarebbe già molto riuscire a formulare domande pertinenti e significative. Per quanto ci interessa, la famiglia e la scuola sono certamente le due realtà maggiormente toccate dalla pandemia, in sé stessa e, ancor più, dalle misure che abbiamo dovuto adottare per combattere il contagio. Pertanto, mi sembra di poter indicare l’ottica sistemica di Bronfenbrenner come uno degli strumenti concettuali più utili. Il micro-sistema famiglia, infatti, è in costante relazione con il meso-sistema scuola, ed entrambi i sistemi sono in relazione con un macro-sistema sociale e culturale che varia a seconda delle epoche e delle vicende temporali (crono-sistema).
In questo momento di emergenza e di pandemia, tutti i sistemi sono stati scossi da piccole o grandi rivoluzioni interne ed esterne. La paura dilagante, la crisi economica, le sostanziali modifiche del lavoro, i cambiamenti radicali delle abitudini, hanno rapidamente modificato sia il macro-sistema sia il crono-sistema e indotto un clima di precarietà e, in molti casi di paura. Questo ha avuto inevitabili conseguenze su tutti gli altri sistemi, anche se è ancora impossibile farne una valutazione. Il lungo periodo di reclusione forzata è stato certamente un banco di prova per famiglie e insegnanti, ma l’entità delle ripercussioni psicologiche dipende da un numero imprecisato di variabili. E non è detto che gli effetti dello sconvolgimento della vita quotidiana siano necessariamente negativi o del tutto spiacevoli per i soggetti interessati.
In primo luogo, bisogna tener conto del fatto che la maggior parte dei genitori lavora e di solito si occupa dei figli per poche ore al giorno, appoggiandosi per il resto a istituzioni, nonni, babysitter, servizi per l’infanzia. Ora, invece, molti genitori si sono trovati a doversi e potersi occupare dei figli a tempo pieno, scoprendo sia aspetti positivi, che negativi. Questa è un po’ come una cartina tornasole delle dinamiche familiari, spesso celate dall’iperattivismo che caratterizza il nostro modo di vivere. Tutti i giorni della settimana si sono in pratica trasformati in altrettante ‘domeniche’, con tutti i problemi o gli aspetti piacevoli di questo rilassamento o ‘riscaldamento affettivo’, più o meno forzato.
L’impossibilità di uscire di casa, poi, può rendere la situazione rischiosa, come molti segnalano? Quando le relazioni sono solide e sane, lo scambio affettivo e prolungato sarà certamente un’opportunità di arricchimento e di consolidamento, ma se le relazioni sono precarie e disturbate, possono innescarsi dinamiche pericolose? Questa sorta di clausura sanitaria sembra che possa produrre anche effetti ‘paradossi’, come si dice in medicina: Massimo Recalcati, su la Repubblica (15 maggio 2020), segnalava diversi fenomeni: in alcuni pazienti la minaccia reale può sconvolgere le angosce persecutorie; i ragazzi che si isolavano (fenomeno dell’Hikikomori) tornano a cercare la relazione; chi era schiacciato dall’obbligo delle relazioni pubbliche trova finalmente rifugio nella sua tana; il fobico ossessivo trova l’istituzionalizzazione delle sue fobie di contagio.
Naturalmente la minaccia della pandemia e il lockdown producono e produrranno in futuro anche sofferenza e patologia. Variabili molto importanti sono l’età dei bambini, le diverse personalità e/o le patologie pregresse, e il numero dei figli, perché non è la stessa cosa doversi occupare di un solo bambino o di due, tre o più, di età e con esigenze diverse. Un altro elemento fondamentale è la casa: mai come in questo periodo essa manifesta tutte le sue potenzialità ma anche i suoi limiti. La tipologia, la grandezza, il luogo in cui è collocata, sono stati cruciali per vivere più o meno serenamente questo lungo periodo di clausura forzata. Si è visto come la maggior parte della gente si sia dedicata ad attività domestiche con rinnovata passione: la cucina, per esempio, è diventato un modo per trascorrere le ore e coinvolgere anche i bambini. La casa, che durante la vita ‘normale’ è quasi un luogo di passaggio e di incontro serale per tutta la famiglia, si è trasformata in un luogo da curare o addirittura da esplorare, ad esempio facendo ordine e pulizie, come se finalmente ci fossimo accorti dell’importanza del nostro nido.
Il lockdown ha costretto i bambini e i ragazzi a sperimentare anche un nuovo modo di apprendere e di stare a scuola; anche per loro è arrivato lo ‘smartworking’. Questa ‘telescuola’ può dare spunti importanti per il futuro? È difficile dirlo e comunque una risposta possono darla forse gli esperti del cosiddetto e-learning. Io mi limito a qualche considerazione provvisoria. Proviamo a interrogarci su come insegnanti e alunni reagiscono alla situazione, cioè come possono vivere il fatto di incontrarsi sullo schermo di un computer. In queste immagini le componenti principali della comunicazione (buona parte del sistema paralinguistico e cinesico, la prossemica e l’aptica) sono alterate dal fatto di ‘sentirsi in scena’, o sono addirittura annullate dalla distanza e dal mezzo.
Nelle situazioni normali, soprattutto per i bambini più piccoli (ma anche per i più grandi), la presenza fisica degli insegnanti innesca una comunicazione circolare fatta di movimenti, di posizioni del corpo, di gesti, di profumi, di odori che rendono la relazione ricca di significati, che aiuta i processi cognitivi e di apprendimento, rinforza o inibisce i comportamenti degli allievi. Nell’insegnamento a distanza, i contenuti dell’insegnamento potranno anche essere trasmessi correttamente ma la ‘relazione’, nel senso di Watzlawick, sarà probabilmente alterata. Se non altro: c’è il rischio che lo schermo dia più rilievo al contenuto che alla relazione?
Le lezioni a distanza, inoltre, probabilmente accentuano le differenze fra le condizioni economiche e culturali delle famiglie. In molti casi possiamo presumere che i genitori si siano trovati nella necessità di assistere ed aiutare i figli a fare i compiti. Nei casi in cui gli adulti non siano stati in grado di farlo, possiamo immaginarci un forte vissuto di delusione nei bambini, che si sentiranno esclusi o in gravi difficoltà e di altrettanta frustrazione negli adulti, che si vivranno come genitori incapaci di svolgere al meglio le loro funzioni. Inoltre, occorre considerare che in molte famiglie non sono disponibili computer o tablet, necessari per seguire a casa le lezioni in streaming. Al disagio psicologico si sarà così aggiunto il disagio pratico. Si legge nella Lettera a una professoressa della Scuola di Barbiana che «Se la scuola è un ospedale che cura i sani e respinge i malati», diventa uno strumento di differenziazione sempre più irrimediabile, e questo accadrà se nell’organizzazione della scuola a distanza non si terrà nel dovuto conto la disparità sociale. La frustrazione potrebbe anche innescare o accentuare dinamiche molto pericolose fra genitori e figli o fra genitori, come del resto emerge già dai dati delle associazioni che si occupano di maltrattamenti in famiglia.
Infine, come segnalato anche dalla Organizzazione Mondiale della Sanità, è condivisa da esperti di tutto il mondo la preoccupazione per una depressione dilagante, causata dalla pandemia e dalla crisi economica in una vasta popolazione di adulti e bambini. I sintomi possono essere sia cognitivi, (come una ridotta capacità di attenzione e concentrazione, una profonda svalutazione di sé ecc.) sia affettivi (come l’immobilità, la tristezza, l’apatia, i pensieri negativi, l’incapacità di manifestare i sentimenti, talvolta anche la rabbia e l’aggressività verso gli altri).
Riferimenti bibliografici
Bronfenbrenner, U. (2005) Ecologia dello sviluppo umano. Bologna, Il Mulino.
Ferenczi, S. (1919) Fondamenti di psicoanalisi, Vol. II. Rimini: Guaraldi, 1973.
Scuola di Barbiana (1976) Lettera a una professoressa. Firenze, Libreria editrice fiorentina.
Paul Watzlawick, P. (1971) La Pragmatica della Comunicazione umana. Roma, Astrolabio
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Alessandra Farneti, Libera Università di Bolzano